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Duri a morire: l’Italia dei cliché

Proverbi e luoghi comuni sono ripetuti quotidianamente senza ritegno né riflessione, con la superbia di chi si gloria d’essere nel giusto. Non preoccuperebbe se non fosse che questi costrutti semantici, dei quali si ignora spesso il significato originario, finiscono per condizionare le nostre scelte di vita a breve e lungo termine.

Voce di popolo, voce di Dio. La vastità della sapienza popolare permetterebbe di colloquiare a suon di proverbi, frasi fatte e cliché, ed intendersi perfettamente.
 
La pratica è consolidata al punto che persino i personaggi dai quali esigeremmo risposte più eloquenti prediligono gli espedienti linguistici per affermare, nella brevità di due parole, contenuti di due pagine. Segno evidente che la crisi ha intaccato persino materie esterne all’economia, ed in special modo la volontà di esprimersi in chiare lettere.
 
L’origine delle frasi fatte è antichissima e tanto è bastato a donar loro un posto nell’olimpo delle cose immodificabili. Per una qualche sconosciuta ragione le cose vecchie devono necessariamente essere considerate vere, benché spesso le nuove ne rivelino la falsità. La convinzione popolare diviene verità secondo un processo che Schopenhauer divide in tre fasi:
"La verità passa per tre gradini: viene ridicolizzata, viene contrastata, viene accettata come ovvia."
E’ palese xenofobia quella ravvisabile nel proverbio donne e buoi dei paesi tuoi, eco di un tradizionalismo senz’altro duro a morire. Traspare assai poca simpatia per i consanguinei in detti come fratelli coltelli, parenti serpenti e i parenti sono come le scarpe: più stretti sono, più male fanno. Crollerebbe la proverbiale ospitalità attribuitaci all’estero se sapessero del proverbio: L’ospite è come il pesce: dopo tre giorni puzza.
 
Istiga alla punizione corporale, e quindi alla violenza, il detto mazza e panella fanno i figli belli. C’è della pericolosità intrinseca in frasi come tentar non nuoce, la migliore difesa è l’attacco, l’amore non è bello se non è litigarello e can che abbaia non morde, le quali prese ad litteram, come spesso accade, produrrebbero effetti assai spiacevoli.
 
Di matrice similmente violenta, perché militaresca, le espressioni serrare le file - storpiato in serrare le fila, dimenticando il plurale - essere in procinto - dal lat. cingere, che sottintende la parola arma - spezzare una lancia - a favore di qualcosa o qualcuno - ed essere alle prime armi.
 
Quali contraddizioni emergerebbero se dovessimo accostare chi fa da sé fa per tre a l’unione fa la forza, il mondo è bello perché è vario a tutto il mondo è paese, chi va piano va sano e va lontano a chi tardi arriva male alloggia, il riso fa buon sangue a il riso abbonda sulla bocca degli stolti.
 
Si pensi a quanti giovani giustificano le azioni più incaute prorompendo: vent’anni nella vita si hanno una volta sola. Il medico è visto come il male a cui sottrarsi in una mela al giorno leva il medico di torno, espressioni quali cieco come una talpa dimostrano una grave ignoranza scientifica, fumare come un turco presuppone - sbagliando - che i turchi siano grandi fumatori.
 
Per quante volte ancora si ripeterà che non ci sono più le mezze stagioni, primavera, estate, autunno e inverno continueranno a susseguirsi. Si continua a lamentare che si stava meglio quando si stava peggio e che non è più come una volta riferendosi ai tempi in cui si moriva per un raffreddore.
 
Per quanto dettagliate le etichette sui prodotti alimentari si continua ad affermare che non si sa più quello che si mangia, a credere che Einstein fu rimandato in matematica, che le donne tradiscono molto più degli uomini, che a Londra piove 365 giorni l’anno, che gli italiani li trovi dappertutto.
 
Emerge in tutta la sua misoginia la scarsa considerazione che l’uomo nutre nei confronti della donna - derivata forse dall’impostazione patriarcale della società italiana - in umiliazioni come Bacco, Tabacco e Venere riducono l’uomo in cenere, chi dice donna dice danno, donna al volante pericolo costante, le donne ne sanno una più del diavolo, auguri e figli maschi, tre figlie e una madre, quattro diavoli per un padre.
 
Ad esemplificare quanto la tradizione cristiano-cattolica sia profondamente radicata nella cultura popolare, torna utile rammentare di espressioni come ad ogni morte di Papa, andare a farsi benedire, capire l’antifona - l’antifona era la parte proemiale della predica religiosa - capro espiatorio, essere casa e chiesa, essere contenti come una Pasqua, da quale pulpito viene la predica - il pulpito era la postazione sulla quale saliva il sacerdote per farsi meglio ascoltare durante la predica - frutto proibito, nascondersi dietro una foglia di fico, non sapere a che santo votarsi, avere la pazienza di Giobbe, scoprire gli altarini, terra promessa, essere come San Tommaso, essere giù di corda - contrapposto al sùrsum corda, o in alto i cuori della messa latina.
 
Si faccia ancora mente locale a proverbi come morto un Papa se ne fa un altro, ad ognuno la sua croce, e all’espressione chi tace acconsente attribuita a un Decretale di Bonifacio VIII, originariamente "qui tacet, consentire videtur".
 
Sono poi di derivazione contestualmente biblica le espressioni costruire sulla roccia/sabbia (Matteo 7,21.24-29), figliuol prodigo (Luca 15,11-32), lavarsene le mani (Matteo 27,24), niente di nuovo sotto il sole (Ecclesiaste 1, 10), essere una pecorella smarrita (Luca 15,4), per un piatto di lenticchie (Genesi 25,29-33), dare perle ai porci (Matteo 7,6), pietra angolare (Isaia 28,16), porgere l’altra guancia (Matteo 4,39), restare di sale/sasso (Genesi XIX, 23), servire su di un piatto d’argento e vitello grasso (Luca 15,23). Analoga origine accomuna i proverbi chi di spada ferisce di spada perisce (Matteo 26, 52), chi semina vento, raccoglie tempesta (Osea 8, 7), date a Cesare quel che è di Cesare (Matteo 22, 21), nessuno è profeta in patria (Luca 4, 24), non giudicare se non vuoi esser giudicato (Matteo 7, 1-2), occhio per occhio, dente per dente (Esodo 21, 22-25), e tale padre, tale figlio (Ezechiele 16, 44).
 
Gli antichi greci, com’è noto, si ponevano dinanzi alla natura - esistente da sempre - come contemplatori delle sue leggi ed impossibilitati a modificarle. Il cristianesimo, com’è meno noto, apportò una radicale modifica nel rendere la natura il prodotto di una volontà - quella di Dio - ed il risultato è riconoscibile nei detti: Non cade foglia che Dio non voglia, non sputare in cielo, che in faccia ti viene, scherza con i fanti e lascia stare i Santi, chi non crede in Dio, crede nel diavolo, Dio li fa e poi li accoppia, Dio, se chiude una porta, apre un portone, Dio vede e provvede.
 
Ingombrante pure la presenza del gergo calcistico nel parlato quotidiano, da cui andare nel pallone, cogliere in contropiede, salvarsi in calcio d’angolo sono divenute espressioni comuni. Si parla, a prova di quanto l’argomento sia determinante per gli italiani - al punto da confonderlo con la spiritualità - di "fede calcistica".
 
Non stupisce, date le circostanze, che nel 1993 l’attuale Presidente del Consiglio abbia utilizzato il gergo calcistico nell’asserire di voler scendere in campo, e che nel 1994 abbia nominato il suo partito Forza Italia, i cui membri sono nazionalisticamente denominati gli azzurri. Il Presidente ha parlato agli italiani nel linguaggio che meglio intendono, quello del pallone di cuoio, intravedendo in questo la via più rapida per il consenso.
 
Medievale la credenza del sangue blu che distinguerebbe i nobili dalla gente comune, come pure l’espressione nascere con la camicia, ove la "camicia" indicherebbe quella patina protettiva dell’epidermide, di colore biancastro, caratterizzante alcuni neonati al momento del parto, e ritenuta di buon auspicio nel Medioevo.
 
Sette vite come i gatti rimanda ad arcaiche credenze che attribuivano ai gatti doti soprannaturali, derivate forse dalla loro capacità di atterrare sulle zampe anche dopo una lunga caduta. Dei gatti si ritiene pure, erroneamente, che siano animali indipendenti - ma tutti gli animali lo sono allo stato selvaggio - e che siano meno impegnativi dei cani.
 
Intollerabilmente medievali molte delle credenze religiose in voga, quali ad esempio l’esistenza dei santi, degli angeli, dei demoni, e di un patrono per ogni città - che finisce per essere più venerato di Gesù Cristo. Statue che gemono e piangono sangue e tombe che trasudano liquido sono un artifizio medievale a tutt’oggi necessario per fomentare il timore reverenziale ed il conseguente rifugio nelle istituzioni religiose.
 
Non meraviglia che tali convinzioni siano sopravvissute in un Paese che ha potuto credere alle stimmate di Padre Pio - rivelatesi tintura di iodio, come spiegò l’ordinario di patologia medica Amico Bignami al Sant’Uffizio - alla Madonna piangente di Civitavecchia - il cui sangue risultò umano e maschile, secondo la relazione degli ematologi Angelo Fiori e Giancarlo Umani Ronchi - e alla "Sacra" Sindone di Torino, che studi scientifici sembrano ormai confermare essere un falso ben riuscito.
 
Per la medesima causa - quella del mancato approfondimento - si ritiene oggi che i Magi fossero tre, benché il numero non venga mai menzionato nei Vangeli, che "l’Immacolata concezione" si riferisca alla nascita verginale di Gesù - laddove il termine identifica piuttosto la nascita della Vergine Maria - e che Gesù nacque il 25 dicembre in una mangiatoia fra un bue ed un asino, benché le Scritture non riportino né la data della nascita, né il luogo esatto e men che meno la compagnia dei premurosi animali.
 
Si è soliti identificare Matusalemme come l’uomo più vecchio della Bibbia benché egli - secondo la narrazione - morì a soli 969 anni, un’età decisamente più esigua se paragonata a quella di Enoch, suo padre, vissuto per la bellezza di 5387 anni.
 
La vera anima del volgo restano, comunque, le superstizioni. Lo sventurato passaggio sotto la scala ha origine religiosa anch’esso. Venendo a formare un triangolo rappresentante la Trinità, la scala poggiata alla parete rappresenterebbe un ostacolo spirituale per quanti non intendano offendere il Padreterno. Il Venerdì è il giorno infausto per antonomasia poiché a tale data si riconduce la morte di Gesù, ma è pur vero che in tal giorno i romani pagavano le tasse ed eseguivano le condanne a morte.
 
Il numero 666 continua ad essere considerato il numero della bestia o dell’anticristo - tanto da degenerare in vera e propria Hexakosioihexekontahexaphobia - secondo una superstizione vecchia di duemila anni. Negli USA l’autostrada 666 è stata ribattezzata in autostrada 491, nel 1999 fu scelto un nuovo numero per la linea 666 degli autobus, e al Parlamento il posto 666 continua ad essere lasciato vuoto per scaramanzia.
 
Non meraviglia affatto, in un Paese che consente la divulgazione di astrologia e oroscopi attraverso i media, che proverbi, frasi fatte e luoghi comuni - obsoleti, nella maggior parte dei casi - costituiscano la fonte prediletta cui attingere durante le conversazioni. Da qui a presumere imminente l’estrazione dei cosiddetti numeri ritardatari nel gioco del lotto - in barba alle leggi del calcolo delle probabilità - e all’approvazione di una credenza risalente all’età del bronzo - la religione - il passo è breve.
 
Si condisca il tutto con una buona dose di strafalcioni grammaticali - dopotutto val più la pratica della grammatica - con l’oblio di congiuntivi e condizionali, con la trasformazione del linguaggio degli spot in linguaggio quotidiano e col fatto d’essere passati direttamente da un’esistenza di non lettura all’era della televisione - senza neppure passare per i quotidiani - e si otterrà un contingente dagherrotipo della società italica.
 
Certe cose succedono solo in Italia?
Un luogo comune anche questo, sebbene l’accezione all’italiana venga ormai utilizzata per designare un’azione svolta in modo poco rigoroso, anche all’estero.

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