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I poco riconosciuti meriti di d’Annunzio

Pur non essendo uno storico di professione, provo ad esprimere alcune mie perplessità sulla puntata del famoso programma televisivo “Il Tempo e la Storia” dedicata all'Impresa fiumana di d'Annunzio. In studio, la parte di Virgilio (accanto al Dante-Bernardini) era interpretata dal professor Perfetti.

Durante la puntata si è detto che, al termine della Prima guerra mondiale, l'Italia non riusciva ad ottenere i territori promessi al momento del suo ingresso in guerra, perché aveva successivamente chiesto anche la sovranità sulla città di Fiume, non prevista dal Patto firmato a Londra, il 26 aprile 1915, con la Triplice Intesa. In quel patto vennero promessi all'Italia le attuali province di Trento e Bolzano, tutti i territori (in maggioranza slovenofoni) ad ovest delle Alpi Giulie, Trieste, l'Istria, la Dalmazia settentrionale e molte isole antistanti l'attuale Croazia. 

Nel settembre del 1919, l'Italia era riuscita ad ottenere dall'Austria, con il Trattato di Saint Germain, le attuali province di Trento e Bolzano, ma nulla era stato ancora stabilito riguardo al suo confine orientale. Nel settembre del 1919, l'Italia poteva, al massimo, accontentarsi dei territori ad ovest della Linea Wilson, tracciata dall'allora presidente americano nel rispetto del principio di nazionalità. In base alla demarcazione territoriale proposta da Wilson, l'Italia avrebbe dovuto rinunciare alle sue legittime pretese su alcuni distretti sloveni ad ovest delle Alpi Giulie (Idria, Postumia e Villa del Nevoso), sull'Istria nord-orientale, sulla Dalmazia settentrionale e su molte delle isole antistanti l'attuale Croazia. Questa era l'unica proposta di definizione del confine orientale dell'Italia formulata dai suoi alleati.

La Linea Wilson incontrava l'approvazione dei governi inglese e francese, non più disposti a mantenere le promesse fatte nel 1915 perché temevano che, con il controllo del litorale ex-asburgico, il Regno d'Italia avrebbe acquisito l'egemonia sulle acque del mare Adriatico. La proposta americana deludeva la speranza italiana di veder mantenute le promesse dell'aprile 1915 e non prendeva minimamente in considerazione l'inopportuna e tardiva pretesa di annessione della città di Fiume. In pratica, i nostri alleati erano disposti a concederci molto meno di quanto ci avevano promesso e, per raggiungere quest'obiettivo, si spinsero anche a strumentalizzare l'incoerente posizione assunta dall'Italia durante le trattative. Fu questo clima di delusione e frustrazione, creato dagli alleati dell'Italia, a mettere in marcia i legionari dannunziani nel settembre del 1919.

Durante la trasmissione, nessun accenno è stato fatto agli effetti dell'occupazione fiumana sulle trattative tra l'Italia ed il Regno dei Serbi, Croati e Sloveni. Quelle trattative, ben condotte dal conte Carlo Sforza, si conclusero col Trattato di Rapallo (novembre 1920) e spostarono il confine dell'Italia al di là della Linea Wilson, consentendo l'acquisizione di tutti i territori ad ovest delle Alpi Giulie, dell'intera Istria, di alcune isole attualmente croate e della sola città di Zara nella Dalmazia settentrionale. Il legame tra l'Impresa di Fiume e gli esiti del Trattato di Rapallo non è stato approfondito e non si è detto che la presenza dei legionari dannunziani a Fiume rafforzò la posizione negoziale dell'Italia.

Totalmente ignorato è stato anche il risultato finale dell'Impresa del Vate. La questione fiumana, infatti, venne definita col Trattato di Roma, firmato dal Governo Mussolini nel gennaio del 1924 (prima dell'assassinio di Matteotti). Tale intesa sancì la spartizione della città di Fiume tra italiani e jugoslavi. Con l'annessione di buona parte del territorio fiumano (non prevista dal Patto di Londra) l'Italia compensò parzialmente la rinuncia forzata alla gran parte delle terre dalmate (Sebenico e dintorni) promesse prima dell'ingresso in guerra. E' superfluo sottolineare che non si sarebbe mai giunti a questo risultato, se i legionari non avessero occupato Fiume nel settembre del 1919.

Non degno di nota è stato giudicato il confronto tra Garibaldi e d'Annunzio. Sia la Spedizione dei Mille che l'Impresa di Fiume sono state opere di volontari conclusesi con l'espansione territoriale del Regno sabaudo. Naturalmente, i protagonisti sono stati molto diversi. L'eroico e responsabile Garibaldi di Teano ha il senso della misura che difetta al pirotecnico e vanitoso d'Annunzio di Fiume. La smisurata vanità del capo dei legionari fiumani gli impedì di prendere atto delle conseguenze del Trattato di Rapallo e costrinse Giolitti a prenderlo a cannonate nel dicembre del 1920. Evidenziate le dovute differenze, però, l'esito delle due missioni di volontari risulta essere analogo e si sostanzia nell'annessione di nuovi territori al Regno prima di Sardegna e poi d'Italia.

Leggendo in maniera spezzettata quanto accadde nel Carnaro tra il 1919 e il 1924, non si può nemmeno arrivare a concepire l'idea che Gabriele d'Annunzio sia stato il protagonista assoluto dell'ultimo episodio del Risorgimento Italiano. Dopo i Trattati di Rapallo e di Roma, infatti, l'unico territorio a maggioranza italofona a non rientrare nei confini del Regno d'Italia rimase l'isola di Veglia (denominata “Krk” in croato). Può non piacere a molti, ma le lotte per l'unificazione politica del popolo italiano, iniziate negli anni Venti dell'Ottocento, terminarono con l'arrivo a Fiume dei legionari dannunziani.

Senza questa presa d'atto, risulta difficile comprendere il successivo e complesso rapporto tra il Vate e i fascisti, che dapprima copiarono molte delle sue geniali espressioni, poi “lo ricoprirono d'oro come un dente marcio” ed infine lo ignorarono quando diede profeticamente del “pagliaccio feroce” ad Adolf Hitler.

La lacunosa ricostruzione dell'Impresa di Fiume fatta su un canale della RAI esemplifica la persistente difficoltà d'inquadrare correttamente un personaggio storico come Gabriele d'Annunzio e di riconoscere i meriti che gli spettano.

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