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Generazione 1000€ sbarca a Berlino: intervista all’autore, Alessandro Rimassa

Dopo “Generazione 1000 euro", arriva nelle librerie il nuovo romanzo di Alessandro Rimassa “Berlino sono io”.

Claudio, il protagonista del primo libro, dopo essere stato il precario per antonomasia vive il tanto ambito successo lavorativo: ha una casa, sta per sposarsi e gode di una certa serenità. Raggiunti questi obiettivi, però si accorge che forse quelle ambizioni non gli appartenevano più. Cade nell’abuso di sostanze stupefacenti, ansiolitici ed esagera fino a che il mondo gli frana sotto i piedi.

Vede davanti a sé un’unica possibilità: ricominciare da zero a Berlino, la città simbolo della ricostruzione, delle opportunità, dell'essere se stessi.

Claudio, il protagonista, vive il tanto ambito passaggio da precariato a tempo indeterminato; è pronto a sposarsi e vive una vita tutto sommato stabile. Ma, come diceva una canzone, questo "onesto stare a galla è di una fragilità" tale da spingerlo a rivoluzionare il proprio stile di vita. Di nuovo.

Raccontaci questa evoluzione, perché il protagonista del tuo libro (e rappresentante di una generazione) rinuncia al certo per l'incerto?

Claudio ha inseguito tutte quelle cose i posti fissi che il conformismo e la società, in particolare la società italiana, ti spingono a ricercare. Ha ottenuto il posto fisso, la casa di proprietà, la fidanzata altolocata- borghese, il sogno di qualsiasi padre di qualsiasi madre per un figlio oggi.

In questa corsa quasi eccessiva nel raggiungere l’obiettivo ha perso di vista il punto fondamentale: che forse quello non era il suo obiettivo.

Quindi si è trovato ad un certo punto nella posizione che tutti sognano ma che lui in realtà non desiderava, ma che gli hanno quasi imposto di desiderare.

Non sapendo come venirne fuori, e per rimanerci dentro, sono arrivati gli ansiolitici e la cocaina: tutte quelle cose che ti servono per stare su una strada che però non è la tua.

l titolo, "Berlino sono io", sembra riprendere un po' la frase di Stendhal che diceva "Madame Bovary c'est moi", c'è un parallelismo tra il bovarismo e questo male di vivere di Claudio?

Il titolo in realtà riprende una frase di Kennedy “Ich bin ein Berliner” con cui si intendeva, in tutt’altro momento storico, che qualunque cittadino del mondo libero potesse sentirsi oggi un cittadino berlinese.

Oggi, in Europa, qualunque ragazzo e cittadino che ci tenga davvero ad inseguire i propri sogni e a realizzarsi, non solo dal punto di vista professionale ma anche quello interiore, deve secondo me sentirsi un berlinese.

Perché Berlino oggi rappresenta la città delle possibilità. E’ una città importante che ti lascia vivere, sottolineando le diversità in senso positivo, diversamente da quanto accade a Milano o più in generale in Italia.

Quindi, “Berlino sono io” vuol dire stare bene con noi stessi.

Cosa rappresenta l'estero, e in particolare Berlino, per la nostra generazione 1000 euro?

Per la generazione 1000 euro oggi l’estero continua a rappresentare il mondo delle possibilità. Magari, la possibilità di un ambiente di lavoro più meritocratico, di ambienti in cui sentirsi più liberamente se stessi.

L’Italia è un Paese che dal punto di vista lavorativo è ancora poco meritocratico, e dal punto di vista socio-culturale è molto oppressivo.

Però, dalle stesse persone per cui oggi l’estero rappresenta l’aspirazione occorre che il bagaglio acquisito fuori dall’Italia venga riportato nel nostro Paese perché serve in questo momento non solo positività ma anche proposte per cambiare la nostra Italia.

Visto che nessun “vecchio” lo cambierà mai, tocca a noi: cambiamo il Paese da dentro.

Quanto in quello che scrivi c'è di denuncia, e quanto semplicemente la voglia di fotografare l'Italia di oggi?

Generazione 1000 euro era una fotografia di una generazione, intellettualmente onesta, che viveva una condizione assurda.

Con Antonio Incorvaia abbiamo voluto denunciare una situazione, comunicare che questa generazione esisteva e che prima del libro fondamentalmente non era apparsa così platealmente.

La locuzione “generazione 1000 euro” è nata con il nostro libro e del precariato ancora non si parlava come un problema così insistentemente. 

In quanti, secondo te, a più di trent'anni sarebbero effettivamente disposti a rinunciare ad un buon lavoro (magari all'estero) per ripiegare su uno stipendio risicato e soluzioni tampone… magari per amore?

Non so quantificarlo. Certo, rinunciare a tutto magari per amore, se essere sentimentalmente felice è il tuo obiettivo, potrebbe essere la giusta ragione per cambiare la tua vita. Il punto è saper mettere in gioco tutto per noi stessi.

Nel sistema lavorativo italiano è una cosa abbastanza complessa, essendo bloccato, inflessibile, ma occorre anche che le persone imparino a rischiare un po’ di più.

Claudio, il protagonista del mio libro, in questo senso ha saputo lasciare tutto. Sulla bilancia c’erano da un lato la perdita del lavoro e della fidanzata, dall’altro la perdita di se stesso e della sua identità.

E ha fatto una scelta.

Insomma, precari e contenti?

Piuttosto direi bisognosi di inseguire il proprio posto del mondo, come diceva Fabio Volo. Occorre capire che chi saremo nella nostra vita non deve dipendere da quello che gli altri ci impongono verso noi stessi, ma sia frutto esclusivamente delle nostre scelte e della nostra capacità di metterci in gioco.

Più che precari e felici, sarebbe meglio che si parlasse di flessibilità...Ma in ogni caso, la vita non è solo lavoro.

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