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Eternit, Sandri, Ilva: quando la legge è davvero uguale per tutti. I buoni segnali della giustizia

Nell'Italia che prova a cambiare arrivano segnali incoraggianti pure sul versante della giustizia. E proprio nel momento in cui cade il ventennale dalla cosiddetta rivoluzione di "mani pulite", che a distanza di tempo continua a dividere e ad agitare il dibattito politico. Dopo quell'intervento deciso della magistratura per porre fine a un consunto e non più sostenibile sistema di corruttele ad ogni livello della sfera pubblica, bisogna ammettere che ben poco è cambiato in termini di rispetto della legalità nel nostro Paese come raccontano le cronache quotidiane.

Anzi, piuttosto di capitalizzare la lezione morale di quell'esperienza capace, nel bene e nel male, di modificare la nostra storia più recente, gli italiani si sono affidati a un degno epigono della prima repubblica, il cui dominio incontrastato sulla società, durato fino a tre mesi or sono, ha finito per peggiore ulteriormente la situazione con l'aggravante della continua e scellerata opera di delegittimazione di un fondamentale ordine costituzionale.

Ciò su cui voglio però puntare l'attenzione, lasciando a storici, sociologi e giuristi una disamina più approfondita sul fenomeno dell'illegalità e sullo stato complessivo della giustizia italiana, è la serie di recenti casi giudiziari che, secondo l'antico vizio di casa nostra di dividersi in tifoserie rispetto a qualsiasi questione, da un lato dimostrano agli scettici e ai prevenuti che la legge resta nonostante alcune storture un indispensabile baluardo civile, mentre dall'altro confermano forse nel proprio convincimento dogmatico i più accaniti sostenitori del principio della certezza della pena.

Partiamo da quello che ha fatto più rumore: la condanna in primo grado a 16 anni di reclusione inflitta dal Tribunale di Torino ai manager Eternit per disastro doloso e omissione di cautele sul lavoro con conseguenti risarcimenti, fra parti civili e familiari delle circa 2000 vittime, di oltre 95 milioni di euro. Una sentenza attesissima, che vale tuttavia solo per i reati commessi negli stabilimenti piemontesi di Casale e Cavagnolo successivamente al 13 agosto 1999, poiché per quelli precedenti e per quelli degli stabilimenti di Bagnoli (Napoli) e Rubiera (Reggio Emilia) è purtroppo scattata la prescrizione.

Inoltre una sentenza storica, perché dopo 30 anni di battaglie e denunce accerta finalmente in modo chiaro le responsabilità dell'infinita e silenziosa strage di amianto, aprendo un varco importantissimo nella zona grigia dei procedimenti penali per la piaga delle "morti bianche", troppo spesso rese vittime due volte proprio dal mancato riconoscimento definitivo dei colpevoli.

 
Un'altra buona notizia, se così ci si può esprimere a commento del comune e consueto assolvimento della funzione giurisdizionale, arriva da Roma dove la Corte di Cassazione ha reso definitiva la condanna a 9 anni e 4 mesi di carcere, per omicidio volontario, dell'agente di Polizia Luigi Spaccarotella che nel 2007 uccise con un colpo di pistola il giovane tifoso della Lazio Gabriele Sandri. Una decisione che peraltro ha effettivamente dell'eccezionale in una realtà come quella italiana assai spesso contrassegnata, anche in epoca recente, da ambiguità ed omissioni quando sul banco degli imputati finiscono membri delle forze dell'ordine.
 
Per continuare però a dare conto con spirito laico e distaccato della vicenda, pure in questo caso la lettura della sentenza è stata accompagnata dalla commozione dei familiari della vittima disposti provocatoriamente a rinunciare, per bocca del proprio legale, al risarcimento di due milioni di euro già disposto dal Viminale. Perché dopo tante polemiche anche politiche, dopo il clima infuocato che ha caratterizzato i due precedenti gradi di giudizio, dopo le reazioni scomposte della parte più estrema del tifo che pretendeva insensata vendetta invece di attendere con fiducia, proprio come la famiglia stessa, il responso della giustizia ciò che conta è per l'appunto e solo la sentenza della Suprema Corte.

 

Infine, per tornare ai reati legati all'ambiente e alla salute dei cittadini, l'ultimo episodio che merita adeguato risalto è l'incidente probatorio di qualche giorno fa al Tribunale di Taranto nel processo a carico dell'Ilva per la diossina, col deposito della maxi perizia che ha accertato la connessione fra l'inquinamento del territorio e le attività dello stabilimento siderurgico.

La discussione si è svolta in un'aula presa d'assalto da centinaia e centinaia di cittadini ansiosi di conoscere la verità, che hanno risposto all'appello lanciato dai comitati e dalle assoziazioni ambientaliste indossando una fascia bianca al braccio. I periti incaricati dal Gip di eseguire l'indagine chimico-batteriologica hanno compiuto ricerche per oltre un anno, producendo un gigantesco lavoro esaminato in Camera di consiglio che di fatto mette sotto accusa la fabbrica tarantina dell'acciaio per le emissioni incontrollate di fumi e polveri che da decenni piovono sulla città.

L'inquietante rapporto dei periti - recepito dal collegio giudicante ed è questa la circostanza che fa di nuovo sperare in una conclusione pienamente giusta del procedimento - fa pure riferimento all'abbattimento nel 2008 di migliaia di capi di bestiame da parte degli allevatori, perché nelle loro carni venne riscontrata una massiccia presenza di diossina.

L'inchiesta, avviatasi tre anni fa in seguito al ritrovamento di pericolose tracce inquinanti nei formaggi provenienti dagli ovini che pascolavano nei pressi della zona industriale, vede indagati tutti i vertici dell'Ilva su cui pendono pesanti capi d'imputazione: disastro ambientale colposo e doloso, avvelenamento colposo di sostanze alimentari, getto e sversamento di cose e sostanze pericolose, omissione dolosa di cautele contro gli infortuni sul lavoro, danneggiamento aggravato di beni pubblici e inquinamento atmosferico.

All'elenco manca ancora l'accusa di omicidio in quanto bisognerà attendere gli esiti dell'ulteriore indagine epidemiologica, da depositare agli atti processuali entro il prossimo primo marzo per la successiva discussione nell'udienza del 30 marzo, atta proprio a stabilire l'eventuale nesso di causalità fra l'inquinamento e le numerose patologie riscontrate nell'area che a questo punto pare una semplice formalità.

Insomma, pur trasversalmente sottoposta dalla politica, negli ultimi due decenni, ad accuse a dir poco infamanti, ed al netto dei procedimenti contro Berlusconi che inevitabilmente finiscono sempre sotto la lente d'ingrandimento dei media, la giustizia continua a fare normalmente il proprio corso e il proprio dovere. Non sempre in silenzio e lontana dei riflettori come le converrebbe e talvolta nemmeno immune ad errori più o meno eclatanti.

Ma la sua solenne bilancia non può in ogni caso essere forzosamente indebolita o stravolta da interessati e punitivi interventi legislativi. E perfino il tema della responsabilità civile dei magistrati, che al pari dell'art. 18 in ambito giuslavoristico non può essere un totem del quale è a priori impossibile discutere, se inserito nel contesto più ambio dei condivisi cambiamenti sociali e culturali della fase attuale può davvero rappresentare un iniziale passo verso l'affermazione di quell'orizzonte della "giustizia giusta" da più parti invocato.

Intanto, in attesa che gli stessi processi a carico del vecchio premier giungano a conclusione e stabiliscano definitivamente se egli è stato in tutti questi anni un perseguitato o se invece andava realmente messo al bando dalla vicenda pubblica nazionale, rispettiamola sul serio la giustizia e applaudiamo ai responsi in grado di non suscitare la nostra ilarità nel leggere la frase "la legge è uguale per tutti".

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