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I nuovi lavori dei siriani in tempo di guerra

(di Mustafa al Haj, per al Monitor. Traduzione dall’inglese di Patrizia Stellato).

Dietro la Moschea degli Omayyadi, nella città vecchia di Damasco, dove le strade sono ancora affollate durante il giorno, Abu Muhammad siede su una sedia di legno di fronte al suo negozio di oro e gioca a backgammon la maggior parte del tempo. Ne ha molto a disposizione, poiché il commercio dell’oro non è più in voga, essendo drasticamente diminuito il numero dei clienti.

Abbiamo incontrato Abu Muhammad nel suo negozio, diventato un posto dove trascorrere il tempo invece di lavorare. “Due anni fa i clienti si fermavano a visitare il negozio, mentre pochi entravano per vendere i propri averi e chiedere i prezzi dell’oro costantemente in ascesa, a causa del tracollo della lira siriana rispetto al dollaro”, racconta.

Questo commercio non è più redditizio. Molti proprietari di negozi di gioielli hanno chiuso le loro attività e si sono dati a nuovi lavori. Si direbbe che io sia il prossimo. Se le cose continuano così, cercherò un’altra occupazione”.

Non distante dalla bottega vuota di Abu Muhammad si trova il negozio di regali e accessori di Adnan, un tempo anch’esso una gioielleria.

“In passato erano poche le persone che acquistavano oggettini per un regalo o come gesto d’amicizia, perché preferivano l’oro. Ora avviene il contrario, soprattutto alla luce delle terribili condizioni economiche affrontate dai siriani, che preferiscono non comprare più oro. Sono contento di aver trovato un’alternativa al mio vecchio lavoro. Anche se frutta di meno, riesco ad arrivare a fine mese”, racconta Adnan.

Il commercio dell’oro è senza dubbio una delle professioni più colpite dalla guerra civile siriana, ormai nel suo quinto anno. Dall’altra parte, sono diventate popolari altre professioni, come il giornalismo, che ora garantisce un’entrata fissa a un buon numero di giovani siriani.

“Un articolo giornalistico vale quanto un mese di lavoro nel settore medico (circa 300 dollari), considerando naturalmente la differenza del tasso di cambio”, dice il dottor Nael, che parla a condizione che non venga rivelato il suo nome completo. Nael è arrivato da Aleppo a Damasco per lavorare come giornalista, lavoro che è stato per lui una grande fonte di guadagno dopo aver perso il suo, a causa della guerra, in un ospedale di Aleppo a nord della Siria, di cui preferisce non riferire il nome.

“Dal 2012 il settore medico ad Aleppo è stato colpito dalla guerra e per questo ho smesso di lavorare negli ospedali, il cui numero si è ridotto di molto”, afferma Nael. Ci sono tre ospedali pubblici e sette privati nelle zone controllate dal regime, mentre in quelle sotto il controllo dell’opposizione sono due gli ospedali statali e quattro quelli privati. Quattro dei principali ospedali di Aleppo sono stati distrutti a causa dei bombardamenti e delle esplosioni.

“A Damasco non sono riuscito ad aprire un ambulatorio o a trovare lavoro in ospedali privati, perciò ho iniziato a scrivere articoli per la stampa, soprattutto ora che tutti gli organi di stampa sono alla ricerca di notizie provenienti dalla Siria. Il giornalismo è diventato la mia fonte primaria di guadagno. Tuttavia, quando la guerra sarà finita, mi concentrerò di nuovo sul mio sogno nel settore medico”.

Mentre alcuni damasceni hanno cambiato le loro professioni volontariamente, altri invece si sono trovati costretti dallo sfollamento e dalle condizioni di guerra a intraprendere una carriera diversa.

Abu Radwan racconta che, prima di trasferirsi a Damasco, era proprietario di un negozio di mobili ad Arbin, nella Ghuta orientale, che è stato completamente bruciato. “Ora lavoro come tassista e ho saputo che la città di Arbin è stata rasa al suolo in seguito ai pesanti bombardamenti da parte delle forze del regime”.

“La guerra ha sconvolto tutto: alcuni hanno fatto fortuna, mentre altri hanno perso tutto quello che avevano”, aggiunge.

Anche altre attività hanno iniziato a prendere piede, soprattutto tra i giovani, come il volontariato e il lavoro nelle organizzazioni non governative (Ong), il cui numero a Damasco è cresciuto negli ultimi due anni e con l’aggravarsi della guerra.

Maher, neolaureato alla facoltà di Economia dell’Università di Damasco, parla del suo lavoro da volontario. “Ho provato tanto a cercare un impiego nel mio campo ma senza risultato, perché Damasco ormai ha una popolazione ad alta densità, per le tante persone che vi si sono trasferite. Inoltre, a causa dei grandi numeri di giovani sfollati provenienti da altre città, è diventato ancora più difficile trovare un’occupazione e perciò ho deciso di lavorare come volontario per l’organizzazione Jozour”, afferma.

“Anche se ricevo solo uno stipendio simbolico per il mio lavoro, sono felice. Lavoro per campagne di soccorso e fornisco assistenza umanitaria, impiegando così il mio tempo per qualcosa di utile”.

Khaled, giovane laureato al dipartimento di Biblioteconomia e Scienza dell’Informazione all’Università di Damasco che lavora per una Ong a Damasco di nome Mobaderoon, ha un’idea diversa in proposito. “Se riuscissi ad assicurarti un posto di lavoro statale – dice – subiresti accuse da parte dell’opposizione. In più è molto difficile trovare lavoro nel settore privato per i neolaureati senza esperienza come me”.

“Lavorare con le Ong è molto più facile, perché il lavoro non necessita di esperienza pregressa e devi solo conoscere gli aspetti amministrativi e le lingue. Posso fare esperienza qui e poi, quando la guerra finirà, cercherò un lavoro vero e forse anche fuori dalla Siria”, aggiunge.

I siriani sperano che la guerra finisca presto, in modo da poter ritornare ai loro lavori di una volta. Abu Muhammad si augura di vendere di nuovo l’oro come faceva quattro anni fa, quando il suo negozietto si riempiva di clienti provenienti da Damasco e dalla campagna.

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