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Egitto, per gli USA non c’è alternativa ai Fratelli Musulmani

Gli ultimi sviluppi in Egitto stanno configurando uno scenario da colpo di Stato mascherato. A pochi giorni dal secondo turno per le presidenziali, i militari hanno ripristinato la legge d'emergenza e la Corte costituzionale ha annullato l’elezione di un terzo della Camera bassa, quella parte di parlamento eletta attraverso ballottaggio, con l'effetto di sciogliere l'intera Camera.

La complessità della situazione è riassunta sul sito dell'Enciclopedia Treccani:

Lo scioglimento del parlamento eletto ha demotivato gli elettori e le percentuali di astensionismo (si parla del 60% del totale) sono state assai più alte che nel primo turno, dove pure aveva votato, secondo le stime ufficiali, solo poco più della metà degli aventi diritto. Gli elettori dei candidati esclusi dal ballottaggio hanno verosimilmente disertato in massa le urne: il solo Abdel Moneim Abdel Futuh, il Fratello dissenziente che aveva raccolto i consensi di molti democratici liberali (fra questi, il Movimento del 6 aprile) si è dichiarato per Mursi, mentre ‘Amr Musa aveva ambiguamente auspicato l’avvento di uno “stato civile”, dichiarando allo stesso tempo che l’Egitto non era pronto per l’esperienza parlamentare. Nei due giorni delle votazioni, cortei che invitavano a boicottare le urne si sono succeduti nelle strade del Cairo, mentre il numero di schede annullate volontariamente, in modi spesso pittoreschi, si profila assai alto.
Per molti, l’alternativa è stata non fra il ritorno al passato regime e un governo eletto a guida islamista, ma fra laicismo e islamismo, senza mezzi termini; quest’ultima scelta ha lasciato pochi margini agli elettori cristiani copti, così come a una parte dell’opposizione laica, che hanno accolto, infatti, la candidatura di Shafik e l’intervento militare, come una garanzia contro l’instabilità politica e la deriva comunitaria.

Questo pezzo di tradotto da Medarabnews, spiega che la sfida maggiore a cui dovrà far fronte la rivoluzione egiziana, anche dopo l’elezione del nuovo presidente, sarà quella di distruggere le reti dello “stato profondo” che ancora detengono il potere nel Paese:

La storia di quest’espressione va ricercata nell’esperienza turca, ed indica una rete di alleanze legate alle istituzioni della sicurezza e dell’esercito che trae origine dalle tradizioni delle società segrete di epoca ottomana. Solitamente, fine ultimo di questi gruppi è la conservazione del potere e dello status quo; si tratta di gruppi che formano uno stato dentro lo stato e che lavorano sempre dietro le quinte per assicurarsi il controllo sugli apparati amministrativi e di sicurezza dello stato.

È del tutto chiaro che la cattiva amministrazione della fase di transizione in Egitto, da parte del Consiglio superiore delle forze armate, ha portato ad una mancanza di fiducia tra i militari e le forze rivoluzionarie le quali, alla fine, hanno cominciato a pretendere la caduta del governo militare. Nonostante questo, non possiamo ignorare il ruolo giocato dalla rete dello stato profondo in Egitto, la quale è stata capace di serrare le proprie fila e difendere i propri interessi per salvare ciò che rimaneva del regime dopo averne sacrificato il capo.

Ciononostante, sono in tanti ad augurarsi la vittoria di Shafiq in quanto militare, quindi "laico", contrapposto ai "famigerati" islamisti. A fugare questo luogo comune ci pensa Lorenzo Declich, il quale ricorda come nella storia recente dell'Egitto veri fomentatori del conflitto settario siano proprio i militari:

Se quel conflitto non ci fosse, e se non ci fosse il terrore del “regime islamico”, Mubarak e i suoi figliocci, che oggi si mangiano il padre per rimanere al potere, sarebbero indifendibili.

Aggiungendo che alcuni membri della Jihad islamica hanno annunciato la formazione di un nuovo partito, Jihad democratica, il cui obiettivo è dare supporto al candidato dei militari egiziani, Ahmed Shafiq. Dettaglio che smentisce l'idea che l'elezione di Shafiq sia il male minore, poiché "laico".
Per farsi un'idea di come gli jihadisti cerchino di sfruttare le opportunità offerte da un sistema (semi)democratico a proprio vantaggio basta leggere questo lungo post su Jihadica. C'è questo paragrafo in particolare che riassume il pensiero di Ayman al-Zawahiri sul concetto di democrazia:

Al-Zawahiri’s reasoning is obviously meant to show that the US, by waging a “war on Islam” is going against the will of Egyptians but that he and al-Qaida are actually on the people’s side. In this sense, al-Zawahiri appears to be the real supporter of democracy. He quickly dispels this idea, however, since he explicitly rejects the “democracy that America wants for us, a special democracy for the Third World in general and the Islamic world in particular”. Such American-sponsored democracy, al-Zawahiri states, could be seen in Algeria, when that country cancelled elections in the early 1990s after they had been won by Islamists, or in Gaza, when the world refused to deal with Hamas after it had won elections there.

Al-Zawahiri does not just object to democracy because he associates it with injustice, however. He also claims it is an idol that is worshipped by its followers since they blindly follow what the majority wants, irrespective of what religion says. The majority thus becomes the object of worship instead of religion. As an alternative, the current Egyptian regime should leave and the country should be ruled by a pious, Islamic regime instead. The people will have the right to choose their leaders, al-Zawahiri claims, but obviously within the bounds of the sharia. The misery of the people should be ended, the West should be confronted and the oppression should be lifted “in Palestine, Iraq, Afghanistan and every corner of the world of Islam”. Jihad should therefore be continued until this goal has been achieved.

A corollario di tale posizione, proprio pochi giorni fa al-Zawahiri ha espressamente chiesto al suo Paese di revocare l'accordo con Israele e di basare la futura legislazione egiziana sulla shari'ia.

Dall'altra parte, i Fratelli Musulmani, descritti dal marasma mediatico come fanatici e integralisti, sono molto più vicini a quelle degli Stati Uniti di quanto sembri a prima vista. Dopo aver - più o meno velatamente - criticato sia l'America che Israele, a fine maggio la Fratellanza Musulmana ha esplicitamente invocato un intervento armato in Siria, aderendo alla posizione statunitense - e israeliana, espressa dal recente appello del ministro della Difesa Ehud Barak. Secondo la Reuters:

Working quietly, the Brotherhood has been financing Free Syrian Army defectors based in Turkey and channeling money and supplies to Syria, reviving their base among small Sunni farmers and middle class Syrians, opposition sources say

Mesi fa scrivevo che la prospettiva di un’al-Qa’ida rinnovata e più forte deve aver convinto gli USA della necessità di muoversi dietro le quinte per stringere accordi con la Fratellanza:

Lo scorso 6 novembre il quotidiano libanese Al-Diyar ha rivelato l’esistenza di negoziati segreti tra Stati Uniti e Fratellanza Musulmana affinché Washington sostenga l’ascesa del movimento alla guida dei Paesi arabi a condizione che questo si impegni a contrastare al-Qa’ida. I primi contatti risalirebbero a quattro anni fa, poi l’esplosione della Primavera araba avrebbe costretto gli USA ad accelerare il raggiungimento di un accordo,accettando l’ascesa politica degli islamisti.
La Casa Bianca è consapevole che non vi è alternativa politica ai Fratelli Musulmani. Le elezioni lo hanno dimostrato. Pertanto gli USA dovranno adottare una strategia che tenga in conto la realtà del movimento come principale forza politica in Egitto e nel resto del Medio Oriente. Beninteso,purché sia garantita la sopravvivenza delle petromonarchie del Golfo (Arabia Saudita in primis, dove le contestazioni non mancano), alla cui stabilità sono legate le speranze di ripresa dell’economia mondiale.
Inoltre, l’ideologia settaria dei Fratelli Musulmani li rende intrinsecamente ostili ai movimenti sciiti (come Hezbollah), ismailiti e alawiti. Washington potrebbe sfruttare l’appoggio della Fratellanza per contribuire ad isolare l’Iran, sostenendo i movimenti salafiti presenti al suo interno in Balucistan e Khuzestan, notoriamente nemici di Teheran.

Tale processo non è storia recente. Questo articolo di Seymour Hersh del 2007 spiega come la "resurrezione" del movimento sia stata sostenuta dalla coppia USA-Israele attraverso i sauditi, allo scopo di favorire l'ascesa di una forza (sunnita) da contrapporre all'Iran (sciita):

In the past few months, as the situation in Iraq has deteriorated, the Bush Administration, in both its public diplomacy and its covert operations, has significantly shifted its Middle East strategy. The “redirection,” as some inside the White House have called the new strategy, has brought the United States closer to an open confrontation with Iran and, in parts of the region, propelled it into a widening sectarian conflict between Shiite and Sunni Muslims.
To undermine Iran, which is predominantly Shiite, the Bush Administration has decided, in effect, to reconfigure its priorities in the Middle East. In Lebanon, the Administration has coöperated with Saudi Arabia’s government, which is Sunni, in clandestine operations that are intended to weaken Hezbollah, the Shiite organization that is backed by Iran. The U.S. has also taken part in clandestine operations aimed at Iran and its ally Syria. A by-product of these activities has been the bolstering of Sunni extremist groups that espouse a militant vision of Islam and are hostile to America and sympathetic to Al Qaeda.
...
[Walid] Jumblatt then told me that he had met with Vice-President Cheney in Washington last fall to discuss, among other issues, the possibility of undermining Assad. He and his colleagues advised Cheney that, if the United States does try to move against Syria, members of the Syrian Muslim Brotherhood would be “the ones to talk to,” Jumblatt said."
...
"There is evidence that the Administration’s redirection strategy has already benefitted the Brotherhood. The Syrian National Salvation Front is a coalition of opposition groups whose principal members are a faction led by Abdul Halim Khaddam, a former Syrian Vice-President who defected in 2005, and the Brotherhood. A former high-ranking C.I.A. officer told me, “The Americans have provided both political and financial support. The Saudis are taking the lead with financial support, but there is American involvement.” He said that Khaddam, who now lives in Paris, was getting money from Saudi Arabia, with the knowledge of the White House. (In 2005, a delegation of the Front’s members met with officials from the National Security Council, according to press reports.) A former White House official told me that the Saudis had provided members of the Front with travel documents." 

Hersh rivela che la cricca libanese di Saad Hariri aveva fatto da tramite tra gli americani e la Fratellanza in Siria. Abbiamo dunque la conferma che i Fratelli musulmani e Hariri hanno lavorato insieme a Stati Uniti, Israele e Arabia Saudita per anni.

Non solo. La resurrezione politica della Fratellanza Musulmana porta - almeno in parte - la firma del Dipartimento di Stato americano, grazie ai fiumi di denaro e al supporto diplomatico elargiti dietro le quinte. L'occasione per cementare questo sodalizio, secondo il blog Land Destroyer, fu il vertice inaugurale dell'Alleanza dei Movimenti Giovanili, tenuto a New York nel 2008, dove parteciparono anche coloro che poi sarebbero diventati i leader del 6th april Movement. Lo scorso anno il New York Times ha rivelato che quegli stessi leader sono stati addestrati, equipaggiati, finanziati dagli Stati Uniti, prima di essere rispediti a destabilizzare l'Egitto all'inizio nel 2010 e poi nel 2011 nel corso della cosiddetta "primavera araba".

A proposito di destabilizzare, ci sono alcuni aspetti che meriterebbero di essere approfonditi. In novembre scrivevo:

A parte il fatto che diversi manifestanti sono rimasti feriti o contusi da armi made in USA (come denuncia anche Amnesty), vi è il sospetto che gli americani siano direttamente sono coinvolti nelle sparatorie di fine novembre. Un video trasmesso dalla Tv egiziana mostra tre stranieri che gettano bottiglie molotov. Più inquietante (e da verificare) è una testimonianza riportata dall’Islam Times, secondo il quale alcuni security contractors (della Xe Services, ex Blackwater?) avrebbero aperto il fuoco presso l’Università americana del Cairo su manifestanti e polizia.

Come se si stesse cercando di esasperare il malcontento popolare contro i militari. A beneficio di chi, è facile immaginarlo. Ma in fondo sono soltanto mie speculazioni. La testimonianza è riportata (in arabo) anche qui.

Questo articolo è stato pubblicato qui

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