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Fare ricerca (e non solo) a Beirut

Piazza dei Martiri, Beirut, anni '60 (Oldbeirut)

(di Arturo Monaco per SiriaLibano).

È Fayruz con le sue sabahiyat, canzoni del mattino, a darmi il primo buongiorno beirutino a Em Nazih. È un caffè nel quartiere Jemmayze. sopra al quale si trova l’ostello Saifi Urban Gardens, dove ho deciso di alloggiare in questo mio mesetto di soggiorno in città.

Sono passati quattro anni dall’ultima volta in cui l’ho vista, all’inizio del 2011. Ero venuto via terra, dalla Siria due o tre volte, quando passare quel confine era più facile che attraversare lo stretto di Messina. In quattro anni tanto è cambiato.

Mi sono laureato all’università e ho iniziato il dottorato. Ho viaggiato in Egitto e in Giordania. Ma dovunque andassi qualcosa mancava, qualcosa che avevo conosciuto in Siria e poi lasciato. Beirut non è Damasco, e soprattutto il 2015 non è il 2011. In qualche modo, però, respiro un po’ di quell’aria di cui sono nostalgico.

Il motivo che mi ha spinto a venire questa volta in Libano è stata la letteratura araba. Al centro delle mie ricerche c’è, infatti, lo studio delle manifestazioni del surrealismo arabo. Strana cosa, in effetti. Ma la letteratura araba offre spesso piacevoli sorprese.

Tra queste, il sapere che sul finire degli anni Trenta un gruppo di egiziani costituì il primo nucleo di surrealisti e che di lì a pochi anni anche la Siria e il Libano si sarebbero mosse in maniera apparentemente indipendente. Cosa ancora più sorprendente è venire a scoprire che in giro per il mondo si trovano studiosi che fanno ricerche sullo stesso argomento.

E allora ci si muove per cercare di conoscere questi alter ego sparsi per il mondo, ma che il più delle volte si incontrano sempre nello stesso posto, il posto che ci lega un po’ tutti, il Medio Oriente. E Beirut mi offre davvero la possibilità di piacevoli incontri.

Ma iniziamo con ordine. La prima cosa da fare una volta arrivato a Beirut è la registrazione nelle biblioteche di mio interesse. Inizio con la Bibliothèque Orientale, la biblioteca dell’università Saint-Joseph, decisamente adatta allo studio, per il suo essere molto calma, poco frequentata e luminosa. Essendo un’istituzione privata, è necessario per i visitatori pagare una quota mensile di 30.000 lire libanesi (circa 17 euro) per l’uso degli spazi della biblioteca, la consultazione e la connessione internet.

L’altra biblioteca a cui mi iscrivo è la Nami Jafet dell’American University of Beirut. Grazie alla sua lunga tradizione, quest’università offre un patrimonio librario molto ricco e molto ben tenuto. La sala di lettura purtroppo non è esattamente la stessa oasi di pace della Bibliothèque Orientale, per l’afflusso di tanti studenti che la rendono a volte più simile a un salotto di conversazione che a un luogo di studio. Ma l’impossibilità per i semplici visitatori di prendere in prestito i libri non offre alternative.

Ad ogni modo, l’apertura 7 giorni su 7, dalla mattina alla sera, con piccole riduzioni nei fine settimana, rende la biblioteca un punto di riferimento importante. Chiaramente, da buona università privata, anche qui l’ingresso per la consultazione ha un costo.

In genere, è necessario sottoscrivere un abbonamento annuale del prezzo di circa 100 dollari, ma, visto il mio breve soggiorno, mi è stato offerto un abbonamento di sei mesi al prezzo di 55 dollari. A questa cifra è possibile, se si vuole, aggiungere 12 dollari per l’uso di ogni gigabyte di internet, non incluso nell’abbonamento. A parte il denaro, poco altro serve per l’iscrizione: una fototessera, la tessera universitaria e una lettera dell’università di provenienza, nel mio caso è bastata quella del tutor.

Concluse le pratiche di registrazione, comincia lo studio vero e proprio, alternando una biblioteca all’altra. Nel contempo mi dirigo verso il mio primo contatto, una docente presso il Dipartimento di Inglese dell’Aub, conosciuta alla conferenza dell’European Association for Modern Arabic Literature (Euramal) tenutasi a Madrid nel maggio 2014.

Il suo intervento sulle recenti espressioni artistiche nel mondo arabo, dove non mancava un tocco di surrealismo, mi aveva spinto a farle qualche domanda e da lì il suo invito a contattarla nel caso mi fossi recato in Libano.

L’incontro è breve ma ricchissimo di input. Suggerimenti per la ricerca e preziosissimi contatti. È tramite lei che incontro infatti un’altra studiosa del surrealismo di stampo arabo, libanese in particolare, una ricercatrice presso l’Orient Institut di Beirut. L’incontro mi dà modo di conoscere questo bel centro di ricerca tedesco, ospitato in un bell’edificio restaurato nei pressi del centro cittadino e dotato di una buona e calma biblioteca.

La Beirut culturale non è solo professori e biblioteche chiaramente. Quel che mi colpisce è la sua incredibile vitalità nonostante la sensazione che il pericolo sia sempre in agguato, sia pure in forma di spari in aria, celebratori della politica di Hezbollah. Opere teatrali, serate poetiche, concerti, mostre d’arte sono organizzate settimanalmente, se non quasi quotidianamente, in città.

I luoghi sono molto diversificati, dai teatri, come il Metro al Madina e il Monnot, alle aule delle università, fino ai moltissimi locali notturni, primo fra tutti il noto Radio Beirut, ma anche luoghi più defilati come il Music Hub Onomatopoeia.

Per un aggiornamento sulle attività in programma, di grande aiuto è il sito dell’Agenda culturel, oltre alle pagine Facebook di cui ciascuno dei vari centri si serve per pubblicizzare i propri eventi. È utile gettare un occhio anche sui manifesti pubblicitari affissi all’interno delle università.

Dopo la frenetica attività culturale e ricreativa per Beirut, una passeggiata per la Corniche, il lungomare, è quel che ci vuole per recuperare la tranquillità e un po’ di ossigeno. Camminando lungo la ringhiera o sedendosi nel caffè proprio sotto il faro, a poco a poco il fragore del mare si impone al rumore del traffico cittadino e penso a quanto sia proprio quel mare a rendere Beirut il posto che è.

Una miscela di visi, caratteri, edifici, abitudini a volte estremamente in contraddizione tra loro, arabi e non arabi al tempo stesso, forse semplicemente mediterranei, con decise influenze nord americane ed europee, ma inevitabilmente ancorati all’anima mediorientale.

Per me che ho amato la Siria, l’Egitto e la Giordania proprio per la loro più marcata “arabicità”, Beirut rimane una città meno prediletta, ma difficile è resistere al suo fascino, alla sua ambiguità e al desiderio di tornare per scoprirne le innumerevoli facce, tornare anche solo per sentire più vicina quella terra sorella, la Siria, una ferita aperta nel cuore di chi ne è stato conquistato. (8 marzo 2015).

Questo articolo è stato pubblicato qui

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