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Fumi del porto e salute a rischio: dove dormono i controlli sulla qualità dell’aria?

“Quando c’è la salute c’è tutto” recita un antico proverbio. Peccato che venga citato, come spesso accade in Italia, quando la salute ha già subito danni più o meno seri.

Non si spiega diversamente il disinteresse di buona parte dei cittadini verso i fenomeni che impattano negativamente sul benessere fisico di ciascuno, di cui il degrado ambientale, per i riflessi su ciò che respiriamo, beviamo o mangiamo, è il principale responsabile.

Ma chi sono gli imputati di questa disinformazione di massa? C’è solo l’imbarazzo della scelta: chi fa informazione per finzione più che per professione, molti medici compresi quelli di base e poi le istituzioni, più attente a “minimizzare” che sensibilizzare, perché la politica, almeno quella che decide le poltrone, spera che continui il torpore televisivo di massa e che nessuno capisca più nulla di dove finisca la folle corsa quotidiana. 

Cosicché ben pochi sanno, per citare un solo esempio, che l’Organizzazione Mondiale della Sanità stima in 0,8 milioni di decessi all’anno quelli imputabili al solo particolato inferiore a 2,5 micron (PM2,5), (http://www.simoline.com/clienti/dirittoambiente/file/acque_marino_40.pdf). Ma di fronte alle emergenze, che per noi diventano tali quando sono dell’ordine delle catastrofi, il nostro paese risponde con provvedimenti legislativi, come il D. Lgs. n. 155 del 13 agosto 2010, partoriti non per scelta ma perché vincolati, come in questo caso, dalla direttiva 2008/50/CE sulla qualità dell’aria in Europa.

Sui contenuti, come sottolinea il numero di maggio giugno di IdeAmbiente, il bimestrale dell’ISPRA, l’Istituto Superiore per la Ricerca e la Protezione Ambientale, è evidenziata l’attenzione “su una maggiore sensibilità nei riguardi degli impatti di carattere sanitario”, in particolare per “l’esposizione della popolazione al Pm2,5 ed ai seri problemi sanitari ad esso connessi”. Viene sollecitata “una maggiore chiarezza e tempestività nelle informazioni al pubblico ed una maggiore attenzione alla qualità ed all’uniformità di formato del dato (e metadato) ambientale”. 

Ma ad oggi di questi adempimenti non v’è ancora traccia, occorreranno anni e non mancherà il lecito dubbio sulla efficacia dei controlli. Nell’attesa rimarranno anche le città portuali che sommano, al classico inquinamento da traffico, la sosta in porto delle navi e gli stessi ambiti portuali, un fenomeno di cui poco si parla sui giornali ma sostanzioso in termini di emissioni, polveri e rumori.

Per fare un esempio, come citato (http://www.globalproject.info/it/community/Ridurre-le-emissioni-di-gas-serra-delle-navi-nei-porti/9573), “nel porto di Napoli nel 2010 hanno attraccato circa25.000 navi che hanno emesso circa 3.500.000 tonnellate di CO2 e relative migliaia di tonnellate di altri inquinanti”.

Per un altro sito, quello di Civitavecchia, tutto potrebbe invece risolversi prima, anche se, in un dossier (vedi http://nessundormaweb.altervista.org/wp-content/uploads/2011/10/Incontro_Arpa_18_10_2011_Definitivo.pdf), presentato al direttore generale di ARPA Laziol’Agenzia Regionale per la Protezione Ambientale, dal movimento Nessun Dorma, che chiede un monitoraggio dell’aria e l’elettrificazione delle banchine di attracco, si fa riferimento ad un’area territoriale compromessa dalla presenza contemporanea di fattori ad elevato rischio ambientale quali il porto e relativi “fumi” (con 4 milioni di passeggeri previsti nel 2011, record il 15 ottobre con 8 navi da crociera e 23.000 passeggeri, cui si aggiungono gli oltre 9 milioni di tonnellate di merci movimentate su gomma), due centrali elettriche (3180 MW),34 depositi costieri (benzina, gasolio, etc. per 357.000 mc), veicoli circolanti oltre la media nazionale ed europea (610 per 1000 abitanti) ed un poco noto ma alquanto pericoloso Stabilimento Militare di Materiali Difesa NBC (stoccaggio di iprite etc.).

Insomma non sono dati trascurabili, ma la maggioranza almeno dei pochi che comunque tentano di informarsi, è che le centraline presenti sul territorio comunale (e della Regione Lazio) non controllano il PM2,5 ma solo il PM10 (con dati pubblicati il giorno successivo alla rilevazione), mentre nel porto non è presente ancora una centralina. Arriverà, ma fra sei mesi, e solo grazie all’impegno di vari soggetti tra cui il nuovo presidente dell’Autorità Portuale dei Porti del LazioPasqualino Monti, e alle proteste e agli esposti di molti cittadini, raccolti dal Procuratore della RepubblicaGianfranco Amendola. Quest’ultimo aveva incaricato infatti la Capitaneria di Porto di effettuare verifiche sulle navi, e come riportato nel nostro servizio http://www.agoravox.it/Fumi-delle-navi-prime-denunce-La.html?pagina=1 , oltre trenta sono risultati i comandanti denunciati.

In una situazione evidentemente difficile, non è mancata la sceneggiata del presidente di ConfitarmaPaolo d’Amico, che accusando la pretestuosità dei controlli ha minacciato di dirottare le navi verso “lidi” più accomodanti. Probabilmente d’Amico ha dimenticato la difficoltà di trovare un porto a meno di un’ora da Roma, a meno che non voglia risalire il Tevere con galee da oltre 137.000 tonnellate.

Ma a parte questa uscita davvero bizzarra, basta spostarsi in California, a Los Angeles, per vedere che i controlli sulle emissioni sia delle navi che quelli derivanti dalla movimentazione delle merci, vengono effettuati in modo rigoroso ed immediato, utilizzando 4 stazioni di rilevamento e analisi.

Come si può ricavare da questo sitole stazioni di monitoraggio sono posizionate strategicamente all'interno del Porto in seguito ad uno "studio di validazione" in grado di garantire la rappresentatività delle condizioni ambientali in tutta l'area.

Quello che dovrebbe maggiormente sorprendere le nostre sonnolente "istituzioni", è che dal 2005 vengono rilevati oltre il PM10, anche il PM2,5, (vedi immagine) l’Elemental Carbon (essenzialmente “fuliggine”), mentre dal 2008 il Porto ha iniziato a raccogliere e trasmettere dati in tempo reale (con differimento di un'ora per la necessaria validazione dati) per l'ozono, il biossido di zolfo, il biossido di azoto, il monossido di carbonio.

E' quasi impossibile trovare nel nostro paese dati comparabili con quelli di Los Angeles, ma qualcosa trapela dalle fitte maglie della burocrazia, ed infatti ricorrendo ad uno studio effettuato dal CNR di concerto con l'Autorità portuale di Venezia, si sa che, tra il 2007 e il 2009, il contributo sul totale delle emissioni di PM2,5, imputabile alle sole navi ormeggiate, è compreso tra il 14 e il 15%. Un dato che non ha bisogno di ulteriori commenti.

Verrebbe da concludere con una citazione di Giacomo Bevilacqua (quello di "A Panda piace"):

"Qui non c'è cambiamento. 
Non c'è innovazione. 
Non c'è pensiero. 
E quando non ci saranno più nemmeno le parole, l'unica cosa che ci rimarrà, saranno gli occhi aperti". 
Ma delegando meno, studiando di più e partecipando direttamente, tutto può cambiare. Non ci sono scorciatoie.

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