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 Home page > Attualità > Istruzione > I moti universitari di Londra: quello che i media non dicono

I moti universitari di Londra: quello che i media non dicono

Fonti ufficiali parlano di circa 20.000 studenti raccoltisi giovedì in Malet Street per protestare contro la riforma universitaria, ma la stima appare poco accurata. Le immagini di una Parliament Square in fermento sembrano dare più credito alla versione della “National Union of Students”, secondo la quale sono stati in oltre 50.000 a riunirsi nella capitale del Regno Unito in attesa che il famigerato disegno di legge venisse discusso nella “House of Commons”, l’equivalente britannico della nostra Camera.

 
Per chi non lo sapesse, in seguito all’approvazione del suddetto “bill”, l’istruzione superiore in Gran Bretagna è destinata a diventare un privilegio per pochi, con le tasse universitarie in procinto di levitare da £3000 fino a circa £9.000 l’anno (quasi €11.000, n.d.a.) ed i criteri per l’assegnazione di borse di studio inaspritisi fino all’inverosimile. Da sottolineare il clamoroso voltafaccia del partito Liberal-Democratico in merito all’argomento: dopo essersi accaparrato la preferenza degli universitari britannici promettendo la quasi totale abolizione dei costi d’iscrizione (ottenendo così un numero record di seggi in Parlamento), ecco l’alleanza con i Conservatori e lo sfacciato dietrofront.
 
Un non troppo velato attacco alla “working class” britannica, che in molti hanno reputato opportuno definire “vergognoso” e “classista”, ma che ha quantomeno avuto il merito di risvegliare le coscienze degli studenti di tutta la nazione, accorsi da ogni parte nel centro Londra per partecipare alla manifestazione.
 
Una mobilitazione di massa fra le più cospicue degli ultimi decenni: un fiume umano che, dalle 11.00 a mezzanotte inoltrata, ha congestionato il cuore della City estendendosi da Bloomsbury a Millbank ed ha letteralmente assediato il Parlamento al momento della votazione.
 
Io sono italiano, ma vivo in Inghilterra da poco più di tre mesi. Ho scelto coscientemente (e, senza ipocrisie, non troppo a malincuore) di abbandonare il mio paese perché convinto che l’Università che attualmente frequento potesse offrirmi il meglio in circolazione per quanto riguarda il mio campo d’interesse. E non ho avuto motivo di ricredermi: gli eventi degli ultimi giorni, piuttosto, mi hanno dato un’importante conferma.
 
La reazione di studenti e istituzioni universitarie è stata esemplare. Alcuni atenei hanno concesso un giorno libero per consentire la partecipazione all’evento, e la stragrande maggioranza si è fatta trovare pronta: considerando che la legge non sarà retroattiva (e pertanto non condizionerà chi è già iscritto all’università), mi ha impressionato constatare che un’ingente porzione dei manifestanti fosse costituita da laureandi o dottorandi, tutti in procinto di abbandonare definitivamente il sistema.
 
Io stesso ho partecipato alla protesta e, benché i disordini facciano notizia e sia comprensibile che venga loro dedicata maggiore attenzione rispetto alla manifestazione vera e propria o ai raggiungimenti della stessa, sono stato deluso da come giornali e televisioni hanno riportato l’avvenimento.
 
La situazione è stata gestita dalle forze dell’ordine con un’impreparazione soltanto apparente. Nonostante l’attacco all’auto del Principe Carlo (comunque verosimilmente condotto da un manipolo di individui che poco o nulla avevano a che fare con il resto dei manifestanti), che lascerebbe presagire il contrario, la Metropolitan Police si è presentata all’appuntamento perfettamente consapevole di ciò che sarebbe accaduto, con agenti muniti di tuta antisommossa e transenne a delineare il percorso dei dimostranti fino a Whitehall, dove i primi tumulti sono scoppiati.
 
La manovra attuata dagli agenti a Westminster viene, in gergo, chiamata “kettling”: la folla viene circondata e stretta in una morsa soffocante dagli ufficiali a cavallo, la famosa “Mounted Branch” (peraltro solitamente mobilitata esclusivamente in stato di allerta estrema), e da agenti provvisti di scudo, finché la reazione non diventa inevitabile. Nel tentativo di sottrarsi all’attacco, 43 civili sono rimasti feriti: Alfie Meadows, studentessa della Middlesex University, ha riportato lesioni particolarmente gravi e delle indagini sono in corso per determinare le modalità dell’accaduto.
 
Non è mai facile assegnare la responsabilità di eventi simili ad una fazione specifica. E’ inutile negare che i manifestanti sanno bene come provocare e non si fanno problemi a reagire se sollecitati. E’ altrettanto vero, tuttavia, che in questo caso scarse contromisure sono state prese per scongiurare l’eventualità della sommossa: viene piuttosto da pensare, anzi, che oltre ad essere ampiamente prevista sia stata anche incoraggiata. E mi permetto di parlare perché, seppur non a distanza così ravvicinata dal vivo dell’azione, anch’io mi trovavo a Whitehall.
 
Solo 28 fra i Liberal-Democratici ieri presenti alla House of Commons, malgrado le dichiarazioni di compattezza in merito alla questione risalenti al giorno prima, hanno approvato il disegno di legge. Meno della metà.
 
Viene da pensare che la protesta abbia funzionato, seppure parzialmente, e ciò lascia presagire bene per il futuro: di certo scendere in piazza non è inutile. Ma se si continua a parlare della macchina imbrattata di Carlo d’Inghilterra, temo, tutto questo passerà inosservato.

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