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Forconi spuntati e spicciole prolusioni: così l’Italia rischia ancora il disastro

Che strano Paese è l'Italia. Strano ma in fondo coerente. Sì, perché ad osservare tutto quel che sta avvenendo da quando Mario Monti si è insediato a Palazzo Chigi si comprendono una volta di più le ragioni che hanno consentito prima al CAF e poi a Berlusconi di restare tanto a lungo saldamente in sella.

A parte gli episodici movimenti di protesta antigovernativa organizzati in virtù di una ben marcata appartenenza politica o ideologica (studenti, donne, opposizioni in genere), qualcuno ricorda le categorie cosiddette produttive scendere in piazza e agitarsi con la stessa veemenza di oggi durante gli anni della precedente esperienza di governo?

Perché solo ora i vari autotrasportatori, allevatori, commercianti e agricoltori si ricordano che la crisi morde e che lo Stato è cattivo? Non sarà forse che prima, sempre ammesso che adesso siano iniziative spontanee, si sentivano anche sul piano della rappresentanza istituzionale più garantiti e protetti?

Di forconi in marcia contro la cattiva politica locale e nazionale, o contro l'asfissiante ingerenza della criminalità organizzata sull'economia e sulla vita civile del territorio, francamente non ho memoria. Ho memoria, invece, anche recentissima, di sedicenti "liberali" al potere usi a porre la propria azione legislativa al servizio di lobby e corporazioni. E ricordo anche tanti egoismi di casta, attuati al limite della legalità specialmente in materia fiscale e finanziaria, trasformatisi in consenso elettorale in un perverso meccanismo di mutua assistenza fra politica e poteri forti. Tutte reminiscenze che mi portano a maledire il Paese nel quale vivo.

Eppure lo spread comincia a pesare di meno e i mercati mandano qualche incoraggiante segnale all'economia nazionale sottoposta all'opportuna e improcrastinabile cura del nuovo esecutivo, considerato tecnico più per semplificazione mediatica che per carenza di una reale piattaforma ispirata alla gestione eccezionalmente riguardosa, rispetto ai disgraziati precedenti, della "res publica".

Ma evidentemente ciò non è ancora sufficiente a trasformare, come per magia, la stessa società italiana alleviandola dalle sue ataviche zavorre culturali e perfino antropologiche. Chi è abituato da sempre a sguazzare nel torbido dei furbi espedienti e a difendere le proprie rendite con ogni mezzo, non può improvvisamente divenire nordico (nel senso di scandinavo e non di "padano") e apprendere l'autentico significato di concetti come dovere civico, senso di responsabilità, osservanza delle regole.

Da queste parti, purtroppo, riscuote maggiori consensi il proverbio latino "mors tua, vita mea". E allora, almeno per quel che mi riguarda, all'entusiasmo per la rimozione di quel coagulo di lerci interessi affaristico-politici che è stato il berlusconismo, e per il successivo avvento di una fase carica di promesse finalmente realistiche circa la possibilità di perseguire azioni indirizzate al benessere collettivo e non più motivate da tornaconti particolari, si sta sovrapponendo un sentimento di stizzito fatalismo.

Perché fuori e dentro il parlamento, ma in questo particolare frangente soprattutto "dentro", i partiti sono in prevalenza mossi dai medesimi istinti di prima, sempre trasversalmente timidi dinanzi agli schiamazzi di chi non vuol perdere qualche privilegio a beneficio di chi non ne ha affatto e sempre poco adatti ad assumere fino in fondo le proprie responsabilità innanzitutto nei confronti della parte migliore e più silenziosa del Paese.

Paradossalmente, per tenere viva la speranza che il governo Monti riesca a completare la sua indispensabile opera di risanamento almeno a livello economico, bisogna tifare per i più squallidi peones che allo stato occupano immeritatamente gli scranni parlamentari. Per un Razzi o uno Scilipoti qualsiasi (eh, caro Di Pietro, che gentaglia sei stato capace di nominare) o per tutti quegli altri che temono come la peste la prospettiva di una interruzione anticipata di questa intensissima legislatura.

In una recente intervista, un pensatore illuminato come Massimo Cacciari ha evocato un fantasma che inquieta anche la mia più umile prospettiva: l'incapacità di arrestare sul nascere, proprio per il terrore malamente dissimulato delle forze politiche di sostenere con trasparenza il gravoso percorso di riforme tracciato dal governo, la montante ribellione (che ha già provocato un morto) dell'eterogeneo cartello di categorie aggregatesi nella lotta al sistema non si sa bene perché e per come e prontamente difese dai Gasparri e dai Diliberto di turno.

Il dramma della situazione è accentuato ancor di più dall'amara constatazione che non vi è all'orizzonte un'alternativa plausibile a Monti e alle sue misure. Mettiamo il caso che Bersani, per tenere unito il suo partito e per quell'odioso bizantinismo tutto italiano secondo il quale è meglio costringere alla convivenza posizioni inconciliabili (Casini e Fini con Di Pietro e Vendola?) piuttosto che rinunciare fisiologicamente a qualche gradino nella scala del potere fine a se stesso in nome dell'affidabilità e della coerenza, perseveri nella condotta di sostenere l'attuale governo con tanti se e con tanti ma;

e mettiamo pure, allo stesso tempo, che Berlusconi decida improvvisamente di interrompere la luna di miele tattica col suo più stimato successore per tornare demagogicamente a cavalcare l'onda delle proteste insieme al fido Bossi, nell'illusione che con questa legge elettorale di m**** e con le palate di quattrini di cui dispone riuscirà daccapo a prevalere nelle urne. Insomma, immaginate il caos che scaturirebbe dall'ennesimo scontro elettorale fra due giganti di carta?

Allora sì che sarebbe default, sia nel caso che a prevalere fosse l'allegra combriccola della foto di Vasto sia che trionfasse nuovamente l'arzillo vecchietto di Arcore che già manca molto agli oligarchi levantini e latinoamericani presso i quali era solito recarsi in compagnia di Lavitola. E in quel caso, gentili Bersani, Berlusconi, Camusso, Bonanni e Angeletti, altro che allegorici forconi e scioperi più o meno selvaggi: sareste inseguiti non dall'egoismo delle tantissime caste allergiche alle liberalizzazioni ma dall'ira dei giovani, che ormai sono gli unici a non avere nulla da perdere.

Se l'Italia, come detto, è un Paese assai coerente pur nella sua disinvolta originalità, questa coerenza si manifesta con particolare efficacia soprattutto nell'ipocrisia bacchettona con cui si reagisce di fronte alle questioni scomode. Poteva mancare, in questo momento di grande confusione politica e di pericolosa effervescenza sociale, l'ennesima prolusione del capo dei porporati cattolici?

Certo che no. Cosicché, dopo la "terrificante" pubblicità progresso voluta da Tremonti, quella che paragona con scrupolo scientifico gli evasori fiscali a dei parassiti, ecco arrivare la "temuta" scomunica del cardinale Bagnasco: "evadere le tasse è un peccato". Un peccato? Peccare, secondo la spirituale visione di Santa Romana Chiesa, non è altro che una concessione divina affidata all'umano libero arbitrio, che dunque presuppone disponibilità alla tolleranza e al perdono.

E invece sottrarsi illegalmente al fisco, per noi che miseramente osserviamo il credo civile dello Stato di diritto sforzandoci di rispettare le regole e vivendo con dignità solo di quello che abbiamo, non può incontrare alcuna indulgenza o comprensione perché è un reato. Checché ne dica e pensi il "cattolicissimo" (definirsi solo "liberale" per lui era troppo poco) Berlusconi, a lungo coccolato proprio Oltretevere malgrado abbia concorso parecchio, non solo metaforicamente, a mandare l'Italia alla rovina.

Ecco a cosa ci siamo infine ridotti come Nazione, ad un'accozzaglia di non-cittadini in preda al disorientamento più totale, perennemente disinformati e banderuole facili da trasportare, senza la capacità di ridefinire punti di riferimento legittimi e condivisi, alienati rispetto alle ragioni del bene comune e pronti a mobilitarci solo quando qualcuno prova a toccare ciò che ci appartiene, umanamente invidiosi non tanto dell'altrui ceto o censo quanto invece infastiditi dal rigore morale, dalla correttezza, dalla cultura e dalle capacità di chi prova faticosamente a distinguersi dalla massa.

La minaccia del redivivo Cicchitto, sotto questo aspetto, è quanto mai emblematica: "Monti la smetta di ergersi a primo della classe o il Pdl dovrà riesaminare il proprio appoggio al governo". Sortita che, pur riconoscendole l'attenuante della schiettezza rispetto a quella più banale di Bagnasco, ad un antitaliano minoritario come me (per necessità più che per scelta) fa venire un gran voltastomaco.

Chi sta scendendo in piazza (non tutti ma la gran parte) tenendo in ostaggio l'Italia e rifiutando le regole, chi ne accarezza le intollerabili rivendicazioni solo per fare cassa in termini di voti, può forse assicurare ai giovani (che dovrebbero essere i "primi della classe" della nostra società) una prospettiva di emancipazione e di benessere consentendo al Paese di rimanere nell'élite europea e occidentale?

Il vero punto di discrimine, l'unico bipolarismo oggi sensato, è proprio questo: da un lato chi sceglie di resistere al cambiamento fiancheggiando ancora e comunque i garantiti (che sovente, parafrasando un'illuminate affermazione di Berlusconi, sono "quelli non molto istruiti che siedono all'ultimo banco"), dall'altro chi invece vuole rendere più equo il sistema valorizzando il merito e dando cittadinanza alle istanze finora inascoltate delle nuove generazioni.

Per questo, pur sapendo che non si tratta di un orientamento in grado di conquistare popolarità sul web, continuo a parteggiare per Monti e per il tentativo anche forzoso di normalizzare, come auspicato più di due secoli or sono da un altro visionario radicalchic di nome Massimo d'Azeglio, l'Italia e gli italiani.

Senza caste e privilegi, senza partiti arcaici e autoreferenziali, senza un sindacato che si schiera sempre dalla parte della generazione sbagliata, senza furbi che la fanno franca, senza mafie in affari con lo Stato. E magari, con un Presidente del Consiglio che quando incontra il Papa non si china per baciargli l'anello.

Diamine, ma almeno quest'ultimo forse ce l'abbiamo già.

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