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Guerra e voto, c’è la voglia d’Europa ma anche disillusione e paura nell’Ucraina post-Maidan

Il deisiderio di cambiamento e le tensioni nel Donbass e in Crimea serpeggiano quando manca poco poco più di un mese alle elezioni per scegliere il nuovo inquilino di Palazzo Mariyinsky. A differenza di cinque anni fa,quando spodestarono Viktor Janukovyč ed elessero Porošenko al primo turno, rimane forte il desiderio d'Europa, ma anche la disillusione e l'impressione che molto debba ancora essere fatto.

I soldati corrono veloci, lungo le trincee innevate di Avdiivka, a Donetsk, tra le zone più duramente colpite nei cinque anni di Guerra nel Dobass. Lì, dove il silenzio regna, rotto dal rumore dell'artiglieria dei cecchini filo-russi e degli ufficiali ucraini, la vita scorre lenta. Nonostante gli accordi internazionali, c'è guerra a singhiozzo: ogni giorno la tensione scorre sul filo del rasoio, spesso mettendo a dura prova la vita dei civili, presi nella morsa di una guerra senza senso. Ci si esercita, ma si combatte anche. Dall'inizio del conflitto ad oggi sono stati più di 20 le tregue, l'ultima lo scorso 29 dicembre. Poi di nuovo gli spari, anche di artiglieria pesante. E' successo nei giorni scorsi a Spartak, a nord di Donetsk e a Leninskoye, Oktyabr e Sakhanka, a sud. In queste zone, nei periodi difficili, si può rimanere bloccati anche tre giorni nei checkpoint, e compiere azioni più semplici come comprare il pane o ritirare le pensioni è un impresa ardua. Uscire di casa è pericoloso e in molti tra un mese non potranno nemmeno votare. “Spesso i combattenti ci dicono di non interferire con la politica. Ma noi rispondiamo che è la politica ad interferire con le nostre vite!” racconta una pensionata di Sakhanka.

I venti di guerra turbano anche i cieli. Lassù i rombi delle flotte della Viys'kovo-Povitriani Syly Ukrayiny, l'areonautica militare ucraina, pattugliano continuamente lo spazio aereo, nel tentativo di respingere le avanzate oltreconfine dei russi. Hanno avuto più rilevanza mediatica, invece, gli echi degli scontri navali nello stretto di Kerch, al largo delle coste orientali della Crimea, lo scorso novembre, quando una nave della Guardia Costiera russa ha speronato e fatto fuoco su un rimorchiatore ucraino, arrestando poi tutti i 24 marinai dell'equipaggio, detenuti tuttora a Mosca, in quello che doveva essere un normale passaggio navale attraverso lo “stretto della discordia”, il nomignolo affibbiatogli dopo l'inaugurazione del Ponte di Kerch, lo scorso maggio.

Una “discordia” che da regionale è diventata sempre più globale, tra Occidente e Russia. E' così anche sul versante economico. Secondo fonti governative russe, le sanzioni tra Russia e Occidente hanno danneggiato il Cremlino per 6,3 miliardi di dollari, l'Unione Europea per 2,4 miliardi di dollari e, in terza posizione dopo gli Stati Uniti, c'è proprio l'Ucraina (con 775 milioni di dollari). In tutto sono ben 668 le aziende ucraine colpite e 322 individui banditi, tra cui politici o familiari di esponenti politici, come l'ex premier Julija Tymošenko e Oleksjy Porošenko, figlio del ricco presidente in carica Petro Porošenko. Tante le sanzioni anche verso Mosca: sono infatti più di 400 le aziende russe colpite da restrizioni e mille persone bandite dall'Ucraina, tra cui il Ceo di Gazprom Alexey Miller.

Tensioni che si riflettono anche sulla bilancia commerciale del Paese: nel 2017, prima dell'entrata in vigore degli accordi di libero scambio con L'Ue, la differenza tra importazioni ed esportazioni ha registrato un tasso negativo per 5,5 miliardi di dollari, con un trend che dal 2014 è calato mediamente di 10 punti percentuali nelle importazioni e di un - 8,16 percento nelle esportazioni. Le pensioni sono ancora basse mentre il lavoro è in ripresa: è dell'8 percento il tasso di disoccupazione, in calo di circa un punto percentuale rispetto all'anno precedente. Una buona notizia se si considera che il Donbass è uno dei centri industriali più sviluppati del Paese. La moneta nazionale, la grivnia, negli anni si è svalutata: a marzo del 2014 valeva 73 eurocent, ora 33. Mentre nello stesso periodo un dollaro valeva 95 centesimi e ora 37. Negli ultimi cinque anni il rapporto tra debito pubblico e Pil è quasi raddoppiato: da 36,6 a 71,8 percento e secondo il direttore regionale della Banca Mondiale Satu Kahkonen, se le previsioni di crescita attuali dovessero essere confermate, Kiev impiegherà almeno 100 anni per raggiungere gli standard dei vicini paesi europei.

L'Europa dal suo canto non ha lesinato sostegno a Kiev. Dopo aver esteso fino a marzo le vecchie sanzioni, innescate proprio per le ingerenze russe in Ucraina, il Consiglio Europeo ha deciso di varare nuove sanzioni, a seguito proprio dei fatti di Azov, e proprio nei giorni in cui si celebrano i 5 anni dall'esplosione delle proteste dell'EuroMaidan, il più grande raduno pro-europeista mai avvenuto nella storia, scoppiate contro Viktor Janukovyč. Una marcia, quella verso Bruxelles, che l'attuale presidente ucraino Petro Poroshenko, il quinto nella storia del Paese, eletto come baluardo dei tumulti dell'EuroMaidan, intende proseguire: proprio in questi giorni, dinanzi ai deputati della Verchovna Rada, il parlamento di Kiev, Poroshenko ha firmato la legge che di fatto ha introdotto nella Costituzione ucraina gli obiettivi di integrazione nella Nato e nell'Ue. Un nuovo decisivo passo verso l'Occidente in vista delle elezioni del 31 marzo, quando, i cittadini torneranno alle urne per le elezioni presidenziali.

Sono circa 34 milioni gli ucraini attesi al voto e ben 44 i candidati presidente, tredici in più rispetto alla precedente consultazione. Un numero che da qui al 7 marzo, deadline per il ritiro della candidatura, è destinato a scendere. Un po' come avvenne nella precedente consultazione quando il celebre pugile Vitaly Klitschko si tirò indietro per non ostacolare Poroshenko, che fu poi eletto presidente al primo turno col 54,7 percento dei voti, davanti a Julija Tymošenko (12,81 percento) e al giornalista Oleh Lyashko (8,32 percento). Un successo scaturito sulla scia delle speranze di un cambiamento che sotto molti punti di vista non è arrivato. Stando ad un recente sondaggio l'Istituto internazionale di sociologia di Kiev (KIIS), più di un quarto della popolazione (il 26,9 percento) intende supportare l'attore comico Volodymyr Zelensky, che staccherebbe di quasi 10 punti percentuali (17,7) l'attuale presidente, e più di dodici la “Giovanna d'Arco” della “Rivoluzione Arancione” Julija Tymošenko (15.8), anch'essa come gli altri due contendenti filo-europeista. Secondo un altro sondaggio nella sempre più probabile evenienza in cui Zelensky arrivasse al doppio turno, sarebbe proprio quest'ultimo a prevalere, sia su Poroshenko sia su Tymošenko, mentre in caso arrivasse terzo, la differenza sarebbe minima ed entrambi i suoi principali avversari avrebbero pari chances di aggiudicarsi la vittoria.

Zelensky appare il volto nuovo dell'Ucraina, il suo partito “I servi del popolo”, prende nome proprio dalla serie tv che lo ha lanciato. Nonostante i proclami di essere un politico anti-establishment, anti-corruzione e un sano precursore della democrazia diretta, anche la sua candidatura appare inficiata. Forte, infatti, è il sospetto che sia spalleggiato da Ihor Kolomoyskyi, considerato uno dei tre uomini più ricchi del paese, nonché suo editore, in passato in rotta con Poroshenko.

Kolomoyskyi, concittadino di Zelensky, possiede un impero che nel 2015 è stato stimato da “Forbes” di 1,36 miliardi di dollari: sue le partecipazioni in alcune aziende di trasporti e del calcio ucraino (Dnipro). Tuttavia una delle sue aziende, la PrivatBank, è stata nazionalizzata nel 2016 per via per via della cattiva sua gestione, che avrebbe potuto, di fatto, generare una più ampia crisi finanziaria nel Paese. PrivatBank ha perso quasi 6 miliardi di dollari e sui suo conti pesano i sospetti di numerose frodi. In molti credono che Zelensky sia sostenuto economicamente da Kolomoyskyi, che già in passato avrebbe sostenuto altri candidati presidente.

L'Ucraina ha bisogno di un cambiamento, lo pensano sette ucraini su 10. Il desiderio di emanciparsi dalla Russia e di avvicinarsi ai valori europei è vivo nelle coscienze della gente. Tra questi c'è sicuramente Yevgen Nasadyuk, un trentatreenne imprenditore, tra i sopravvissuti alle proteste dell'EuroMaidan. Se si guarda indietro Nasadyuk tira un sospiro di sollievo, pensa che il suo Paese è salvo, ma che molte promesse fatte, anche da personaggi della politica attuale, debbano ancora essere mantenute.

 

 

 

 

 

 

 

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