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Gheddafi, i ribelli e la morale contagiosa

Tanti oggi vanno affermando che in realtà non ci sono prove che Gheddafi stia compiendo un massacro. I turiferari di questo criminoso negazionismo sono gli stessi che, qualche settimana fa, si sono erti sul piedistallo per contestare il famoso discorso di Gheddafi, col quale dimostrava di essere tutto meno che un individuo sano di mente. Perché, in quel discorso e in quelli successivi, aveva detto che la Libia “sono io”, che bisognava “annientare i ribelli”, che avrebbe “ripulito la Libia casa per casa” per liberarla “da ragazzini drogati” e che se fosse stato necessario, avrebbe dato inizio a “una marcia santa” pur di “schiacciare la rivolta”. Infine, sarebbe “morto da martire”. E tutto quello che sta facendo sembra non smentire affatto le sue intenzioni, delle quali pure ci aveva messo preventivamente al corrente. Da questo punto di vista l’atteggiamento di Gheddafi non fa una piega. Il nostro sì.

Certamente dalla diplomazia non sono stati fatti sforzi sovrumani per evitare il ricorso al conflitto. Questa è una grave responsabilità che pesa e peserà molto sull’immagine dell’Onu. Ma fanno sorridere anche coloro che, riconoscendo questa inconfutabile verità, rintracciano in essa la causa principale del conflitto. Prima nessuno consigliava di trattare con Gheddafi, di trovare insieme a lui soluzioni diplomatiche, perché tutti eravamo impegnati in quell’attività sempre di moda dell’emanare giudizi e sentenze dalla faciloneria disarmante. Non si poteva andare al bar, al ristorante, neanche dal pizzicagnolo senza che fioccassero da ogni dove improperi sul “pazzo” Gheddafi, sul “criminale” Gheddafi, sul “disumano, mostruoso, abominevole” Gheddafi. Ora, quelle stesse persone sembrano designarlo come interlocutore più disponibile e accondiscendente di un prete durante una confessione. Non c’è ombra di dubbio che la diplomazia sia lo strumento al quale far ricorso per evitare qualsiasi conflitto armato, e che debba essere usato meglio e più responsabilmente di quanto non sia stato fatto nella vicenda libica. Colpevolmente, aggiungiamo. Ma non dimentichiamoci che quella dei ribelli è stata la prima ondata di protesta in ben 40 anni di regime del Colonnello. E il Colonnello non ha esitato un istante a scatenare l’ira di dio, o la sua ira che, data la cocente autostima del personaggio, sono un po’ la stessa cosa. Insomma, va bene criticare la real politik, ma sfociare nella fantascienza politica fa ridere i polli, a cui tanto assomigliamo. Gheddafi morirà, ma non lascerà mai il potere. Se non da “martire”.

Fino a ieri tutti, negli eccessi di quel pressapochismo moraleggiante che fa di noi sovente tanti piccoli Scilipoti - malati di opportunismo intellettuale mirante semplicemente a mettere a posto la nostra coscienza - abbiamo esecrato il personaggio Gheddafi. Oggi, anche se il Colonnello resta un satrapo criminale, in fondo ce lo abbiamo messo noi lì. E quindi l’intervento non è giustificato. Tuttavia c’è l’impressione che si dimentichi l’aspetto più importante. Che sono stati i ribelli a chiedere il nostro aiuto per la strage cui Gheddafi aveva dato inizio. Per quanto condizionato dagli immensi e ipocriti interessi che abbiamo in Libia, è giustificabile un nostro aiuto? Perché non c’è dubbio che facendo la guerra, facciamo (e la Francia in primis) i nostri interessi. Ed è naturale che sia così. Sarebbe bello che il mondo si muovesse tutto per motivi eminentemente umanitari. Sarebbe, appunto.

È altresì indubbio che, date per buone le motivazioni per cui si è dato il via all’attacco, tali motivazioni potrebbero essere spese per un intervento anche in Yemen e Bahrein. Ma ciò non avviene, perché evidentemente in Libia ci sono sempre gli stramaledetti interessi delle potenze occidentali. Questo, intendiamoci, è acclarato. Ma il fatto che non si intervenga in quei paesi basta da solo per motivare un’opposizione a un intervento in Libia? Questo dubbio è stato riassunto dall’Indipendent con l’espressione: “Perché mai dovrei mettere in ordine la mia cameretta quando tutto il mondo è incasinato?”. Si può semplicemente liquidare la questione affermando che, poiché non si interviene lì, non si deve intervenire neanche qui? Evidentemente, non basta.

E non proviamo poi a spacciare coloro che approvano l’intervento della coalizione occidentale come guerrafondai, perché sarebbe moralismo da quattro soldi. Certamente qualunque persona sana di mente rifiuta il ricorso al conflitto come soluzione di problematiche internazionali. Ma non basta dire “No alla guerra” per cacciar via tutti i problemi. Ciò è anche ridicolo specificarlo, ma doveroso visto l’andazzo. Vogliamo sentirci dire che questa guerra non fa altro che i nostri interessi (ed è vero), che non sia stato fatto abbastanza per evitarla (ed è vero), che moriranno altri civili (ed è vero), che Gheddafi ha fatto il nostro gioco fino a ieri e oggi invece vogliamo spodestarlo (ed è vero). Bisogna capire però se tutte queste attenuanti bastino a evitare un intervento a favore dei ribelli, a far sì che ci giriamo dall’altra parte. A far finta di nulla. Chiunque (parlo della società civile) approvi l’intervento, lo fa esclusivamente perché lo ritiene un mezzo per sostenere il popolo libico. Se a torto o a ragione, lo giudicherà la Storia. Ma il termine guerrafondai, di grazia, riserviamolo ai politici, non alla gente comune. Altri speciosi moralisti sono quelli che si richiamano all’articolo 11 della Costituzione, asserendo che l’Italia ripudia la guerra. Ebbene, guardatevi dal farvi infinocchiare da queste persone, perché o sono ignoranti (nel senso che non lo sanno) o sono dei pressappochisti. Il secondo comma dell’articolo recita: “Consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni”. Diteglielo, se per caso li incontrate.

Se bisogna attaccare Berlusconi, si dice – ed è sacrosanto dirlo – che era amico di un feroce dittatore. Quando bisogna giudicare l’intervento militare, invece, la ferocia viene miracolosamente meno, si annebbia, si dissipa e non lo giustifica. Che è un po’ come dire: “Non baciamogli la mano, ma nemmeno schiaffeggiamolo”. Una pacca sulla spalla può andar bene..

E allora tocca rigettare la retorica fine a se stessa. Tutti fino a ieri abbiamo visto di buon occhio la rivoluzione dei ribelli, che si andava a inserire in quell’immenso sospiro di libertà che ha interessato tutto il Nord Africa. Abbiamo guardato con favore a quella “primavera del mondo arabo”, quell’ondata di rinnovamento dalla quale ci attendevamo solo risultati positivi. Tuttavia, mentre né Ben Ali né Mubarak hanno fatto ricorso a un uso massiccio della forza e a bombardamenti per sopprimere le rivolte, Gheddafi lo ha fatto. E, adesso che stiamo attaccando le basi libiche, già gettiamo ombre su quegli stessi ribelli, dicendo che in fondo, poi, oltretutto, effettivamente non sappiamo chi siano, chi li guidi. Beh, questo è un voltafaccia non meno ipocrita di quelli che tanto rimproveriamo alla nostra classe politica. È evidente, oggi come ieri, che i ribelli altro non sono che uno stuolo di giovani smaniosi di libertà. Possiamo dargliela noi? No. Possiamo aiutarli a raggiungerla? Forse sì.

Insomma, è il caso di smetterla di imbottirci il cervello con un anticonformismo religioso, perché negare per il solo gusto di negare può essere certe volte più deleterio di un conformismo altrettanto sconsiderato. Si legge perfino di raduni in piazza per un cessate il fuoco. Nobili gli intenti, certamente, ma quanto possono realmente incidere? Critichiamo Berlusconi perché ci fa deridere dal mondo, ma noi, nel nostro piccolo, non siamo da meno. Se c’è gente che crede alla possibilità di fermare la guerra libica con una manifestazione in Piazza del Popolo, siamo alla frutta. Sarebbe più facile che si risvegli un morto dall’oltretomba che un sognatore dalle sue sciocche (per quanto comprensibili) illusioni. Perché i potenti se ne sbattono dei pacifismi.

Quindi, non diciamo affatto che sia giusto e giustificabile l’intervento in Libia. Nella maniera più assoluta. Ma prima di contestarlo per partito preso, per un inveterato pacifismo senza se e senza ma, per un conforme anticonformismo, è il caso di fermarci a ragionare noi per primi. Noi che, nella nostra sottaciuta morale, storciamo il naso al pensiero di tutti quei profughi che stanno per invadere il nostro paese, ma le mettiamo il cappio al collo quando vediamo gli stessi profughi morire nel deserto africano senza sentircene, anche solo un pizzico, culturalmente colpevoli. Forse vale la pena rifletterci su. Se non la vale per i ribelli o per Gheddafi, certamente la vale per la nostra coscienza. In fondo, pensare non ha mai ucciso nessuno. La guerra, invece, sì. Come anche il lavaggio della coscienza.

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