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Garantismo: in Italia si applica ai delinquenti, ai contribuenti onesti spetta l’onere della prova

Secondo alcune persone, il garantismo è sinonimo di una repubblica a regime democratico. Sulla carta, l’Italia è una repubblica a regime democratico, ma sappiamo ormai bene come – nei fatti – non lo sia.

Con sempre più frequenza infatti, le azioni dei governi sono contro i diritti dell’intera popolazione nazionale, e – di fatto – viene costantemente cancellato ogni singolo articolo della “Costituzione più bella del mondo”. Tanto bella da non essere conosciuta dal 99,9% periodico della popolazione, a cominciare da chi fa parte del settore della politica.

La non conoscenza, provoca poi un altro danno: se i cittadini non conoscono la Costituzione, che – semplificando – è il documento che descrive in dettaglio i diritti e i doveri dei cittadini verso le istituzioni, e viceversa, risulta molto semplice non applicarla da parte di chi governa.

In Italia nemmeno i referendum garantiscono ai cittadini la messa in opera delle scelte popolari espresse attraverso i quesiti referendari. Altro che democrazia e sovranità popolare.

Passiamo oltre, e arriviamo al tema dell’editoriale: garantismo. Ormai, è uno di quei termini largamente utilizzati. Si reclama al “Garantismo” per confermare come, nel nostro paese, nessuno è reo. Fino a prova contraria.

Peccato che, a ben guardare, questo criterio venga applicato esclusivamente a chi delinque o – comunque – qualcosa che non doveva fare molto spesso ha fatto.

I casi che posso portare a esempio sono molti: politici indagati, e pure condannati, che non rischiano nemmeno di perdere la poltrona ma – anzi – continuano a far parte del sistema politico del paese, prendendo decisioni sulla vita dei cittadini. Casi di omicidio che, pur in presenza di confessione dell’atto criminoso da parte di chi uccide, nella migliore delle ipotesi finiscono con pene irrisorie o, addirittura, con condanne che non portano al carcere: il caso della scomparsa di Roberta Ragusa, con la condanna al marito a 20 anni, ma che non ha fatto un solo giorno di carcere: è l'esito della sentenza di primo grado, e pur avendo subito una condanna, non va in carcere.

Potrei però citarne a dozzine di casi simili e anche peggiori, e se si pensa al nostro sistema legislativo, che anche in presenza di confessione del delitto permette sconti di pena che assottigliano di molto il periodo condanna del colpevole, ecco che il quadro di come vanno le cose in Italia, per certe cose, è completo. Un criterio per tutti: il rito abbreviato, che consente un immediato sconto di pena di un terzo rispetto a quanto il giudice può comminare al reo.

Oltre ciò, il garantismo nazionale permette i tre gradi di giudizio: dal primo grado si passa all’appello e, semmai, alla Cassazione. Molti crimini non prevedono il carcere fino alla sentenza definitiva.

Insomma: la pacchia dei rei.

Nulla da dire, ci mancherebbe, nei casi in cui le persone oggetto di inchiesta sono – effettivamente – estranee ai fatti. In tal caso ben venga il sistema garantista e i tre gradi di giudizio. Ma io ho portato esempi di casi in cui, palesemente, si usufruisce del sistema garantista in maniera quasi illegittima, almeno nell'ottica di chi pensa che, se per esempio hai anche confessato il reato, dovresti quantomeno pagare per il reato compiuto.

Vediamo ora, come il garantismo non è previsto in molte delle questioni che riguardano i cittadini italiani.

Cosa succede ad esempio, quando un cittadino ha a che fare col sistema fiscale – tutti noi adulti non possiamo esimerci da avere tale rapporto – uno dei più autoritari, e in certi casi violenti, esistenti in Europa e anche a livello internazionale?

In tal caso, esiste il criterio dell’onere della prova. A carico del cittadino. Cosa significa, in parole povere? Significa che, quando l’Agenzia delle Entrate ti intima di pagare qualcosa, attraverso l’inoltro delle famigerate cartelle esattoriali, anche se non devi pagare devi intanto metterti nella condizione di poter dimostrare di avere ragione.

In molti casi però, pur avendo tutte le carte in regola, intanto paghi quanto NON devi pagare, poi – semmai – il sistema fiscale prenderà in carico la tua pratica e, con i tempi biblici che conosciamo, forse un giorno ti darà ragione.

Inammissibile.

Faccio un esempio pratico, che sta interessando molti cittadini italiani. Dallo scorso anno, è in vigore la notifica delle cartelle esattoriali tramite PEC, ammesse dal processo telematico e che – dal primo Luglio 2017 – sono permesse per effetto del decreto fiscale 193 del 22 Ottobre 2016.

In pratica: a partire dal primo Luglio del 2017, l’Agenzia delle Entrate e l’ente per la riscossione – ex Equitalia – inviano le notifiche di pagamento delle cartelle e anche i preavvisi di fermo amministrativo tramite Posta Elettronica Certificata. Nel caso dei professionisti, l’Agenzia delle Entrate acquisisce direttamente gli indirizzi di posta elettronica certificata, accedendo ai database che sono a disposizione dell’ente.

Nel caso dei comuni cittadini, che non hanno una PEC, le notifiche viaggiano ancora via posta tradizionale.

Attenzione però: stanno capitando casi davvero paradossali. Notifiche inviate su PEC inutilizzate, il cui titolare resta all’oscuro delle comunicazioni. Illegittimità e nullità delle notifiche per vizi di forma nella procedura di invio a mezzo PEC.

Cosa succede al contribuente che scopre per puro caso che la notifica delle cartelle esattoriali o, addirittura, il preavviso delle ganasce fiscali, era stato inoltrato esclusivamente tramite una casella di posta certificata che nemmeno utilizza? Che deve correre a dimostrare – si chiama appunto “onere della prova” – di aver pagato, oppure di non dover pagare perché la notifica, o le ganasce fiscali sono nulle o illegittime (è il caso degli invalidi civili con contrassegno invalidi) o comunque, avviare l’iter per la sospensione o per la rateizzazione del debito qualora debba effettivamente pagare.

Ma se scopre anche di avere il blocco amministrativo dell’auto, ammettendo che sia illegittimo, il contribuente non potrà circolare con l’autovettura fino almeno al completamento dell’iter di annullamento della misura cautelare.

E con questo, vanno a ramengo i veri criteri di garantismo, che nel nostro paese garantiscono l’impunità - a volte fino al terzo grado – per chi si macchia di orridi reati, o scandali economici e fiscali di un certo peso, ma non presuppone alcun tipo di garanzia per il cittadino comune, nel momento in cui diviene contribuente, e quindi, in ogni caso, intanto ha torto. Poi, semmai, si vedrà se ha ragione…

Come dicevo circa trent’anni fa: “Arriveremo al punto in cui, ci rovineranno la vita per una multa non pagata, ma nessuno andrà in galera se si commetterà un omicidio”. Diverse tra le persone che frequentavo all’epoca, mi guardavano come fossi matta. Oggi, queste persone sono tra le prime a contestare questo sistema aberrante e al contrario, e comunque contrario a qualsiasi criterio accettabile in una nazione che molti si ostinano a denominare “A regime democratico”.

È per cose come queste che la popolazione, in maniera compatta, dovrebbe scendere in piazza. Invece, oggi assistiamo a un rigurgito degli anni di piombo, a causa di campagne elettorali - e di un sistema politico - che sono riusciti nell’intento reale: mettere i cittadini gli uni contro gli altri, deviando quindi la popolazione dal vero obiettivo e dai veri colpevoli: tutta la componente politica attuale.

Che pensa solo a se stessa.

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