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Giornalisti, liberate Internet dalle bufale per favore

Un mondo di webeti
Il 2015 si apre con un evento mediatico che ha una notevole eco soprattutto online. Siti internet, testate giornalistiche e social network riportano un intervento molto acceso di Umberto Eco:

«I social network hanno dato diritto di parola a legioni di imbecilli, i quali prima parlavano solo al bar dopo due o tre bicchieri di rosso e quindi non danneggiavano la società».

L’affermazione non è estemporanea. È stata pronunciata durante la conferenza stampa al termine del conferimento a Umberto Eco della laurea honoris causa in Comunicazione e Culture dei Media, da parte dell’Università di Torino, quando un giornalista chiede appunto di commentare il progressivo fiorire di “bufale” su internet e la loro propagazione virale sui social network.

L’osservazione di Umberto Eco è semplice: in rete ha lo stesso diritto di parola il premio Nobel e l’imbecille, quello che fino a pochi anni fa parlava al bar, senza per altro essere preso in considerazione da nessuno. Ma per Umberto Eco il problema non è tanto che entrambe queste categorie di persone abbiano, appunto, uguale diritto di parola, quanto piuttosto come fare a distinguere tra il premio Nobel e l’imbecille. Per Umberto Eco il segreto è una maggiore educazione al senso critico. Le persone hanno bisogno di filtrare le informazioni, selezionarle e capire cosa è attendibile e cosa no. Ognuno potrebbe farlo nel proprio campo, su argomenti che appartengono al proprio orizzonte di competenze, ma è difficile andare oltre. Secondo Umberto Eco la responsabilità di questo è in mano a due soggetti: la scuola e i giornali.

Per quanto riguarda la scuola, si chiede ad una generazione di digitali acquisiti che insegnino ad una generazione di nativi digitali come utilizzare al meglio le informazioni trovate in rete. Non è facile per maestri e professori. Ma il senso critico, come sottolinea Eco, può essere insegnato a prescindere da internet, perché è un valore precedente che qualifica la scuola come un luogo non solo di apprendimento nozionistico ma anche di crescita personale. Come racconta lo stesso Umberto Eco, Sant'Agostino era solito comparare diverse traduzioni greche per trovare la soluzione migliore: il senso critico è questo e parte dal confronto, dall'analisi, dalla decisione conseguente a questa comparazione. Di contro, i giornali dovrebbero essere in grado di attrezzarsi con uno staff di esperti nei vari settori, tali da potersi esprimere volta per volta, aiutando i lettori a districarsi tra le molte notizie. Il problema, invece, è che molte testate giornalistiche non sentono questa responsabilità, ma preferiscono cavalcare le varie bufale, gli scandali e le minacce di complotto soprattutto sui social network, pur di guadagnare qualche accesso in più.


Aspettando i giornalisti
Nel periodo immediatamente successivo all’attacco di Nizza del 14 luglio 2016, le autorità francesi hanno invitato gli utenti dei social media ad “agire in modo responsabile” ed “evitare la condivisione di voci e rumors”. I tweet da parte del governo francese evidenziano l’importanza e il ruolo dell’educazione ai media e l’impatto che gli spettatori digitali possono giocare in un momento di crisi, evidenziando la necessità di promuovere nuove norme e competenze in merito al comportamento online degli utenti (con dinamiche paragonabili a quelle legate al comportamento delle folle) quando si tratta di breaking news.

Quando tutto il mondo è testimone di questi eventi on-line, i giornalisti spesso diventano i primi “soccorritori digitali”, in grado di estrapolare i segnali dal rumore e fornire il giusto contesto alle informazioni diffuse online. Sul terreno, i vigili del fuoco e il personale d’emergenza hanno da tempo capito i benefici che derivano dalla formazione dei cittadini per quanto riguarda il primo soccorso e la rianimazione cardiopolmonare. Sul Web, i giornalisti devono dedicare parte del loro lavoro alla formazione degli utenti, dando alle persone gli strumenti e le competenze per interpretare il contesto all'interno del quale viene distribuita la notizia online.

In questa fase Google e Facebook, in particolare, configurano il panorama della diffusione delle informazioni come un oligopolio: sono in grado di governare i big data mediante l’automatizzazione della rielaborazione dei flussi di dati che forniscono tutti gli utenti, attraverso l’utilizzo degli algoritmi proprietari. Un potere oggi sufficiente ad orientare il senso comune di una grande moltitudine di persone, causando anche la diffusione di bufale e progetti editoriali discutibili. Risulta quindi fondamentale essere in grado di muoversi in modo più consapevole in una dimensione controllata dai grandi player dei media digitali, che oggi sono sempre più attivi nella selezione dei contenuti per gli utenti.

 

Foto: Giorgio Muratore/Flickr

Questo articolo è stato pubblicato qui

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