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Freedom of Information Act all’italiana. Trasparenza contro corruzione, ma servirà la partecipazione attiva dei cittadini

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da sinistra: Bernardo Mattarella, Serena Sileoni, Ida Nicotra, Guido Romeo
Roma, Associazione Stampa Romana

ROMA - Sembra che per Natale gli italiani riceveranno in regalo un nuovo strumento che promette una maggiore trasparenza garantendo l'accesso agli atti della pubblica amministrazione, ispirato al più famoso Freedom of Information Act in vigore negli Stati Uniti dal lontano 1966 e preceduto da un atto legislativo del 1766 in Svezia. A fare il punto sulla situazione italiana, l’associazione FOIA4Italy e l’Istituto Bruno Leoni hanno convocato alcuni protagonisti dei lavori in corso d'opera. In realtà, a parte l’annuncio dell’on. Anna Ascani sull’impegno di chiudere entro Natale l’iter della proposta di cui si è stata una delle sostenitrici al seguito di Marianna Madia, Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, non sembrano prevedibili grandi risultati operativi, perché fatta la legge servirà molto tempo per aggiornare e investire nella macchina burocratica e nello sviluppo di un interesse diffuso della cittadinanza.

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Bernardo Mattarella, capo ufficio legislativo Ministero per la Semplificazione e la Pubblica Amministrazione

Per il professore Bernardo Mattarella, capo ufficio legislativo al Ministero della Funzione pubblica, i vantaggi sono invece evidenti perché Il principio della trasparenza non previsto dalle norme costituzionali può finalmente trovare applicazione consentendo a ciascun cittadino l'accesso agli atti amministrativi a prescindere dal personale interesse – diretto, rilevante e dimostrabile – verso un documento o un procedimento. Ed è infatti questa una delle principali differenze tra il cosiddetto FOIA italiano (brutto acronimo di Freedom of Information Act) in dirittura d’arrivo e la Legge 7 agosto 1990, n. 241 sulle norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi che, pur avendo colmato in parte un gap storico tra cittadino e amministrazione pubblica, non ha fornito un contributo decisivo alla trasparenza delle amministrazioni pubbliche.

Un risultato questo non raggiunto, nonostante gli obblighi di pubblicazione, neanche dal Decreto Legislativo 14 marzo 2013, n. 33 concernente il riordino della disciplina riguardante gli obblighi di pubblicità, trasparenza e diffusione di informazioni da parte delle pubbliche amministrazioni. In questo ginepraio di leggi e dispositivi, il FOIA dovrebbe riuscire a raggiungere quella trasparenza che, a parere della professoressa Ida Nicotra, componente dell’Autorità Nazionale Anticorruzione, parrebbe la chiave di volta per prevenire e eliminare la corruzione, un costo per l’Italia quantificato da Transparency International in oltre 60 miliardi di euro.

Un altro aspetto, probabilmente meno appariscente ma di grande impatto politico, riguarda la valutazione delle politiche pubbliche sempre che - sottolinea Nicotra - i cittadini intendano esercitare un controllo diffuso come parte attiva del sistema. Certo, in una nazione illusa e disillusa come la nostra sarà difficile che una legge, per quanto ben fatta, diventi la via di Damasco della coscienza sociale e contemporaneamente il bisturi capace di incidere su una macchina pubblica spesso farraginosa. Eppure qualche possibilità di cambiamento rimane. Sarà infatti l’ANAC a vigilare sulla mancata risposta al cittadino da parte della Pubblica amministrazione e le sanzioni previste andranno dal provvedimento d’ordine adottato nei confronti dell’ente inadempiente sino alla sanzione pecuniaria comminata al responsabile.

Se queste saranno misure risolutive o se invece la legge sarà solo un altro giocattolo costoso, basterà attendere, ma non ci sono molti dubbi che ci sia bisogno di un vero Freedom of Information Act. Dimostrarlo è un compito facile per l’avvocato Ernesto Belisario, componente del Tavolo permanente per l’innovazione e l’agenda digitale italiana, e Guido Romeo, Data & Business editor di Wired Italia, presidente di Diritto di Sapere e animatore di FOIA4Italy, un raggruppamento di associazioni che ha realizzato un manifesto sulla necessità di introdurre il Freedom of Information Act e stabilito 10 punti irrinunciabili ai quali dovrebbe rispondere la legge.

Quello di Romeo è un caso da manuale, iniziato a marzo di quest’anno e conclusosi il 24 di novembre con una condanna da parte del TAR del Lazio al pagamento al Ministero dell’economia di 1000 euro di spese legali. Racconta Romeo sul sito di Wired che il suo interesse a conoscere era solido e motivato: 159 miliardi di euro di contratti, i cosiddetti derivati, sottoscritti dallo Stato italiano, che hanno inciso sul debito pubblico per 16,95 miliardi di euro. Romeo esercitava semplicemente un suo diritto di cittadino e di giornalista per informare altri cittadini. Non avendo ricevuto risposta dal Ministero dell’Economia nei tempi previsti dalla Legge 241, ha proseguito il suo iter rivolgendosi appunto al TAR del Lazio. Pur riconoscendo l’interesse qualificato del giornalista e “il fine di svolgere attività di informazione a vantaggio della pubblica opinione” il Tribunale amministrativo regionale ha stabilito che lo stesso giornalista non avesse un interesse rilevante a sapere. Meglio per il Tar dare prevalenza ai “riflessi pregiudizievoli sulle attività in derivati poiché determinerebbe un svantaggio competitivo dello Stato nei riguardi del mercato”.

Ma quale legge, si chiede Romeo e probabilmente molti italiani con lui, autorizza “la valutazione discrezionale dell’accesso agli atti? Cosa succederebbe con il Freedom of Information Act in vigore? Non si sa, ma se episodi come quello capitato a Romeo fossero destinati a ripetersi avremo solo un’altra legge che scimmiotta nazioni più serie con la conclusione che la trasparenza sarebbe solo una parola priva di contenuti reali.

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