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Essere un altro #4

Immagina che uno sconosciuto, entrato in casa tua, dimostri di poter contestare la tua identità.

Chi è? Cosa vuole ottenere? Come riesce a manipolare le informazioni sulla tua vita? Ma soprattutto: tu chi sei?

Un romanzo a puntate sulla fragilità dell'identità nell'era di Internet. Qui le altre puntate. 

 

Chiesi ad Arnaldi una delle poche cose sagge che dissi quel giorno: «Perché non mi ha telefonato per prendere un appuntamento?» Glielo chiesi nonostante non avessi un telefono fisso, come precisò Arnaldi, il quale spiegò anche di non avere il mio numero di cellulare. Ciò escludeva che qualcuno dei miei contatti rubricati avesse venduto il mio nome a Com. «Poteva scrivermi un’e-mail», ma non avevano neanche quell’informazione. Perciò non ero saltato fuori da una banca dati commerciale di Internet e, probabilmente, doveva essere vero che Arnaldi non era venuto per vendermi qualcosa. «Perché è venuto proprio oggi, in un giorno di festa?»

Spiegò che nei giorni precedenti non mi aveva trovato e che non conosceva altri miei recapiti. Sapere che Com ignorava alcune informazioni banali sul mio conto mi rassicurò e, pensando di avere un vantaggio su di loro, caddi nella trappola quando Arnaldi, mentre un jet militare eseguiva una virata appena sotto la barriera del suono, commentò che in strada c’era troppa confusione per capirsi parlando al citofono. Aprii il portone e lo invitai a salire.

Era un uomo assolutamente anodino, vestito in maniera ordinaria, senza caratteristiche particolari, a parte l’impersonalità. I suoi movimenti fluidi e felpati mi inquietarono tanto quanto il suo sorriso amichevole e il suo sguardo penetrante, sempre incollato ai miei occhi. Nel momento in cui varcò la soglia mi si chiuse lo stomaco e persi il fiato. Credo che sbiancai in viso. Avevo la netta sensazione di avere commesso l’errore di invitare un ladro o un assassino o un vampiro.

Ci mettemmo in salotto. Non volle bere nulla. A me era passata la sete.

Mi ringraziò per la disponibilità, spiegò che dovevamo verificare insieme la correttezza di alcune informazioni, che mi avrebbe fatto poche domande e cominciò a giocare col mio cervello, prestigiando con le dita mentre parlava di cose insensate: percepivo chiaramente solo il tono della sua voce, suadente e rassicurante, ma non il contenuto delle sue parole. «Dove si trovava l’altro ieri alle sette di sera?»

Mentre rispondevo, Arnaldi tossì guardandomi negli occhi. «Qui a casa, ma non vedo in che modo ciò possa interessarle».

Mi spiegò che se avessi detto la verità, la nostra discussione sarebbe durata pochissimo, ma che se avessi continuato a mentire ci sarebbe voluto molto tempo. Lo disse con estreme calma e cordialità. Sorrideva.

Gli spiegai che quella mi sembrava una minaccia e che l’avrei sbattuto fuori dalla porta, se non veniva immediatamente al sodo.

«Mi perdoni. Voglio solo essere franco. Ho bisogno che lei risponda sinceramente ad alcune domande».

«Sono stato sincero. E comunque, perché dovrei esserlo con lei? Chi è? Ancora non mi ha spiegato cosa vuole.»

«Come ho già spiegato, sono un consulente Com, che è un’agenzia di analisi operativa…»

«Analisi di orientamento», lo interruppi sarcastico.

«Esatto. Analisi di orientamento, come avrà potuto verificare dal nostro sito. Ora, visto che si è già infor…»

Lo interruppi ancora: «Cos’è un’analisi di orientamento? Non ne ho mai sentito parlare. Cosa significa?»

Arnaldi prese un respiro mandando per la prima volta gli occhi in giro per la stanza, riorganizzando le idee, poi dette fiato alla bocca con estrema serenità. «Quante volte le è capitato di non sapere cosa fare?» e mi guardò in attesa di una risposta. Era sempre lui a condurre il gioco, ma mentre lo faceva non ero in grado di accorgermene.

Risposi che mi era capitato un sacco di volte, come capita alla gran parte delle persone ogni giorno, mentre lui produsse un suono battendo le mani.

«Come capita alle persone, così capita anche alle aziende, alle imprese, che spesso non sanno come comportarsi in situazioni delicate, di crisi o di emergenza.»

«Che differenza c’è tra una situazione di crisi e una di emergenza?» Inondandolo di domande mi illudevo di controllare la situazione.

Sorrise. Quando sorrideva mi preoccupavo maggiormente perché avevo l’impressione che fosse ogni volta consapevole di acquisire su di me un vantaggio superiore al precedente.

«Un’emergenza è una situazione problematica creata imprevedibilmente. Una crisi, invece, è una situazione problematica organizzata consapevolmente. Proprio come quella in cui si trova lei e per la quale io mi trovo qui adesso, insieme a lei, nel tentativo di venirne a capo ragionevolmente.»

La mole di informazioni che mi aveva appena fornito mi fece ammutolire. Stavo ancora cercando di riorganizzare le idee su quanto appreso – una mia relazione problematica con qualche azienda, la presenza di un mediatore che stava tentando di evitare conseguenze irragionevoli, una società interessata a inviarmi un consulente operativo che risolvesse il problema – quando Arnaldi, dando un calcio col tacco sul pavimento, mi domandò: «Dove si trovava l’altro ieri alle sette di sera?»

«Qui a casa», risposi automaticamente. Avrei voluto prendere tempo, riflettere sugli eventi, sui miei ricordi e sui possibili esiti di quella conversazione, ma il suono sordo del suo tacco fu come un interruttore collegato direttamente al mio cervello che riuscì ad azionare i circuiti della parola. E dissi esattamente ciò che sapevo di dover dire: la verità su quello che avevo fatto due sere prima.

Estrasse dalla tasca un plico di fotografie che mi ritraevano al tavolo di un caffè in compagnia di una donna e lasciò che si sparpagliassero sul tavolo basso del soggiorno. Le commentò dicendo che erano state scattate alle sette di due sere prima, guardandosi intorno: «A me non sembra che quella sia casa sua».

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