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Eccoce Remo Remotti: volato via da Mamma Roma e dalla vita

Aveva 90 anni che a tombola è la paura ma forse non l' aveva Remo Remotti, la vita se l'è goduta pienamente. L' ho conosciuto Remo Remotti in un magnifico giorno di primavera, alcuni anni fa nella casa ai Castelli Romani di un'amica carissima e comune, Luisa Di Gaetano, anche lei volata via.

Un personaggio unico, tornammo insieme a Roma in macchina e cominciò a raccontarmi della sua vita.

Più volte l' ho citato in questi anni: ...la poesia continua, come quella di Remo Remotti, che diceva Mamma Roma Addio. E poi invece eccoci, quà quà, a parlare di sesso non degli angeli, di giornate epocali, chi sale e chi scende, chi rimane sempre… Eccoce Roma, non siamo cambiati.
Volemose bene si...E tornare, nel ventre di Mamma Roma che cantava Remo Remotti con un Addio, ricordando quanto disse:

«Io non mi considero un’eccezione. Ho fatto quello che ho sentito senza chiedere niente a nessuno. Se vuoi essere libero non c’è epoca o latitudine che tenga».

Doriana Goracci


Dall' Ansa : "E' morto a Roma all'età di 90 anni Remo Remotti: artista poliedrico, poeta, attore, pittore, scultore, umorista, era nato nel 1924 e la sua infanzia e la sua gioventù sono state vissute nel Fascismo e nella Chiesa Cattolica. Laureatosi in legge, era scappato in Sudamerica nel 1951 dove aveva vissuto per sette anni. Remotti aveva lavorato nei cimiteri americani di guerra nel 1948, per fare poi il tassista in Perù, l'operaio in Germania, il funzionario di una ditta farmaceutica a Milano, il pittore, l'attore, il poeta e lo scrittore umoristico. Per tre volte è stato ricoverato in clinica psichiatrica e per due volte è stato sposato, con due donne che si chiamavano Luisa. Lascia una figlia nata quando aveva 64 anni". 


 

A Roma salutavo gli amici. Dove vai? Vado in Perù. Ma che sei matto?

Me ne andavo da quella Roma puttanona, borghese, fascistoide, da quella Roma del “volemose bene e annamo avanti”, da quella Roma delle pizzerie, delle latterie, dei “Sali e Tabacchi”, degli “Erbaggi e Frutta”, quella Roma dei castagnacci, dei maritozzi con la panna, senza panna, dei mostaccioli e caramelle, dei supplì, dei lupini, delle mosciarelle…

Me ne andavo da quella Roma dei pizzicaroli, dei portieri, dei casini, delle approssimazioni, degli imbrogli, degli appuntamenti ai quali non si arriva mai puntuali, dei pagamenti che non vengono effettuati, quella Roma degli uffici postali e dell’anagrafe, quella Roma dei funzionari dei ministeri, degli impiegati, dei bancari, quella Roma dove le domande erano sempre già chiuse, dove ci voleva una raccomandazione…

Me ne andavo da quella Roma dei pisciatoi, dei vespasiani, delle fontanelle, degli ex-voto, della Circolare Destra, della Circolare Sinistra, del Vaticano, delle mille chiese, delle cattedrali fuori le mura, dentro le mura, quella Roma delle suore, dei frati, dei preti, dei gatti…

Me ne andavo da quella Roma degli attici con la vista, la Roma di piazza Bologna, dei Parioli, di via Veneto, di via Gregoriana, quella dannunziana, quella barocca, quella eterna, quella imperiale, quella vecchia, quella stravecchia, quella turistica, quella di giorno, quella di notte, quella dell’orchestrina a piazza Esedra, la Roma fascista di Piacentini…

Me ne andavo da quella Roma che ci invidiano tutti, la Roma caput mundi, del Colosseo, dei Fori Imperiali, di Piazza Venezia, dell’Altare della Patria, dell’Università di Roma, quella Roma sempre con il sole – estate e inverno – quella Roma che è meglio di Milano…

Me ne andavo da quella Roma dove la gente pisciava per le strade, quella Roma fetente, impiegatizia, dei mezzi litri, della coda alla vaccinara, quella Roma dei ricchi bottegai: quella Roma dei Gucci, dei Ianetti, dei Ventrella, dei Bulgari, dei Schostal, delle Sorelle Adamoli, di Carmignani, di Avenia, quella Roma dove non c’è lavoro, dove non c’è una lira, quella Roma del “core de Roma”…

Me ne andavo da quella Roma del Monte di Pietà, della Banca Commerciale Italiana, di Campo de’ Fiori, di piazza Navona, di piazza Farnese, quella Roma dei “che c’hai una sigaretta?”, “imprestami cento lire”, quella Roma del Coni, del Concorso Ippico, quella Roma del Foro che portava e porta ancora il nome di Mussolini,

Me ne andavo da quella Roma di merda!

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