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I malumori del governo: braccio di ferro Tremonti-Brunetta

Mister Br di nuovo pronto a dimettersi: "ho messo a disposizione il mio mandato, in questo momento non so se sono ancora Ministro", dice il responsabile della pubblica amministrazione.

Renato Brunetta alza il tiro della polemica sulla legge "anti-fannulloni" e riduce il tempo della minaccia di dimissioni inizialmente fissato in due mesi: "o il mio decreto viene trasmesso alle Camere entro due giorni o mi dimetto", afferma parlando ad una platea sindacale cislina alla quale subito dopo, chiede di dargli "una mano perché con voi l’accordo si trova sempre. Ci sono molte resistenze che non sono le vostre... ". Fa sapere inoltre, di aver già consegnato le dimissioni nelle mani del Presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi.

La cosa, realisticamente parlando, fa sorridere e non fa più notizia anche perché alle dimissioni dei politici italiani non ci crede più nessuno!

Ma cosa c’è realmente dietro le continue minacce di Mister Br di mollare tutto? L’oggetto del contendere non è certo l’efficacia e la trasparenza degli uffici pubblici, nè tantomeno la presunta lotta ai "fannulloni", ma è strettamente di natura politica: ci sono "resistenze" al decreto legislativo che dovrà attuare la riforma della pubblica amministrazione, cosa alla quale Brunetta, dopo il premio Nobel, tiene di più.

Mister Br non può fallire anche in questo, ne va di mezzo la sua "autostima". Per quanto attiene alla nostra, beh quella non l’ha mai avuta. Dette "resistenze", ha ribadito più volte a Fiuggi, dov’è stato ospite d’onore al congresso degli amici della Cisl "non arrivano dal sindacato, ma dall’interno del mio governo".


Non fa nomi ma la polemica è dichiaratamente con un altro professore: il Ministro dell’Economia Giulio Tremonti. Anche se poi, il vero destinatario dello sfogo, è sempre "il grande capo". Due, in particolare, i temi su cui Tremonti si è messo di traverso. Il più importante è l’"authority" che dovrà valutare l’efficienza dei dipendenti statali; l’altro è l’introduzione della "class action" nella pubblica amministrazione.
 

Facciamo un passo indietro. Il 15 marzo scorso il Parlamento ha approvato la legge delega per introdurre "efficienza e trasparenza" nella pubblica amministrazione. Ora questa legge, per diventare operativa, ha bisogno dell’approvazione del decreto legislativo. Il testo è stato approvato in via preliminare dal Consiglio dei Ministri l’8 maggio scorso e adesso dovrà fare il giro delle sette chiese (Conferenza unificata per la valutazione da parte di Regioni ed enti locali, Cnel, Commissioni parlamentari) prima di tornare a Palazzo Chigi per l’approvazione definitiva.
 
Brunetta, nei giorni scorsi, ha posto un ultimatum: "O si chiude entro sessanta giorni o io me ne vado". Con chi ce l’aveva, l’abbiamo appena detto. Giulio Tremonti si era già detto perplesso e in questi giorni ha ribadito che non intende dare la sua approvazione al provvedimento.

Ecco le motivazioni di via XX Settembre. Allo stato attuale delle cose, il controllo economico sulla pubblica amministrazione e la gestione del personale, ricade sotto il Ministero di Tremonti (quello di Brunetta è un dicastero senza portafoglio, collocato all’ombra di Palazzo Chigi). Nel momento in cui dovesse diventare operativa l’"Autorità indipendente per la valutazione dell’efficienza delle procedure", voluta da Brunetta (composta da cinque esperti proposti dal Ministero per la pubblica amministrazione e da quello per l’attuazione del programma con un costo di oltre 4 milioni di euro), le leve che comandano la burocrazia passerebbero a Palazzo Chigi.

La nuova authority dovrà dettare i criteri per stilare l’elenco dei “buoni” (il 25% dei dipendenti pubblici che avranno il massimo del premio di produttività), dei “così, così” (il 50% dei travet con meriti inferiori, che riceveranno metà del premio) e dei “cattivi” (quelli che resteranno a bocca asciutta). Insomma -a parte il Ministro delle Pari Opportunità, Mara Carfagna, che ha contestato il meccanismo degli aumenti di merito puntualizzando che avrebbe penalizzato le donne in maternità- il nocciolo della questione è politico: il potere vero non sarebbe più in mano al Ministro del Tesoro.

Il resto delle perplessità di Tremonti sono legate alla “class action” che, così come disegnata da Brunetta, comporterebbe il rischio amministrativo di un pericoloso contenzioso, con relativo blocco del funzionamento degli uffici, ed il rischio politico che la “class action” del settore statale faccia da battistrada per qualcosa di analogo, e magari di più rigoroso, nel privato. E si sa che "il governo degli imprenditori" intende andare molto cauto sull’argomento.

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