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Dopo le dimissioni di Giorgio Napolitano: si decide lo sviluppo delle nostre istituzioni

Con le dimissioni di Giorgio Napolitano (che certo non rimpiangeremo) si apre una fase decisiva per lo sviluppo delle nostre istituzioni. Ciascuno dei Presidenti che si sono succeduti in questo settantennio ha interpretato il proprio ruolo in modi molto diversi: più “notarile” e super partes De Nicola, Einaudi, Leone, Ciampi, più “interventista”, con gradazioni diverse, Gronchi, Segni, Saragat, Pertini, Cossiga, Scalfaro. In particolare da Pertini in poi la tendenza ad un Presidente “interventista” è costantemente cresciuta, salvo la parentesi di Ciampi.

Con Napolitano siamo andati ad una vera e propria svolta che ha mutato di fatto la nostra forma di governo. Il Presidente è diventato esplicitamente organo di indirizzo politico, avvicinandosi molto al modello francese del Presidente che, nei fatti, guida il governo. Sin qui non si era mai visto il Capo dello Stato presiedere una riunione degli esponenti di maggioranza, quasi ne fosse lui il capo: non è ancora il modello francese in cui il Presidente partecipa alle riunioni del governo, che presiede, ma ci siamo molto vicini.

In parte questo è stato dovuto alle personali scelte di Napolitano, ma in parte alle pulsioni internazionali che spingono a modelli di potere concentrato come sono i regimi presidenzialisti. Non è un caso che, le nuove costituzioni proclamate dopo il 1990 siano a carattere presidenzialista. E’ il vento della cultura giuridica del neo liberismo ad ispirare questo assetto istituzionale che, significativamente, ha il suo modello nella Costituzione americana del “Re repubblicano”. Ma, a questo punto, c’è da chiedersi se non sia preferibile l’elezione diretta del Presidente. Vero è che questo renderebbe irreversibile il passaggio al presidenzialismo, sancendo con l’investitura popolare il suo ruolo direttamente politico, ma è anche vero che l’attuale processo rischia di sfociare in un modello che assomma le tendenze naturalmente autoritarie del presidenzialismo a quelle di un regime partitocratico che, per di più, è caratterizzato da meccanismi elettorali che ne che falsano fortemente la rappresentatività.

L’assetto finale potrebbe essere un Presidente irresponsabile, dotato dei principali poteri di indirizzo dell’esecutivo e sganciato da ogni controllo, con un mandato lunghissimo, eletto da un Parlamento espresso da un sistema maggioritario e senza voto di preferenza, quindi condizionato da pochissimi vertici partitici. Tutto questo creerebbe (per la verità sta già creando) un corto circuito di potere largamente indipendente dalla volontà popolare ed a carattere iper oligarchico. Se non dovesse essere possibile invertire le tendenze in atto al “dominio presidenziale”, occorrerebbe mettere mano ad una nuova Assemblea Costituente che disegni un assetto di poteri più bilanciato, magari riducendo drasticamente la durata del mandato, introducendo l’elezione diretta, ma, soprattutto, rafforzando molto i poteri di controllo di un Parlamento eletto con metodo proporzionale.

Ovviamente, se queste tendenze proseguiranno o meno, dipenderà in larga parte da chi sarà il nuovo Presidente. L’ideale sarebbe un uomo di assoluta lealtà costituzionale che ristabilisca un accettabile equilibrio di poteri coerente con quello che stabilisce l’attuale Costituzione. Uno Zagrebelsky o un Rodotà sarebbero perfetti, da questo punto di vista, ma credo che la probabilità che venga eletto un uomo del genere siano molto prossime allo zero. Di fatto, le scelte che si stanno profilando sono tre:

a- Romano Prodi
b- un clone renziano (Pinotti, Veltroni, o simili)
c- un tecnico (presidente della Corte Cost. governatore di Bankitalia, presidente della Corte dei conti ecc.)

Nel primo caso è facile prevedere una Presidenza molto interventista (magari più rispettosa della Costituzione di quanto non abbia fatto Napolitano, ma pur sempre marcatamente politica) ed un rapido conflitto con Renzi, la cui permanenza a Palazzo Chigi sarebbe assai breve. Dopo, dovremmo vedere che Parlamento viene fuori con le inevitabili elezioni a breve.

Nel secondo caso, il baricentro del sistema si sposterebbe da Quirinale (che, di fatto, sarebbe “sede vacante”) a Palazzo Chigi, la legislatura probabilmente durerebbe sino al 2018 e le tendenze autoritarie di Renzi avrebbero libero sfogo. In pratica, questo non eliminerebbe le pulsioni presidenzialiste, ma le indirizzerebbe verso il capo del governo piuttosto che verso il Capo dello Stato.

Nel terzo caso, molto dipenderebbe dalle caratteristiche personali del Presidente ma è ovvio che la provenienza non politica ne indebolirebbe gli eventuali conati interventisti. Il rischio maggiore sarebbe quello di sfociare in una situazione molto simile alla precedente, con un Renzi a briglia sciolta.

Il tutto in una situazione per la quale il Parlamento più delegittimato, meno rappresentativo e meno funzionale della storia repubblicana, si è trovato ad eleggere non uno ma ben due Presidenti, eleggere 2 membri della Corte Costituzionale su 5, riformare la Costituzione e rifare il sistema elettorale, per farne uno ancora più incostituzionale di quello fatto decadere dalla Consulta: cosa è, un film dell’orrore?

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