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I due Antonio nella pescheria, cicorie e finocchi dal sapore di neve

Anche stamani, veloce puntata, sempre piacevole e gradita, nei miei conclamati luoghi dell’anima, Castro e Marittima, con immancabile passaggio, e conseguente fugace sguardo innamorato, al cospetto dell’insenatura “Acquaviva”, minuscolo sito naturale di struggente bellezza.

Come accade di solito, la prima sosta della “Golf” è sull’uscio della pescheria per antonomasia della Perla del Salento, già “Adriatica” o “Cooperativa Adriatica”, da qualche tempo, invece, portante la denominazione di “Mediterranea” e gestita da (O)Ronzino.

Oggi, dopo circa una settimana di serio condizionamento, se non d’integrale fermo, arrecato alla locale gente di mare dalle eccezionali precipitazioni nevose, per di più, a tratti, accompagnate da forti soffi di tramontana, sì da assumere le caratteristiche di autentiche bufere, il bancone di vendita dell’esercizio si presenta ben rifornito, segno che gli amici castrioti che vivono di pesca hanno avuto agio di riprendere la loro attività.

Presenti numerosi avventori, a catturare il mio sguardo, in particolare, una cassetta di sontuose orate, un’altra di freschi calamari di grossa dimensione, apprezzabili quantitativi di triglie, merluzzi e ricciole e, poi, cefali, salpe, ombrine, pesci serra e boghe in abbondanza.

A parte il vasto assortimento ittico, durante la mia sosta da Ronzino, sfociata nell’acquisto di due calamari, un merluzzo e una salpa, sono stato colpito da un estemporaneo, simpatico duetto fra due amici pescatori, entrambi portanti il nome del Santo di Padova: Antonio ‘u (figlio di) Nunzio, un gioviale gigante con i baffi, capo barca del natante consortile qui chiamato “chianci” e Antonio, figlio di Adriano e per nonno un altro Antonio, un ragazzone/omone prossimo ai trent’anni, facente parte (forse, è l’elemento più giovane) dell’equipaggio dell’anzidetta “chianci”.

I due omonimi, oltre a lavorare a bordo del barcone, sono anche proprietari di battelli personali che, quando il mezzo grande è a terra o non esce, utilizzano per svolgere attività di pesca, diciamo così, individuale.

Nella circostanza, si trovano nell’esercizio commerciale esattamente in veste di operatori in proprio e si accingono a conferire il frutto del loro lavoro, riposto in semplici sacchetti di plastica.

Il turno, spetta per primo ad Antonio il giovane, il quale depone sul piatto della bilancia, in ordine, un certo quantitativo di ombrine e pesci serra, a seguire un po’ di scorfani ancora vivi e, alla fine e con tanta cura e accortezza, un prezioso esemplare (mezzo chilogrammo di peso) di cicala.

Trascorrono alcuni minuti per la consegna del suo pescato, non dimostra di aver fretta Antonio marinaio semplice, tanto è che, a un certo punto, l’altro, il comandante, sbotta, celiando sorridente: “Ma insomma, non finisci mai, tu, quanta roba hai preso?”.

E il povero, a schermirsi, confidando e lamentando che il ricavato di oggi sarà a mala pena sufficiente a compensare la spesa per la riparazione di un guasto occorsogli al salpa rete.

Il secondo Antonio, a sua volta, depone sulla bilancia un’ombrina e un pesce serra di medie dimensioni.

Con questa scena, termina la mia visita alla pescheria, passo, quindi, a bere un caffè alla “Chianca” e rimonto in macchina.

Appena un centinaio di metri più avanti, sfioro due altri castrioti, i quali, approfittando subito del sole piacevole e al fine di recuperare i giorni trascorsi inevitabilmente tra le mura domestiche, hanno appena intrapreso, come spesso fanno, una passeggiata lungo la litoranea. Scambio di saluti al volo, auguri per il nuovo anno e via.

Di lì a poco, sono all’altezza della mia cara insenatura “Acquaviva”, arresto d’istinto il motore e catturo, intensamente sino a lasciarmelo penetrare dentro, l’azzurro splendente della piccola distesa, incuneata fra i suoi due costoni fino a ieri chiazzati di manto candido.

Guadagno casa mia, compiendo anche una leggera scivolata, per fortuna senza danni, su un tratto di cortile ancora ghiacciato, per cambiarmi le scarpe e attrezzarmi con un paio di guanti che adopero per i lavori agricoli.

L’obiettivo è di cercare di recuperare, da minuscolo coltivatore diretto per la prima volta chiamato ad affrontare i postumi di una nevicata addosso alle coltivazioni orticole in un vicino giardino e alla Marina ‘u tinente, qualche pianta di cicoria e un po’ di finocchi.

Per buona sorte, le piante in discorso non sono state bruciate dal gelo e si presentano ancora in vita, seppure parzialmente ammaccate e con le foglie spiegazzate.

Ad ogni modo, mi va bene; mentre maneggio, ai fini della raccolta, un comune coltello da cucina, provo una sensazione strana e inedita nel contatto con quegli ortaggi frammisti alla terra, già rossa e ora umidiccia e abbrunitasi, e ai residui nevosi.

Tuttavia, a prevalere sono certamente sentimenti di contentezza e di appagamento per le immagini e i frutti concreti del mio odierno breve ritorno ai luoghi natii e/o delle vacanze durante le belle stagioni.

Idealmente e interiormente ben sostenuto, subito dopo mezzogiorno, riprendo la “Golf”, arrivando a varcare la soglia dell’abitazione cittadina puntualmente per il pranzo.

 

12 gennaio 2017

Rocco Boccadamo

Lecce

 

 

 

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