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I politici abruzzesi, lo spogliarellista e la senatrice

Dice di essersi fatto in tutta la sua vita "8 o 9 spinelli" e definisce le sue esperienze gay poche e insoddisfacenti.

"Ma faceva comodo a tutti che fossi 'il drogato' o 'il frocio' d'Italia" (il Fatto Quotidiano).

Queste dichiarazioni non sono le solite defilippiche di Cicerone o piuttosto quelle di un tronista di uomini e donne, ma appartengono a un monumento storico della politica italiana: Marco Pannella. Un abruzzese teramano.

A ottantacinque anni, il leone dei radicali sta ruggendo in combattimento a petto nudo con due draghi, i due tumori che lo stanno aggredendo, infami, nel pieno di una fulgida terza età. Come Don Ferrante, fra le righe di Manzoni e di quel romanzo sempre da revisionare mentre Dostoevskij sfornava un capolavoro dopo l'altro, non prende nessuna precauzione contro la sua peste.

A chi oggi gli chiede perché non smette di fumare risponde che se lo facesse davvero ci rimarrebbe secco stecchito. Come un eroe di Metastasio, si batte sino alla fine prendendosela con le stelle (Don Ferrante, I promessi sposi, cap. XXXVII).

E proprio le stelle saranno chiamate in causa, a testimoniare i fatti. La libertà di un uccellino in gabbia ha tre vie se si lascia aperta la porticina. Una che dà fuori all'aria aperta, l'effimera che ti respinge fra le mura della casa dove si è rimasti imprigionati. Altrimenti, la scelta di restare rinchiusi con le sbarre spalancate e l'illusione di potersene andare prima o poi.

L'illusione, la chimera dell'arbitrio consentito è stato l'obiettivo di un politico teramano famoso in tutto il mondo per meriti diversi da quelli del gossip televisivo. Il caso ha voluto che una mente così discernente potesse straripare dopo il torrente Vezzola e prima del fiume Tordino.

L'acqua spinta dal tempo non esiste. La sabbia conta solo quella stretta in un filo polveroso nell'imbuto di una clessidra a prevedere il presente.

Nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasgredisce in Legnini, Pezzopane, Razzi, politici abruzzesi doc. 

“la classe dirigente di questo Paese quando delinque fa un numero di vittime incomparabilmente più elevato di qualunque delinquente da strada e fa danni più gravi” (Piercamillo Davigo, presidente dell’Associazione nazionale magistrati).

E "pessimissimo" è Giovanni Legnini (secondo quanto scritto da Paolo Flores d'Arcais), che ha così replicato alle parole del presidente dell’Associazione nazionale magistrati:

“rischiano di alimentare un conflitto di cui la magistratura e il Paese non hanno alcun bisogno”.

Flores d'Arcais, su MicroMega del 23 aprile 2016, continua l'ipotesi:

"In che senso l’ovvietà pronunciata da Davigo rischi di alimentare un conflitto di cui il Paese non ha proprio bisogno risulta ancor più misterioso. Un danno micidiale per il paese sono i politici che rubano e gli imprenditori corruttori o corrotti, non i magistrati che li scoprono. Un danno micidiale per il paese sono governo e parlamentari che non fanno leggi più efficaci per contrastare il multiforme ingegno dei crimini di establishment e si muovono anzi in direzione opposta, rendendone più agevole l’impunità, non i magistrati (o qualsiasi altro cittadino) che richiamino all’ovvio della convivenza democratica".

La metamorfosi, la staffetta che passa il testimone dalle mani di Pannella a quelle della promessa sposa di un aspirante non si sa bene di cosa in TV (vedi il servizio delle Iene su Italia 1) e quelle di chi ama farsi sempre “li cazzi sua”, come il personaggio, di certo meno imbarazzante di quello vero, interpretato da Maurizio Crozza.

Su facebook una madre chiede scusa alla figlia per averla fatta studiare, per avere fatto più di un lavoro e permetterle di frequentare l'università che l'ha posta dinanzi a un bivio. Scegliere di lavorare in un call center, oppure espatriare.

In Italia resteranno a pieno titolo i Simone Coccia Colaiuta, attore e regista (così è scritto sul proprio profilo pubblico di fb), con settanta raffinatissimi tatuaggi sul corpo, alto un metro e novantuno, senza talento artistico alcuno.

Non sa cantare, non sa recitare e non conosce le tabelline. Convinto che Firenze si affacci sul mar Ionio, Riccione sul Tirreno. Che il fondatore della Apple sia un tizio di nome Steve Apple. Uno che se anche conscio di non essere bello è certo di essere un grande uomo.

Un omone che “ama molto i bambini” e “sa fare molto bene il sesso”. Sebbene confonda Camillo Benso con Giotto nel guardare i loro ritratti. Sicuro che per fare i verbi al passato occorra la parola “forse”. Il trapassato remoto del verbo avere: “io forse avevo avuto”.

Ignora l'esistenza di Bruno Pizzul. Un giovanotto muscoli e tartaruga che ha l'imene sotto l'ascella e il perineo sul ginocchio. La cervice uterina dietro la nuca. Un eminente conoscitore dei percorsi delle gladiature romane.

Uno che pure sculetta in mutande davanti a una sedia, dietro una telecamera accesa. Un culo in primo piano.

Quello del compagno di vita di una senatrice della Repubblica italiana.

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