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 Home page > Attualità > Cultura > Essere un altro #10

Essere un altro #10

Immagina che uno sconosciuto, entrato in casa tua, dimostri di poter contestare la tua identità.

Chi è? Cosa vuole ottenere? Come riesce a manipolare le informazioni sulla tua vita? Ma soprattutto: tu chi sei?

Un romanzo a puntate (capitolo 8) sulla fragilità dell'identità nell'era di Internet.

Scritto da Osvaldo Duilio Rossi, dai consigli di Mario Pica.

 

Ogni singola azione compiuta da Com per intrufolarsi nella mia vita era assolutamente disgustosa, oltre che illegale. Avrei anche aggiunto che sarei ricorso alla legge, ma Arnaldi mi anticipò commentando che Com si era comportata molto più lecitamente di quanto avessi fatto io.

A cosa diavolo si riferiva?

«Sono stanco di questo gioco», disse senza alcuna traccia di ironia, «forse è il caso di affrontare argomenti più semplici. Come si chiama?»

Risposi stancamente che non conoscevo la donna ritratta nelle fotografie.

«Non la donna», mi interruppe Arnaldi e specificò: «Lei», puntando l’indice verso il mio petto.

Cosa avrei dovuto aspettarmi ora? Cercai di prendere tempo, contestando che era venuto a cercarmi lui e che, quindi, sapeva bene come mi chiamavo, tanto più che aveva esplicitamente chiesto di me al citofono.

Pronunciò il mio nome e il cognome, ripeté che erano scritti sul citofono, sulla cassetta delle lettere e sul campanello, «Ma lei si chiama Piergiulio Lebolle, come dimostrano questi documenti». Mi passò le fotocopie di una carta d’identità, di un vecchio passaporto e di un estratto di nascita. Incredulo presi il fascicolo relativo al passaporto: c’era una mia foto che non ricordavo di avere mai scattato e i timbri doganali di tutti i posti del mondo che avevo visitato negli ultimi cinque anni, ognuno per i giorni esatti in cui ero stato in Grecia, Tibet, Nicaragua, Giappone, Cina, Australia, Turchia, Messico…

«Una persona ordinaria, che vive in un edificio popolare come questo, cosa fa così tanto in giro per il mondo? Come fa a girare il mondo, dove trova il tempo e il denaro?» Dopo una pausa, aggiunse: «Ma forse non è una persona ordinaria… forse è una persona importante, con molto da perdere e che forse ha commesso qualche errore e che, per questo, sta nascondendosi come meglio può riuscirci un… vip».

Non ero un uomo famoso. Non lo ero mai stato. Neanche nei miei momenti migliori. Neanche quando avevo raggiunto i massimi risultati in ciò che mi ero impegnato a fare. Non capivo cosa volesse ottenere da me quel… consulente… e non capivo cosa stesse cercando di dimostrare.

Arnaldi mi spiegò che era inutile continuare a mentire. Per essere sicuri di quello che stavano facendo, si erano addirittura allacciati al mio impianto fognario per prelevare dei campioni: «Possiamo dimostrare che le sue feci di ieri corrispondono a ciò che ha mangiato l’altro ieri sera insieme a quella donna».

Nessun genere di paranoia avrebbe mai potuto portarmi a immaginare tanto. «Se è vero che avete controllato le mie feci, allora potreste anche esservi allacciati al mio impianto idrico per drogare la mia acqua», contestai sbigottito.

Mi assecondò: «Se ha l’impressione di essere stato drogato, qualcuno avrebbe potuto farlo sofisticando la sua acqua. Ha accusato sintomi inconsueti ultimamente?»

Tutto, fino a quel momento, era trascorso normalmente. Mi ero svegliato di buon mattino, come al solito, e come al solito ero andato a dormire verso metà serata, senza schiacciare pisolini pomeridiani, senza riscontrare mali di testa o mal di stomaco. Non potei fare a meno di scuotere il capo e di rispondere negativamente alla sua domanda.

Mi guardò fisso negli occhi, sorridente e tranquillo, completamente a suo agio, e commentò che dal tenore delle mie paranoie, se fosse stato nei miei panni, avrebbe temuto che il caccia che stava per sorvolare a bassa quota il quartiere, invece di partecipare a una parata militare, fosse impegnato a nebulizzare qualche droga in grado di assopire la mia consapevolezza per espormi a qualsiasi suggestione esterna. Poi rimase a guardarmi, gesticolando in maniera sconnessa dalle parole, sempre sorridendo. Dette un calcio al pavimento quando il rombo di un jet riempì il soffitto di vibrazioni, lasciando intravedere una scia bianca nel cielo fuori dalla finestra. Disse che, a quello stadio, sarei potuto arrivare a rifiutare un’operazione chirurgica per il timore che mi impiantassero un microchip tracciante.

«Lo sa che con il laser, oltre a eliminare la miopia, si possono installare informazioni subliminali nella mente, attraverso il nervo ottico?»

Commentai che mi sembrava assurdo… che il costo delle risorse investite non avrebbe mai potuto pareggiare i risultati… che la fatica e l’impegno profusi da Com erano eccessivi rispetto a quello che avrebbero potuto ottenere da me. Non avevo assolutamente niente da offrire, non mi interessavo alla vita pubblica né alla politica, non avevo neanche la televisione in casa… non ero nessuno! E Com non poteva avere investito così tanto in un nessuno. Perciò quelle dovevano essere menzogne: se le foto erano false – e lo erano – anche la storia dell’impianto idrico poteva essere una balla.

«Certo. Potrebbe essere una balla. Ma potremmo avere delle analisi di laboratorio che confermano la nostra versione» puntualizzò Arnaldi. «Non importa cosa io e lei riteniamo che sia vero. Importa solo il risultato finale. Il costo relativo non conta. Pochi mesi fa abbiamo fatto multare una multinazionale, ricomponendo seicento pagine di dossier sminuzzati e gettati nella spazzatura… importa forse come ci siamo riusciti? Importa se è vero che abbiamo ricomposto quei dossier? No. Importa solo che un’azienda di portata globale abbia perso fondi, credibilità e una discreta fetta di mercato».

Memo: bruciare ogni appunto e ogni documento contenente i dati personali, a meno che non debba necessariamente conservarli addosso. Se vuoi mantenere un segreto, dimenticalo, non dirlo a nessuno e distruggi ogni traccia.

Questo articolo è stato pubblicato qui

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