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Grecia: sotto le ceneri, gas e petrolio

Dopo l'accordo con i creditori della scorsa settimana, la Grecia cerca ora altre strade per ridurre il proprio ipetrofico debito pubblico.

Diversi anni fa alcune ricognizioni geologiche lungo le coste occidentali determinarono l'eventualità che sotto i fondali potesse celarsi un discreto giacimento di idrocarburi. L'idea è stata ripresa in considerazione, e oggi il governo greco sta esaminando le offerte di otto compagnie per i diritti di esplorazione in un'area di circa 220.000 kmq compresa tra il Mar Ionio e l'isola di Creta. Le prime concessioni dovrebbero essere approvate entro aprile e l'investimento iniziale previsto dalle aziende di ricerca si aggira sui 40 milioni di dollari. Sfruttare tali risorse rappresenterebbe una vera boccata d'ossigeno per le esangui finanze greche, posto le importazioni di petrolio ogni anno equivalgono a circa il 5% del PIL di Atene.

L'idea di sviluppare i giacimenti offshore risale al dicembre 2010, quando pareva che la crisi greca potesse ancora risolversi senza ridurre il popolo greco alla fame con manovre lacrime e sangue o saccheggiare il settore pubblico con un banchetto di privatizzazioni. Alcune stime preliminari redatte da un gruppo di esperti su incarico del Ministero dell'Energia solo un anno prima parlavano di un potenziale di 22 miliardi di barili nel Mar Ionio al largo della Grecia occidentale e più di 4 miliardi di barili nel Nord Egeo. E tali numeri sono passibili di essere ritoccati al rialzo, se pensiamo che il Sud dell'Egeo e il Mare di Creta non sono ancora stati sondati. Anzi, secondo gli esperti la Grecia è ancora uno dei Paesi meno esplorati d'Europa per quanto riguarda la ricerca di fonti fossili, con potenziali giacimenti da svariati miliardi di dollari.
Casualmente, proprio quando il governo tira fuori questo rapporto dal cassetto le agenzie di rating si scatetano con la loro raffica di declassamenti. Il resto è storia nota.

L'idea che la Grecia possa ridimensionare la crisi del proprio debito – se non proprio risolverla del tutto – grazie ai propri giacimenti non è un mero wishful thinking. Anche se solo una frazione delle risorse in questione fosse effettivamente disponibile la situazione finanziaria ellenica cambierebbe radicalmente.


Il prof. David Hynes della Tulane University, esperto di petrolio e fonti di energia, sostiene che gli idrocarburi nascosti sotto i fondali delle coste elleniche permetterebbero alla Grecia di ripagare quasi interamente il suo debito. Egli stima che lo sfruttamento delle riserve già scoperte potrebbero portare il paese più di 302 miliardi di dollari (302 seguito da nove zeri!) nell'arco di 25 anni – ricordo che prima dell'accordo con i creditori il debito nominale toccava quota 350 miliardi.
Per salvarsi dalla bancarotta, invece, il governo greco è stato costretto ad accettare licenziamenti, tagli salariali e pensionistici e un'ondata di aumenti fiscali per accedere ai prestiti elemosinati dalla UE e dal FMI, noncuranti questi ultimi del declino economico a cui tali misure draconiane stanno spingendo il Paese, con il PIL al -6,8% nel 2011.

Le speranze di ripresa per mezzo delle ricchezze nei fondali stanno ora sfumando grazie al piano di privatizzazioni imposto dall'Europa. Nei giorni scorsi Atene ha messo sul piatto la prima delle sei imprese che si è impegnata a vendere: Depa, monopolista ellenico del gas, di cui lo Stato detiene il 65% del capitale. L’obiettivo è incassare subito 4,5 miliardi per arrivare, attraverso altre dismissioni, ad un totale di 19,5 miliardi entro dicembre del 2015. Spiccioli, in confronto al tesoro custodito in fondo al mare. È forse un caso che il primo gioiello di famiglia ad essere sacrificato sull'altare dei mercati sia proprio un'azienda energetica? Non sarà forse che l'Europa stia cercando di mettere le mani sui giacimenti di Atene per garantirsi un'alternativa a buon mercato a quelli norvegesi in via di esaurimento?

Tra l'altro, il primo vero boccone messo sul piatto dal governo greco potrebbe conquistarlo la Russia. Depa è stato il principale sostenitore - con l'italiana Edison - del progetto Itgi (Interconnettore Italia-Grecia), la struttura proposta in alternativa al Nabucco (che non si farà più) per trasportare in Italia il gas dal Mar Caspio, affrancando (in parte) il Sud Europa dal monopolio russo di Gazprom. Il consorzio che sta sviluppando il bacino di Shah Deniz aveva deciso di accantonare il progetto proprio per i timori sulla situazione finanziaria della Grecia: troppe le incognite sulla vendita di Depa, sui futuri proprietari, sulla volontà di proseguire nell’investimento. A fine febbraio i dirigenti di Gazprom hanno avviato i primi contatti col governo di Atene per l'acquisizione dell'azienda. Se Depa finirà in mani russe, l'Itgi tramonterà del tutto. E con esso, probabilmente, la speranza che l'alimentazione delle nostre stufe in inverno non sia condizionata dai capricci di Putin.
Ora sappiamo che la crisi greca non riguarda solo le banche franco-tedesche, bensì anche le oil companies del Vecchio continente. Tuttavia, alla fine Bruxelles potrebbe aver fatto male i calcoli. A vantaggio di Mosca.

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