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Espropriare l’Ilva

 

La sinistra è arrivata come al solito ultima: anche Landini, nel dibattito a Servizio Pubblico di Santoro, è arrivato a parlare di esproprio solo come misura estrema, e temporanea, scavalcato non solo dai lavoratori ILVA presenti, ma perfino dall’abile demagogo Crosetto.

Eppure l’idea del ritorno al pubblico (nonostante la brutta esperienza di una gestione formalmente pubblica ma ferocemente privatistica prima che la fabbrica fosse svenduta ai Riva) si fa strada. L’ha dovuta evocare anche Passera, per abbellire l’infame decreto governativo. L’esproprio per Monti sarebbe l’ultima misura nel caso che la proprietà, a cui si chiede di fare quel che gli è stato chiesto cento volte senza che lo facesse, risultasse un giorno ancora una volta inadempiente…

Il decreto governativo è non solo infame, ma spudorato: in pratica, dopo aver trovato infinite volte il pollaio saccheggiato da una volpe, la si nomina custode del pollaio…

I Riva, finora, nonostante denunce e accertamenti della magistratura, hanno fatto investimenti non nel risanamento, ma nella corruzione dei controllori. A tutti i livelli, dai 10.000 euro (per il vescovo…) scoperti casualmente da una telecamera, ai 98.000 per la campagna elettorale di Pier Luigi Bersani, alle molte centinaia di migliaia per il PdL, e sono state coperte da tutte le autorità, compreso il sindaco Stefano e il presidente Vendola, preoccupate di mantenere buoni rapporti con il generoso cavaliere d’industria venuto dal nord…

La prudenza dei Riva non si è manifestata solo nella latitanza di uno di loro, ma nella scelta di Bruno Ferrante come presidente dell’ILVA, quando le nubi si addensavano all’orizzonte. Ferrante è infatti un collaudato “servitore dello Stato”, dapprima come prefetto, ma ha anche, come “certificato di garanzia”, quello di essere stato nel 2006 candidato sindaco a Milano per il PD (quello di Filippo Penati), oltre ad aver ricoperto incarichi in varie aziende, come come la Fibe, del gruppo Impregilo, impegnate nello smaltimento rifiuti in Campania.

A Bruno Ferrante, nominato dalla famiglia Riva (che proprio ieri, non dieci anni fa, ha ricevuto dai suoi simili il premio per “l’imprenditore dell’anno 2012”), il governo vuole affidare il compito di risanare l’ILVA…

I due Riva che non sono latitanti, ma agli arresti domiciliari in una delle loro comode ville (ai criminali di alto rango che in qualche modo vanno controllati si assegna sempre questa comodissima “pena”…) non hanno avuto pudore a inviare un loro rappresentante a ritirare il premio! Io comincerei, per poter frugare più comodamente nei beni accumulati assassinando lavoratori e cittadini di Taranto, a tenerli in una vera galera sovraffollata, condannati non all’ergastolo ma fino a risanamento avvenuto… Ovviamente la nostra legislazione, sempre garantista per i potenti, non lo prevede, ma sarebbe una misura efficace.

Ma tornando alle cose serie: ogni volta che, per l’ILVA o per la FIAT, o per altri padroni del vapore, ho parlato di esproprio, da sinistra mi sono sentito dire: “lascia perdere queste richieste incomprensibili, estremiste, di altri tempi: chi potrebbe capirle?”

Così ora, a forza di parlare di sogni, come sono le riconversioni, o altri obiettivi in sé giusti, presentati come buone idee suggerite a lorsignori, senza accennare a come modificare i rapporti di forza, per costringere Stato e padronato a accettarle, la sinistra è arrivata impreparata a una situazione in cui di esproprio, o confisca, o nazionalizzazione, hanno dovuto cominciare a parlare demagogicamente (come ultima ratio) proprio i detentori del potere, da Passera a Monti.

Sintomatico il panico del vicedirettore del “Sole 24 Ore”, l’organo ufficiale del padronato: “E' assurdo, scapperanno tutti gli imprenditori, non si può, credo che sia anticostuzionale”… Forse per la prima volta andrà a consultare la costituzione…

In realtà i “prenditori” sono già a Malindi o a Saint Moritz, nelle ville costruite con la refurtiva razziata allo Stato.

Bisognerebbe smettere di porre nei programmi della sinistra le solite fantasie e partire dalla concretezza: non mi importa che si chiami nazionalizzazione, o confisca o esproprio, preferirei dire restituzione di quanto illecitamente accaparrato grazie alle complicità dei governi e dei manager di Stato. Smettiamola di proporre soluzioni assurde, come il “prestito dello Stato all’ILVA” per coprire le spese del risanamento, proposto dal timido Landini, o le misure punitive a cui accenna Passera, che dovrebbero spingere i Riva a vendere (intascando altri miliardi) a qualche capitalista indiano o cinese…

Il settore siderurgico è davvero strategico, e il suo nodo centrale deve essere sotto il controllo pubblico, e quindi sottratto a ogni interesse privato, di qualunque parte o paese sia. L’interesse della collettività può essere garantito dal “controllo operaio”, inteso oggi come controllo dal basso di lavoratori e di cittadini coinvolti e interessati. Ma è argomento che ci sarà tempo e modo per discutere, se partirà un movimento che impone la restituzione. Altrimenti rimane astratto e incomprensibile.

Ricordiamo che lo si era fatto per certi aspetti negli anni Sessanta con la nazionalizzazione delle imprese elettriche: una misura certo non socialista, ma una misura nell’interesse della collettività, e degli stessi capitalisti nel loro complesso. E in questa logica lo Stato aveva finanziato la costruzione dell'Italsider di Taranto, che nessun privato poteva assumersi.

Ma oggi di qualunque misura di "restituzione", hanno paura tutti, grandi e piccoli, e tutte le forze politiche che hanno permesso le folli e masochistiche privatizzazioni, perché affrontare sul serio nell’unico modo possibile la questione dell’ILVA farebbe rimettere in discussione tutte le altre. E sono in tanti ad averci lucrato: “prenditori” e politici, fino ai piccoli risparmiatori sospinti a partecipare alla grande rapina.

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