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I ricercatori italiani che studiano il nuovo Coronavirus

L'impegno per trovare nuovi trattamenti o un vaccino per il coronavirus è condiviso da tutto il mondo, ecco alcuni degli studi portati avanti in Italia.

di Francesca Camilli

Spallanzani di Roma

Il 2 febbraio l’Istituto Nazionale Malattie Infettive Lazzaro Spallanzani di Roma ha annunciato di aver isolato il virus SARS-CoV-2. Isolare il virus significa estrarlo dal campione biologico in cui si trova e farlo replicare in una coltura cellulare, un passaggio fondamentale per riuscire a ottenerne grandi quantità e poter lavorare sullo sviluppo di cure e di vaccini. In questi mesi diversi gruppi di ricerca stanno cercando di capire meglio la storia del virus, i suoi meccanismi di trasmissione e il modo in cui interagisce con l’ospite.

I ricercatori dello Spallanzani, coordinati da Maria Rosaria Capobianchi, hanno caratterizzato il virus a livello molecolare a partire dai primi due casi COVID-19 osservati in Italia, una coppia di turisti cinesi ricoverati presso l’ospedale romano. Nei mesi successivi il team ha condotto altre analisi genomiche e filogenetiche, che permettono di ricostruire una probabile storia evolutiva dei genomi virali. In uno studio pubblicato sulla rivista Annals of Internal Medicine hanno individuato la presenza del virus in un tampone oculare e hanno dimostrato che la trasmissione può avvenire tramite le secrezioni degli occhi.

Università Statale di Milano

A fine febbraio anche il gruppo di ricerca di Massimo Galli e Gianguglielmo Zehender, che lavora presso il Laboratorio di Malattie infettive dell’Università Statale di Milano, ha annunciato di aver isolato il virus. In un paper pubblicato a fine marzo sul Journal of Medical Virology i ricercatori spiegano come hanno ottenuto e caratterizzato i genomi virali di tre pazienti COVID-19 registrati nella provincia di Lodi all’inizio dell’epidemia.

Hanno anche confrontato le sequenze di RNA con più di 150 genomi di SARS-CoV-2 ottenuti in tutto il mondo. In questo modo la penetrazione del virus in Italia è stata collocata tra la fine di gennaio e l’inizio di febbraio. Le analisi dell’RNA hanno permesso di identificare un grande numero di mutazioni nei geni virali che nella maggior parte dei casi non hanno effetti sulla virulenza.

Lo stesso gruppo , in collaborazione con l’Anatomia Patologica diretta da Manuela Nebuloni, ha realizzato e condiviso le immagini al microscopio elettronico del virus. Nelle immagini si riconoscono in modo abbastanza chiaro le particelle virali che si trovano sulla superficie e all’interno delle cellule. In un’immagine a ingrandimento maggiore si vede anche la tipica struttura a “corona” delle proteine superficiali.

Ospedale San Raffaele

Sempre a Milano, l’IRCCS Ospedale San Raffaele (link) ha messo in campo alcune tecnologie avanzate, solitamente utilizzate per studiare i virus dell’epatite B e i virus di alcune febbri emorragiche. Il San Raffaelle possiede infatti un laboratorio di alta biosicurezza che permette di studiare il virus in modelli animali e che segue regolamentazioni ancora più stringenti rispetto a laboratori che utilizzano colture cellulari.

I gruppi di ricerca di Luca Guidotti e Matteo Iannacone hanno a disposizione anche piattaforme avanzate, come la microscopia intravitale e il sequenziamento a singole cellule. La microscopia intravitale permette di osservare processi biologici in vivo ad alta risoluzione, nel caso del virus può servire per visualizzare l’interazione con le cellule dell’ospite. Attraverso il sequenziamento a singole cellule si può capire come le cellule dell’ospite cambiano durante e dopo l’incontro con il virus.

Istituto scientifico Eugenio Medea di Bosisio Parini

Altri ricercatori studiano il coronavirus attraverso i metodi della biologia computazionale e della bioinformatica, come le già citate analisi filogenetiche, ma anche analisi sulle proteine, sulla loro struttura e sulle loro interazioni.

Tra questi, Rachele Cagliani, Diego Forni e Manuela Sironi dell’Istituto scientifico Eugenio Medea di Bosisio Parini (Lecco),in collaborazione con Mario Clerici dell’Università degli Studi di Milano, hanno studiato l’evoluzione del genoma del virus, come descritto in un paper pubblicato sulla rivista Journal of Virology. I risultati ottenuti hanno evidenziato che alcune regioni del genoma virale sono meno soggette a cambiamenti perché non tollerano l’inserimento di mutazioni. Queste regioni rappresentano quindi un buon target per lo sviluppo di antivirali e vaccini.

Università Campus Bio-Medico di Roma

Il gruppo di epidemiologia molecolare dell’Università Campus Bio-Medico di Roma guidato da Massimo Ciccozzi, già a gennaio aveva condotto analisi preliminari sulla possibile evoluzione del virus e struttura delle sue proteine, a partire dalle informazioni registrate in Cina. In uno studio pubblicato a marzo sul Journal Medical Virology i ricercatori hanno analizzato le sequenze dei genomi completi del virus, comprese quelle italiane, e hanno osservato che in Italia si sono verificati due gruppi di eventi epidemici leggermente distanziati a livello temporale l’uno dall’altro.

I ricercatori hanno partecipato anche a un lavoro in via di pubblicazione sul Journal of Translation Medicine (disponibile in preprint) che ha analizzato più di 200 sequenze genomiche del virus e ha individuato otto mutazioni frequenti. Tra queste una mutazione è stata osservata soprattutto nei ceppi virali presenti in pazienti europei e del nord America, ma non nei ceppi asiatici. Sarebbe dunque possibile la coesistenza di ceppi virali diversi, ciascuno con una diversa strategia di mutazione, avvenuta all’interno del gene che serve per la sintesi dell’enzima polimerasi.

Università di Bologna e di Catanzaro

Un gruppo di ricercatori dell’Università di Bologna e dell’Università di Catanzaro, coordinato da Federico M. Giorgi, si è invece concentrato sulla mappa delle interazioni che avvengono tra le proteine del virus e quelle umane. Lo studio, pubblicato sul Journal of Clinical Medicine, ha sfruttato il patrimonio di informazioni già disponibili sul comportamento genetico degli altri coronavirus, SARS-CoV e MERS-CoV.

Sono state identificate alcune proteine che svolgono un ruolo rilevante quando il nuovo coronavirus entra in contatto con una cellula umana. Una di queste, ad esempio, è un regolatore della morte cellulare e viene attivata dalla cellula come meccanismo di difesa antivirale. I ricercatori hanno identificato anche alcune strategie sfruttate da Sars-CoV-2 per diffondersi nell’organismo, ad esempio proteine capaci di disattivare meccanismi di difesa cellulare o proteine che favoriscono la replicazione del virus.

L’analisi mostra anche che le cellule si difendono dall’attacco diminuendo la presenza di ACE2, il recettore con cui interagisce il coronavirus. La minore presenza di questa proteina potrebbe, però, finire per danneggiare i tessuti polmonari, favorendo così comunque la diffusione del virus. È emersa anche una maggiore somiglianza tra la proteina ACE2 delle cellule umane e quelle dei pangolini. Questo risultato va a sostegno dell’ipotesi secondo cui il piccolo mammifero potrebbe essere stato l’ospite originale del virus Sars-CoV-2 oppure un ospite intermedio tra il pipistrello e l’uomo.

 

Foto di copertina: Pixabay

Questo articolo è stato pubblicato qui

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