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Gli arsenali nucleari sono tutt’altro che sicuri

Nell'ultimo vertice sulla sicurezza nucleare, tenuto a Washington nel 2010, il presidente Obama si fece promotore di un ambizioso progetto, sottoscritto da una cinquantina di Paesi, volto ad assicurare protezione a tutte le scorte globali di uranio arricchito (Heu) entro il 2014. Adesso uno studio pubblicato dalla ong americana Nuclear Threat Initiative, redatto per valutare i progressi compiuti in vista del prossimo vertice sul tema in programma a Seul a fine di marzo, lancia l'allarme sulla vulnerabilità di tali scorte a possibili di furti da parte di terroristi o di gruppi criminali.

La ricerca è opera di un team di esperti internazionali per stabilite il livello la sicurezza dei materiali atomici conservati in centinaia di siti nei 32 Paesi che (ufficialmente) detengono più di un chilo di Heu, oppure una qualunque quantità di plutonio.

Gli esperti hanno preso in considerazione cinque parametri per ciascun Paese: la quantità di Heu disponibile e il numero dei siti in cui è stoccata; il livello di protezione garantito in ogni sito; la trasparenza e l'applicazione di standard internazionali; la capacità e la volontà di ogni Stato di applicare tali standard; fattori sociali quali la stabilità politica, la corruzione e l'esistenza di gruppi sovversivi che cercano di acquisire il materiale nucleare.

E' interessante esaminare la graduatoria dal basso. Sul fondo troviamo Corea del Nord (37), Pakistan (41) e Iran (46). La scarsa trasparenza della prima, l'instabilità interna del secondo e entrambe le ragioni per il terzo giustificano questo giudizio. Risalendo troviamo Vietnam (48), India (49), Cina (52). Le dimensioni delle scorte e la corruzione dilagante giustificano la bassa posizione in classifica.

Israele, a causa di una mancanza di trasparenza che riflette la sua ambiguità sul tema della proliferazione, si classifica 25esimo su 32 (56). La Russia è 24esima (65); il Giappone 23esimo (68).

Per quanto riguarda le altre potenze nucleari, la Russia, la Francia 19esima (73), gli USA 13esimi (78) e il Regno Unito decimo (79).

In cima alla classifica di sicurezza troviamo Australia (94 su 100), Ungheria (89) e Repubblica Ceca (87). L'Australia vince soprattutto per il fatto di avere modeste quantità di materiale, il che riduce i problemi di stoccaggio e conservazione.

Il Regno Unito si colloca in alto per la gestione generale, ma è classificato in basso per la quantità dei siti disponibili. Inoltre, attraverso il riprocessamento del materiale sta accumulando anche enormi quantità di plutonio. Stesso discorso per gli USA, a cui manca però lo stesso livello di sicurezza. E nei quali rimane alta l'allerta per possibili attentati.

Benché il comunicato della NTI rimarchi che tutti gli Stati possono e devono fare di più, è soprattutto a questi ultimi due Paesi che lo studio in questione si rivolge come raccomandazione per migliorare i propri sistemi di controllo.

Al di là di studi e classifiche, la realtà è che nonostante miliardi di dollari spesi in tutto il mondo per la sicurezza dei siti nucleari, centinaia di strutture risultano ancora non protette.La stessa IAEA non ha che una visione parziale della situazione, potendo monitorare solo le strutture strategiche dei siti dichiarati ma non le installazioni industriali e militari situate in prossimità.

In generale, secondo gli esperti, Russia, Kazakistan, Bielorussia e Ucraina hanno compiuto passi significativi per migliorare la sicurezza dei propri siti. Benché il rapporto NTI ne tessa le lodi, i maggiori problemi in termini di sicurezza vengono proprio dalla Russia, piuttosto che dalla Corea del Nord o dall'Iran.

Durante l'era sovietica, il Cremlino aveva accumulato una notevole riserva di uranio sia per scopi civili che militari. Con il crollo dell'Urss nel 1991, gli arsenali nucleari, sparsi su un territorio che si estende per oltre 8.000 chilometri distribuiti su 11 fusi orari, sono finiti nel mirino del terrorismo internazionale, sebbene si ritenga che non ci siano mai stati contatti tra la mafia russa e Al-Qa'ida o altre organizzazioni eversive.

Nonostante negli anni Novanta si rincorressero numerose voci su presunti furti di uranio arricchito, non esistono prove che ci sia stato davvero un contrabbando di materiale fissile. Ma non esistono neppure dati precisi sull'uranio detenuto nei magazzini russi, né sulle quantità sottratte nel corso degli anni. Mentre le cifre riguardanti i materiali fissili sono coperte dal segreto di Stato, gli esperti internazionali dell'istituto Sipri di Stoccolma hanno stimato che le riserve di plutonio russe ammontino in almeno 150 tonnellate, e quelle di uranio arricchito in 1.500. Sufficienti per produrre 85.500 testate. Ma sulle stime non si può essere certi perché non c'è mai stato un inventario fisico.

L'arricchimento dell'uranio (descritto qui) è la prima delle due fasi necessarie alla fabbricazione di un ordigno nucleare, ed è la più complicata poiché necessita di impianti sofisticati e molto costosi. In pratica è l'autentico sbarramento alla proliferazione. Progettare reattori adeguati a tale scopo richiede molti anni e molte risorse. 

L'altra fase è quella di assemblaggio, che è molto più agevole. Così agevole che anche un semplice laureato in fisica potrebbe riuscirci. Il know-how richiesto è abbastanza diffuso, e le strumentazioni necessarie sono ridotte all'essenziale. Pertanto, benché uranio arricchito e plutonio siano materiali difficili da reperire, essi sono tuttavia gli unici ingredienti per fabbricare un ordigno nucleareBastano 50 chili di uranio altamente arricchito ed il gioco è fatto. Per questo la sicurezza dei siti di stoccaggio è una questione di primaria importanza.

Due parole infine sugli USA. Se è vero che persino Israele avrebbe rubato uranio dagli arsenali americani per fabbricare armi nucleari, possiamo convincerci che anche la vigilanza dello Zio Sam non sia poi così efficace.

Questo articolo è stato pubblicato qui

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