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I test missilistici della Corea del Nord e il doppio gioco della Cina

La dichiarazione di una moratoria sui test missilistici da parte della Corea del Nord aveva illuso la comunità internazionale che la questione del nucleare di Pyongyang fosse ormai una pratica archiviata. Al contrario, appena una settimana dopo gli accordi bilaterali con gli USA, il regime nordcoreano ha annunciato il lancio di un satellite per le celebrazioni del centenario della nascita del Grande Leader Kim Il-Sung.

Pyongyang sostiene che il lancio di missili a lungo raggio in virtù di test balistici e quello effettuato per mandare satelliti in orbita non sono la stessa cosa. Datemi un microscopio e forse noterò la differenza. In ogni caso le risoluzioni 1718 e 1874 del Consiglio di Sicurezza ONU avevano vietato "qualsiasi attività missilistica" alla Corea del Nord, tra cui "ogni lancio attraverso la tecnologia dei missili balistici". A conferma degli scopi militari del lancio ci sono poi le stesse dichiarazioni ufficiali del regime. Durante il sontuoso corteo del 15, in occasione del centesimo anniversario della nascita di suo nonno, il nuovo leader Kim Jong-un ha dichiarato che la superiorità della tecnologia militare "non sarebbe più stata un monopolio degli imperialisti". Più di così...

C’è da chiedersi quale sia il fine della Corea del Nord. Finora l’unico risultato di questa prodezza è stato la revoca degli aiuti alimentari promessi dagli USA, che avrebbero consentito al regime di alleviare le sofferenze di un popolo allo stremo per qualche tempo. Washington si è peraltro affrettata a ribadire che gli aiuti erano dettati da esigenze meramente umanitarie e non condizionati alla moratoria.

Il voltafaccia del regime nordcoreano può avere molte spiegazioni. L’annuncio del lancio del satellite potrebbe riflettere una lotta di potere in atto all’interno del regime, o meglio all’interno della famiglia (de facto) regnante, dove la leadership di Kim Jong-Un non è pienamente condivisa. Potrebbe altrimenti essere un piano studiato a tavolino fin dall’inizio per creare divisioni all’interno dei suoi principali interlocutori, Corea del Sud e Stati Uniti, il primo ansioso di disinnescare la minaccia del Nord e i secondi che preferirebbero pensare solo alle questioni interne a pochi mesi dall’appuntamento elettorale. Oppure potrebbe essere un mero tentativo di attirare l’attenzione: Pyongyang può accettare il disprezzo, ma non l’indifferenza.

Nel 2009, quando il regime annunciò per la prima volta l’intenzione di lanciare un satellite, USA, Corea del Sud, Giappone e molti altri Paesi fecero presente a Pyongyang che ciò avrebbe costituito una violazione delle risoluzioni ONU in tema. Cina e Russia assunsero inizialmente una postura meno rigida. Ma quando il test fu effettuato anche Pechino e Mosca si mossero affinché la Corea del Nord fosse indotta a più miti consigli.

Oggi la musica è cambiata. La Russia ha già espresso gravi preoccupazioni, ponendosi dalla parte della comunità internazionale. La Cina, al contrario, si è limitata a “prendere atto” dell’annuncio di Pyongyang, augurandosi che “le parti possano agire in modo costruttivo”. E tutti sappiamo quanto la protezione diplomatica di Pechino sia fondamentale per la sopravvivenza del regime nordcoreano.

C’è un altro aspetto su cui riflettere. Per più di tre decenni la Corea del Nord ha sviluppato una vasta gamma di missili balistici per colmare il divario con le capacità militari convenzionali, qualitativamente più avanzate, di USA e Corea del Sud. I primi vagiti di tali programmi risalgono agli inizi degli anni Ottanta, quando Pyongyang acquistò dall’Egitto alcuni missili Scud-B a corto raggio di fabbricazione sovietica. Ma il (fallito) tentativo di lancio del satellite ha acceso un ampio dibattito tra gli esperti sulla vitalità, il carattere e la reale consistenza dei progetti nordcoreani di oggi.

Alcuni pensano che il lancio del satellite sia stata tutta una bufala e che i missili mostrati dalla tv di Stato non fossero altro che prototipi di compensato. In particolare, le tonalità di colore e le caratteristiche di design risultano quanto meno sospette sotto uno sguardo tecnico. Altri si domandano come abbia fatto la Corea del Nord a sviluppare il know how necessario, sollevando qualche domanda circa l'assistenza segreta esterna, sia tecnica che finanziaria, di cui il regime di Pyongyang può aver beneficiato.
Foto satellitari segnalano ulteriori preparativi presso il sito di svolgimento dei test nucleari, senza però fornire indicazioni sulla tempistica di eventuali nuovi tentativi di lancio.

Entrambe le riflessioni ci portano a Pechino. Quello di Pyongyang non è solo un regime satellite del Dragone; è anche - e soprattutto - una spina nel fianco dei competitor regionali (Corea del Sud e Giappone) e globali (USA) di quest’ultimo. Garantirne la stabilità è quindi funzionale ai propri interessi. Certo, la Corea rappresenta un quadro geopolitico complesso la cui risoluzione non è riconducibile alla mera potestà della Cina, ma l’effetto delle pressioni che la comunità internazionale può esercitare su Pyongyang non è neppure paragonabile a quello conseguente all’influenza di Pechino. Tuttavia, il doppio gioco in cui essa si diletta con eccessiva disinvoltura non fa che aumentare i rischi per l'equilibrio regionale, poiché neppure l’ex Terra di Mezzo sembra in grado di fare molto per arrestare il progressivo deterioramento in cui la Corea del Nord versa attualmente.
Con tutto il carico di conseguenze che l’implosione del regime (rectius: della famiglia Kim) al potere potrebbe comportare.

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