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Elezioni in Egitto: il (quasi) presidente dei Fratelli Musulmani

Forte dei 12.738.000 voti finora conteggiati il candidato della Fratellanza Musulmana Mohamed Mursi si proclama nuovo presidente d’Egitto; sostiene di avere dalla sua il 53% dell’elettorato votante e di sopravanzare l’avversario Shafiq di un milione di preferenze. E’ un atto unilaterale perché la Suprema Commissione Elettorale non si è ancora pronunciata, ma la macchina di sostegno al candidato islamico afferma che le percentuali delle 13.000 sezioni conteggiate confermano la tendenza, sebbene lo staff di Shafiq si accrediti a sua volta del 52% dei consensi.

Lo scontro di cifre continuerà nelle concitate ore del dopo voto che alla vigilia dell’ultimo atto erano già state turbate dalle manovre con cui il CSFA ha azzerato l’Assemblea del Popolo a maggioranza islamica. Un passo che ha portato alcuni esponenti di altri Paesi islamici (Sahnouni, Djaballah) a ripercorrere con la mente eventi come il golpe bianco dell’esercito algerino che vent’anni or sono tagliò le gambe al successo elettorale del Fronte Islamico della Salvezza dando in via a un sanguinoso conflitto interno.

Altri osservatori sottolineano, invece, come la dura repressione subìta per decenni dalla Fratellanza egiziana ha forgiato la sua leadership che non si lascerà trascinare verso reazioni violente e continuerà a perseguire la via legale cercando di affermarsi col consenso del popolo. Una popolazione comunque divisa, una cui parte appoggia le manovre dei militari per alcuni aspetti palesemente antidemocratiche.

Mursi, giocando d’anticipo su nuovi colpi di scena e di mano, ha chiosato la notizia del voto favorevole ricordando che vorrà essere un presidente per tutti gli egiziani senza cercare rivalse di fazione. Ma ha ricordato da dove il nuovo Egitto deve partire: ”il superamento del passato per il quale si sono sacrificati i martiri del rinnovamento, alla cui memoria vanno garantiti la libertà e il ripristino dei diritti”. Mentre dall’entourage di Shafiq proseguono le polemiche sul voto “comprato o estorto da parte dell’organizzazione politica islamica”.

L’ufficializzazione del voto avverrà nei prossimi giorni ma più che smentite o nuovi colpi di teatro a preoccupare gli egiziani democratici è la via intrapresa con ostinazione e scaltrezza dalla lobby delle Forze Armate. Se non vorranno smentire ciò che hanno più volte annunciato il 1° luglio passeranno la mano al nuovo presidente che avrà però un campo d’azione limitato dalle ulteriori misure a proprio favore che Tantawi e generali si sono dati in questi ultimi giorni. Una per tutte: per ragioni di sicurezza (in caso di guerra) o di ordine pubblico il Capo dello Stato deve “agire di concerto con le strutture militari”, il insomma il presidente più che il loro supremo comandante finisce per essere un controllato da quest’ultime.

L’incognita sul futuro delle effettive libertà delle istituzioni del Paese è elevata, il passaggio di consegne alla componente civile e politica esiste negli annunci più che nella sostanza. Il golpe bianco del Consiglio Supremo delle Forze Armate va ben oltre le intenzioni, avanza a grandi passi.

Commenti all'articolo

  • Di Geri Steve (---.---.---.162) 18 giugno 2012 11:15

    Fra islamici e militari è ben difficile capire quale sia il male minore: la storia della Turchia porterebbe a concludere che i militari sono meglio, ma quella dei governi militari in Algeria e nello stesso Egitto hanno dimostrato che i militari stessi alimentavano il terrorismo islamico per mantenere il potere.

    Le primavere arabe hanno dimostrato che sta effettivamente crescendo una coscienza civile e democratica, ma che il potere religioso e quello militare sono ben superiori e che dalle loro -sporche- lotte di potere non può venire proprio niente di buono.

    Anche in Siria la rivolta contro Assad ha -purtroppo- una forte componente religiosa.
    In Iran la chiesa sciita ha saputo cavalcare la giusta protesta contro lo Scià per insediarsi al potere e mantenerlo malgrado i forti ed estesi dissensi interni.

    Dubito che si possano avere reali progressi fino a che non nascerà un partito democratico laico e internazionale, che sia un riferimento per tutti i movimenti progressisiti arabi. Si tratta di costruire una nuova cultura laica e aperta, cosa non facile in paesi in cui l’illuminismo non è mai arrivato e la democrazia non solo non è mai esistita ma neanche è stata considerata un valore.

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