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I paradossi della crisi: il gioco d’azzardo

L’economia italiana è ormai poco più che uno strano teatrino dove si confrontano pupi e mastri pupari sempre più alienati e alienanti rispetto al loro pubblico e ai problemi delle tasche di quelli che assistono alle loro schermaglie, senza capirci un granché tra l’altro, ma questo spettacolo, lungi dal deliziarli, colpisce alla grande l'intima economia di categorie deboli sotto molti altri aspetti.

Se da un lato c’è il Presidente del Consiglio che, tra le esimie scemenze che spara a ripetizione, cerca sempre di portare avanti il suo malsano progetto nucleare, forse perché vorrebbe incrementare i dividendi che percepisce - sia lui che i suoi “clientes” - dalle grandi multinazionali italiane dell’energia come Eni ed Enel, dall’altro c’è il capo di Confindustria che, pur non avendo fatto praticamente nulla per impedire che un discreto numero di aziende italianissime andassero a produrre all’estero, licenziando a man bassa, sfruttando tra l’altro la crisi, sottraendo Pil alla nazione, ha ancora l’ardire di indirizzarsi al premier e alla sua truppa di faccendieri elencando le cose delle quali l’Italia ha bisogno e che sono “poche riforme chiare, non sussidi, non incentivi, non aiuti. Riforme che permettano allo Stato di ridursi e di funzionare meglio”, ma non ha ancora capito evidentemente che ai suoi referenti importa poco dello stato dell’industria italiana.

Intanto, stando a un’inchiesta di Repubblica - circa la quale per esser confermata nelle sue veritiere affermazioni, basterebbe solo dare un’occhiata a locali dove ci siano video poker e affini - l’industria del gioco d'azzardo gestisce in modo “legale” un business che alla fine di quest’anno arriverà a circa 80 miliardi di euro. Addirittura una quindicina di volte il giro d’affari annuo della capitale del gioco d’azzardo, Las Vegas. In tutto ciò lo Stato incassa il 10%. Stando sempre all’inchiesta del quotidiano, il gambling legale è la terza “industria” dopo le stesse Eni e Fiat. Qualcosa che equivale a circa sette “finanziarie”. Oltre all’aspetto legale e trasparente che vede nel settore ca.120mila addetti, con 1.500 tra gestori, concessionari ed esercenti, con gruppi come Snai e Lottomatica che controllano buona parte del mercato, c’è da valutare l’altra faccia della medaglia, quella oscura, ossia le concessioni concesse dal 2004 ad aziende poco chiare, per non dire proprio occulte, che operano spesso on-line, mentre sono in calo le scommesse tradizionali. La succitata inchiesta ha messo in evidenza come dietro tale “volto oscuro” ci siano personaggi legati, sia alla politica (alla destra in particolare) e ad ambienti mafiosi, con società che hanno le loro sedi, in gran parte, nei paradisi fiscali delle Antille.

Negli ultimi giorni la Corte dei conti, la Direzione nazionale antimafia e la commissione parlamentare antimafia hanno sollevato molti dubbi; in più, circa una quarantina di parlamentari di tutti gli schieramenti politici hanno presentato una serie di interrogazioni alquanto circostanziate.

Alcuni, come il procuratore Pietro Grasso, alla guida della commissione antimafia, cominciano a chiedersi perché mai l'Aams - ossia l'amministrazione autonoma dei Monopoli - e lo Stato italiano abbiano agito “con grande superficialità e senza un approfondito esame dei soggetti che avevano presentato domanda”.

Chi si cela in realtà dietro quella miriade di società che sono sotto i riflettori della commissione antimafia? Perché i Monopoli hanno accolto le domande di aziende con proprietà occulte e con sedi finali in paradisi fiscali? Perché ai gestori viene affidato il ruolo di esattore fiscale e sostituto d’imposta? Come andrà a finire la partita del rinnovo delle concessioni prevista a breve?

Comunque, la cosa che colpisce in tutto ciò è il fatto che il fatturato è stato in continua crescita proprio fin dall’inizio della crisi del 2008. In questi due anni e mezzo pare che il volume degli affari di slot machine, videopoker, lotterie e scommesse sportive sia aumentato di 13 miliardi, passando da 47,5 miliardi fatturati nel 2008 a 61,5 fatturati nel 2010, il 3,7 % del Pil.

È previsto che l’anno si chiuda con il record di 80 miliardi di fatturato.

Sembra che alla nostra “santa pazienza” non debba esserci proprio limite. Non c’è da stupirsi più di nulla ormai se, mentre la massa giace nel bisogno cronico di "riforme" per incrementare il “proprio” Pil e uscire così dalla crisi, alcuni faccendieri milionari, i quali, in parte, gestiscono la Res Publica, per un verso creino i presupposti affinché le società su elencate, legate in alcuni casi ad essi medesimi e clientes, alle volte anche “mafiosi”, s’insedino in un certo business, per un altro verso essi medesimi percepiscano i propri dividendi o altri introiti anche da queste attività legali e non. Il tutto fatto sfruttando la debolezza delle persone disperate la cui soglia di tolleranza verso “atteggiamenti truffaldini” si è via via assottigliata, vista la disperazione e la continua disillusione alla quale la crisi medesima spinge molta gente che, non ha altro modo per uscire da essa se non affidandosi alla fortuna.

E dire che migliaia di persone sono andate in rovina grazie a semplici videopoker, dal pastore che ha venduto tutte le sue pecore al piccolo artigiano che ha impegnato la casa per poter continuare la sua folle corsa verso la fortuna che alla fine si è trasformata in una tragica sfortuna!

In tutto ciò, non fa più neanche una grinza ormai l’atteggiamento cinico e spietato dello Stato, che, per il bene della collettività, dovrebbe ridurre al minimo queste attività, e non lasciare che siano propinate come una sorta di “droga” per una massa che cerca evasione e uscita da problemi quotidiani, per i quali, invece, proprio Lui, lo Stato medesimo, dovrebbe fornire la soluzione. È inutile dire che il pesce puzza proprio dalla testa e che questo Stato malato è tale perché è “malata” la “casta di masnadieri” che lo gestisce, ossia una casta - che agisce contro i valori della Costituzione - da defenestrare.

Commenti all'articolo

  • Di pv21 (---.---.---.96) 9 maggio 2011 20:03

    Tabu fiscale >

    Di aumentare la tassazione immobiliare ora ce lo suggerisce anche l’Ocse.
    Per Berlusconi si tratterebbe di un “grande esproprio”.
    Tremonti, che ha mutuato dal governo Sarkozy la legge “antiscalate”, non vuol sentir parlare del modello francese di “patrimoniale” sulle grandi ricchezze.

    Consiste in un’imposta aggiuntiva ( 1%) per le famiglie con una ricchezza “accertata” di almeno 1 milione di euro. Si prescinde dal reddito Irpef e la franchigia lieviterebbe pro quota con l’incremento del patrimonio.
    Un esempio di possibile applicazione.
    Una famiglia con abitazione da 600mila euro, seconda casa da 250mila euro e titoli finanziari per 250mila euro pagherebbe al mese un’imposta di circa 80 euro.
    Imposta che salirebbe sui 2800 euro per un patrimonio da 5 milioni di euro.

    Detta “patrimoniale” riguarderebbe meno del 5% delle famiglie italiane e per l’erario sarebbe un extra gettito annuo di almeno una dozzina di miliardi di euro.

    Risorse sufficienti per dare ossigeno all’economia.
    A cominciare dalla rimozione di quella Tagliola Tributaria che corrode il potere d’acquisto di dipendenti e pensionati …

    • Di yepbo (---.---.---.212) 10 maggio 2011 00:37

      Favoloso! Peccato che ogni aumento sia una mazzata all’economia.

      Dare altri X miliardi di euro agli iitalici parassiti politici é un’ idea sublime. Per loro. La zavorra politica, da decenni, già munge il paese forsennatamente, e caspita, visti i risultati, vanno incoraggiati, da bravi italioti, cerchiamo, tutti contenti di dargli ancora dell’altro da spartirsi.
      Checchè ne dica l’ocse ( inutile organizzazione che genera costi), la strada é esattamente l’opposta. Draconiani tagli a tassazioni ed imposte per imprese e persone, tali, da lasciare quanti più soldini possibile in "tasca" di imprese e persone e, assolutamente quanti meno soldini possibile in gestione al parassitume politico. Che, con poco o nulla da sperperare diverrebbe più facilmente controllabile e renderebbe la politica impossibile a chi oggi di politica ci vive ed arricchisce. 

  • Di (---.---.---.223) 11 maggio 2011 11:10

    se pagassero meno i dirigenti, automaticamente si abbasserebbero i costi del lavoro.

    aumentando gli stipendi dei lavoratori
    l’economia si risveglierebbe. 

    l’entrate tributarie grazie hai lavoratori
    che sono tassati alla fonte, aumenterebbero.

    mi fermo, perchè quello che vorrei dire,per quanto riguarda, il pagamento delle tasse dei datori di lavoro e la classe dirigente sarebbe utopia. VITTORIO

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