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Governo Monti: si stava meglio quando stavamo peggio?

“Al peggio non vi è mai fine”. E ancora: “Si stava meglio quando stavamo peggio”. Due fra i tantissimi detti popolari italiani che sembrano trovare massima applicazione all’odierna realtà economica e politica in Italia.

Siamo appena usciti – e non del tutto in realtà – da un ventennio bislacco che ha fatto urlare, ridere, riflettere e tuonare mezzo mondo. Dell’Italia e sull’Italia è stato detto e scritto tutto il dicibile, l’indicibile e lo scrivibile. Motivi? Tanti. Obiettivi? Pochi. Risultati? Troppi.

Siamo passati da un governo che vent’anni fa circa, stringeva “patti con gli italiani” di dubbia messa in atto, alle querelle televisive caotiche quanto di dubbio gusto e contenuto, via via alle vicende sempre più private e meno civili e pubbliche di un Premier che ha fatto dell’Italia una sorta di isola che non c’è. Un mondo estremo e troppo virtuale per chi ancora non comprende le strategie e gli estremi di una società che scambia troppo spesso ormai il virtuale col reale.

Abbiamo conosciuto l’ora della fiducia e l’ora della delusione. L’ora dello scandalo e l’ora della rabbia. Attimi di parossistica rappresentazione di un grande Nulla politico e sociale, contrapposto ad una economia sempre più tesa allo sfruttamento delle risorse umane come unico scopo della propria esistenza.

Ma anche alla rappresentazione oscena di una storiaccia tutta italiana che fa dei cittadini un peso e mai una risorsa. Debito pubblico? Che novità. Ricordo – erano ancora gli ultimi anni ’90 – i tempi in cui già si celavano le vere cifre di un buco di bilancio che faceva già arrossire e bestemmiare. Un giorno, non si sa come, non si sa chi, venne fornita una cifra, attraverso le pagine dei giornali. E questa cifra, totalmente diversa da quella conoscuta dai più, era così enormemente dissimile da ciò che si sapeva, che l’Italia ebbe un sussulto.

Per anni poi, si è giocato a rimpiattino e l’unica cosa certa e registrata nelle pagine della storia contemporanea, è stata quella di perdere del tutto i confini ed i fondamenti di criteri quali la politica, l’amministrazione equa del territorio e la componente – sempre più rimossa e fraintesa – di quei credo politici fatti di colori ed opposizioni, che mai prima erano stati toccati, pena il decadimento della fiducia dell’elettorato italiano.

In una manciatina di anni, chi è stato via via posto ai vertici della nazione, ha scomposto, confuso, tagliato, diversamente etichettato, tutto ciò che ci era noto. Abbiamo perso sicurezze estreme e tradizioni, ideali e passioni. E la capacità di guardare ad un futuro amico, anziché perverso e sconosciuto. La politica degli ultimi venti anni, è servita solo ad operare un grande cambiamento. Che trova radici nel tessuto italiano partendo proprio dalle fondamenta: i cittadini comuni.

Oggi, in pochi si è in grado di comprendere da quale parte si sceglie di stare. Ci hanno tolto la passione e l’orgoglio. La speranza e la fede. Politica.

E’ stato sfrondato tutto di quegli inutili orpelli chiamati “convinzione” o “idealismo” o “parte di qualcosa di certo”. Il tutto poi, condito dallo sfregio di personaggi bislacchi che hanno fatto del loro ruolo il proprio tornaconto personalissimo, senza mai prendere in considerazione gli spettatori di questa grande ed inutile rappresentazione del Nulla: quei cittadini che oggi, dopo anni di vessazioni di ogni tipo, rinuncia dei propri diritti e delle fondamenta di una Democrazia troppo detta e mai operata, si ritrovano oggi orfani di troppe cose e convinzioni.

L’italiano medio, inizia davvero ad agonizzare. Se fino ad oggi si è basato tutto sulla consapevolezza che il risparmio ha tenuto in piedi la Nazione, ebbene oggi quel risparmio, intaccato, violato, estremizzato, sta dando i frutti amari di una sconfitta. Italiani più poveri. Questa volta davvero. E più incerti. Questa volta sul serio. Passaggi ambigui da un governo politico ancorato a poche individuali convinzioni, ad uno tecnico che non sa che far di conto e basta.

Monti il Professore, il Premier senza elettorato. Il censore delle ultime speranze in seno ad italiani sempre più sconcertati, quasi ci fa pensare che prima, pur stando peggio, si stava meglio. Perché fra un Porcellum ed un governo eletto per convenienza di pochi c’è poca differenza, se all’atto pratico nessuno mette mano ad una ampia riflessione ed a mille ripensamenti sulla questione italiana in quanto popolazione e quindi risorse da sostenere. Nulla è cambiato e nulla pare possa ancora cambiare.

Abbiamo sperato che chi è avvezzo a ragionare tecnicamente, potesse salvarci da chi è palesemente abituato a pensare solo a se stesso. In realtà, cambiando i fattori il risultato non cambia. Mai. Così, nessuno più potrà fermare la corsa all’annullamento dell’ultimo straccio di equità e decenza, in un paese che di indecenza ha vissuto negli ultimi 70 anni di Storia.

Prima, vittime dei “liberatori della patria”. Ora vittime delle nostre stesse scelte e di un criterio infame che non rappresenterà mai più i cittadini ma solo i propri aguzzini. Ormai è cosa palese e nota: se i cittadini di una nazione vengono considerati “un peso sociale” l’arma di distruzione di massa si chiama solo in un modo: Governo. Politico o tecnico che esso sia.

Le soluzioni? Nessuna, finché addebiteremo a noi stessi la sconfitta.

 

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