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Dire Ciudad Juárez è dire femminicidio

"Mi chiamo Marisela Ortiz, sono fondatrice dell’associazione Nuestras Hijas de Regreso a Casa, che ha sede in Ciudad Juárez (Messico) dal 2001. 

Dire Ciudad Juárez è come dire "femminicidio”. 

Mi chiamo Marisela Ortiz, sono fondatrice dell’associazione Nuestras Hijas de Regreso a Casa, che ha sede in Ciudad Juárez (Messico) dal 2001 ed è stata istituita per far fronte alla mancanza di attenzione da parte delle autorità e del governo sul problema delle sparizioni e degli assassini di donne.

 È in Ciudad Juárez che si registra l’apice della violenza contro le donne. Dire Ciudad Juárez è come dire “femminicidio” perché in questa città sono costanti le pratiche discriminatorie e misogine che culminano con l’assassinio delle donne. Si tratta di crimini di genere, dove si applica la violenza estrema contro donne e bambine come risultato dell’azione di un sistema tradizionale e culturalmente patriarcale che discrimina le donne e le abusa attraverso il potere maschile come forma di “controllo”. Così che sia stabilito che noi donne dobbiamo accettare la supremazia del potere degli uomini rispetto al nostro. Il femminicidio compie anche questa funzione di diffondere in modo chiaro il messaggio machista di sottomissione.

 

Questo fenomeno ha percorso diverse tappe. All’inizio riguardava solo le donne povere, ma negli ultimi cinque anni circa, chi uccide donne e bambine non distingue classi economiche né culturali. Esistono molti casi di ragazze che non sono della cosiddetta classe bassa, e che sono state uccise secondo lo stesso modello di altre donne i cui casi sono stati ben documentati. Casi che appunto si definiscono nello schema che ha fatto conoscere Juárez come il luogo paradigmatico del femminicidio:le ragazze sono rapite (“levantadas”) da sconosciuti, torturate, stuprate più volte e infine assassinate e gettate in luoghi dove risulti facile trovare i loro corpi. Se non fosse così, si perderebbe il messaggio che si trasmette attraverso il corpo annientato della donna, che può essere indirizzato al resto delle donne, agli uomini della loro famiglia, o ai loro pari, o nemici, in caso di mafiosi.

Nuestras Hijas de Regreso a Casa ha lottato in modo costante per sradicare questo fenomeno. Nel 2001 abbiamo documentato il caso chiamato Campo Algodonero (Campo di Cotone) e lo abbiamo presentato davanti alla Corte Interamericana dei Diritti dell’Uomo affinché questa istanza di giustizia fosse incaricata di produrre una sentenza. Nel 2009 la Corte ha emanato una sentenza di condanna contro lo Stato messicano al quale ha rivolto diverse raccomandazioni e ha ordinato una serie di azioni che alla scadenza del termine fissato non sono state compiute pienamente.

Il compimento parziale di questo mandato sembra voler solo “coprire le apparenze”. Il Messico si è caratterizzato per la sua simulazione politica di fronte alla pressione delle domande internazionali di giustizia e rispetto dei diritti umani, risultato della lotta instancabile delle associazioni e della società civile come la nostra, e delle reti di solidarietà che abbiamo costruito nel nostro Paese e nel mondo.

Non possiamo dire di aver risolto, dato che resta molto da fare. Esistono comunque importanti risultati che dobbiamo continuare a sostenere perché nessuna famiglia soffra più la terribile pena di perdere una figlia, un sorella ecc. Per esempio, sono positive le riforme legali approvate affinché si tipifichi il genocidio nel nostro Paese: significano una speranza per la fine dell’impunità. Tuttavia probabilmente nessun avanzamento realizzato ci ha lasciate soddisfatte perché le tragedie continuano a ripetersi e non si risolvono.

Apparentemente le autorità e il governo gradualmente hanno assunto, solo un poco, le loro responsabilità in questi fatti. Ma non è bastato fare leggi che in teoria garantiscano la vita e l’integrità delle donne, perché il loro compimento è subordinato alle normative, ai regolamenti, ai programmi che devono essere posti in essere per questo fine, e alla applicazione di risorse per cercare le condizioni favorevoli per le donne. È questo il motivo per cui a oggi tali leggi continuano a essere solamente un testo d’intenti che non ha effetto sulla realtà.

È stata la corruzione radicata delle autorità e dei politici, complici del crimine organizzato, di chi assassina donne e bambine, a permettere che il fenomeno si riproducesse e si estendesse. Non vi è altro modo per spiegare le omissioni, la negligenza, la negazione, e perfino la complicità e la partecipazione delle autorità che non solo dovrebbero risolvere, ma anche prevenire i femminicidi, e porre fine a questa buia storia dove si annienta in modo crudele la vita di centinaia di donne.

In effetti, lontano dal risolversi, questo problema va acutizzandosi. Secondo le statistiche che analizzano le relazioni di organismi internazionali riconosciuti, come l’ONU, il problema è cresciuto e si è esteso a vari Stati della Repubblica messicana. Per questo motivo il lavoro e gli sforzi delle organizzazioni di donne, attiviste, difensori e difensore dei diritti umani è molto importante, rispettabile, degno di ammirazione e molto prezioso. 

Il problema è stato visualizzato a livello internazionale e sono state avanzate soluzioni, sebbene in misura minima rispetto alle sue dimensioni, proprio grazie allo sforzo della società civile organizzata, alle sue continue azioni. Società civile che nonostante il rischio ha mantenuto l’impegno e promosso azioni che sono state fondamentali per cercare di sradicare questo male sociale.

Per questo motivo esorto tutti a non fermarsi. Ai nostri governi piace presentare cifre ritoccate, e parlare di soluzioni che esistono solo nelle loro false argomentazioni, tutto con lo scopo di evitare di screditare il Paese, i suoi governanti e le autorità che simulano riguardo alla dimensione di questa problematica. I casi di femminicidio sono circondati di impunità, che sempre porta alla ripetizione del delitto, perché copre gli assassini, e in più incoraggia chi desidera commettere un crimine per la prima volta, perché sa che non sarà condannato. L’impunità è un chiaro messaggio di “autorizzazione”. È sempre garantito che in Ciudad Juárez si uccidono le donne perché si può. Ed è proprio l’impunità uno dei principali elementi che assicurano la ripetizione di queste tragedie, dove nella maggior parte dei casi l’assassino rimane sconosciuto perché non si effettuano adeguate indagini. Si richiede una vera volontà politica per indagare e chiarire i casi di femminicidio.

Per questa ragione, dobbiamo obbligare i nostri governi ad affrontare con fermezza questo fenomeno; garantire la vita e l’integrità delle sue cittadine, fare rispettare le loro libertà. Questo attraverso un processo in cui, per iniziare, si deve riconoscere la problematica nelle sue dimensioni, come tutti gli errori e le omissioni, non negare le circostanze che la favoriscono e la permettono, coinvolgere le famiglie e le associazioni civili dedicate al tema nelle strategie per risolvere il problema e trovare le soluzioni, creare un programma integrale per intervenire nella prevenzione e porre fine all’impunità, utilizzando tutte le risorse necessarie per creare le condizioni che garantiscano la vita senza violenza per donne e bambine. Indagare a pieno e applicare le leggi.

Queste sono le azioni che favoriamo attraverso il nostro lavoro, nonostante l’enorme pericolo che questo per noi rappresenta: ma siamo disposte ad assumerci tutte le responsabilità necessarie perché fino a oggi non c’è stato governante né autorità che si è posto come priorità questo tema, e non c’è segno di alcuna intenzione a riguardo. Non è un compito facile, siamo già state costrette a uscire dalla nostra comunità, obbligate a rifugiarci in un altro Paese, hanno già attentato alle nostre vite. Nella mia famiglia hanno ucciso lo sposo di mia figlia, anche lui attivista che ha lavorato fianco a fianco con noi. Allo stesso modo hanno strappato la vita a mio fratello sei mesi fa. Hanno cercato di ammazzare la mia amica e collega Norma Andrade in due occasioni, scaricandole addosso cinque proiettili a distanza ravvicinata…

Se questo fenomeno che raggiunge dimensioni drammatiche, questo esercizio di potere che è il femminicidio, merita che ci strappi la vita e ci cacci dal Paese, è perché deve costituire un buon affare per qualcuno. Sicuramente c’è chi ha interessi economici nel privare della libertà e assassinare le donne. E devono essere interessi molto alti dato che costoro possono corrompere così tanto. Se non fosse così, perché questo fenomeno non si risolve, non si combatte?

Vi sollecito a continuare le vostre battaglie con fermezza, molta forza e coraggio, voi con la vostra speranza di un migliore spazio di convivenza per tutte e tutti… Perché è l’unico modo per creare un mondo di uguaglianza dove il solo fatto di essere donna non sia sinonimo di pericolo e morte. “Perché non possiamo fare nulla per il passato… molto possiamo fare per il futuro”. Il mio saluto solidale per tutte. Molte grazie!

Guarda il progetto per i bambini orfani causa femminicidio 

Marisela Ortiz (traduzione di Monica Mazzoleni) per Segnali di fumo - il magazine sui Diritti Umani

 

Scritto da Marisela Ortiz

Marisela Ortiz

Marisela Ortiz è confodatrice di Nuestras Hijas de Regreso a Casa (Le nostre figlie di ritorno a casa) un’associazione composta da famigliari e amici delle vittime di femminicidio in Ciudad Juárez (Messico). L’associazione denuncia l’impunità dei reati di femminicidio e tra l’altro sviluppa progetti per i bambini orfani a causa di femminicido.
L’organizzazione è stata co-fondata da Norma Andrade, madre di Lilia Alejandra Garcia Andrade, che è stata rapita e assassinata nel 2001. Marisela Ortiz Rivera era maestra di Lilia. Marilea Ortiz e gli altri membri di Nuestras Hijas de Regreso a Casa a causa delle loro attività di difesa dei diritti delle donne hanno ricevuto pesanti minacce di morte, alcuni sono stati feriti, altri uccisi. Amnesty International ha lanciato più volte azioni urgenti per chiedere alle autorità messicane la garanzia della loro protezione. Marisela Ortiz per proteggere la sua famiglia e se stessa è dovuta fuggire da Messico, ma instancabile e coraggiosa continua la sua attività in difesa delle donne di Ciudad Juárez

 

Questo articolo è stato pubblicato qui

Commenti all'articolo

  • Di GeriSteve (---.---.---.94) 29 dicembre 2013 11:17

    Quando svolgevo il mio servizio militare mi sono interrogato sul nonnismo, che imperversava. Sono riuscito a capitanare una ribellione del mio scaglione contro i sprusi dei "nonni" più anziani, ma non sono riuscito ad evidenziare che il nonnismo era funzionale alla gerarchia militare, che delegava ai nonni il mantenimento dell’ordine e consacrava il loro potere, concedendo qualche raro intervento per fermare gli eccessi. Forse non ci sono riuscito perchè io stesso non avevo le idee abbastanza chiare.

    Ho daro spazio a questo mio ricordo, perchè sospetto che la violenza di genere serva a consolidare la violenza del potere: i maschi vittime del potere politico ed economico non si ribellano a quei poteri, ma sfogano la loro rabbia esercitando il loro potere di genere contro le donne. Il potere indebolisce i suoi potenziali avversari dividendoli: il vecchio trucco del "divide et impera" del colonalismo dell’impero romano.

    In altre e lontane parti del mondo, apparentemente più civili, donne come la Politkovskaja, la Chornovil, le Pussy Riot, le Femen sembrano aver capito bene queste connessioni, malgrado in quei paesi la violenza di genere sia molto più contenuta che in Messico.

    Il miglior augurio che io mi sento di fare a quelle coraggiose donne messicane è che anche fra loro crescano figure capaci di espandere il significato politico della loro battaglia: oggi come oggi, io non credo che siano molti i maschi messicani che capiscono che quelle donne combattono anche per la dignità e la libertà dei maschi.

    GeriSteve

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