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Diabete: perché gestire la patologia di un figlio è un lavoro

Spesso dopo la fase acuta della malattia i genitori restano soli, a districarsi tra le richieste di farmaci, striscette e apparecchiature. E manca un supporto nella nutrizione post-diagnosi, anche se curare la dieta potrebbe fare la differenza.

di Cristina Da Rold

 

VITE PAZIENTI – Maia è fortunata. È nata in una famiglia che ha gli strumenti per comprendere la sua neonata malattia, il diabete di tipo 1, e per gestirla in maniera efficace. Il diabete è una patologia complessa, specie per un bambino. È una condizione che ti cambia la vita, ma spesso non abbastanza.

“In molti, semplicemente, quando va bene riescono a prendere tutti i farmaci che devono. Ma sono poche le famiglie che rivoluzionano la propria alimentazione intorno alla nuova condizione del figlio o della figlia”, mi racconta Marina Cingolani. Lei è traquesti genitori e cura con estrema attenzione l’alimentazione di Mai. “Senza privazioni”, precisa, “solo evitando cibi che a lungo andare sono nocivi per mia figlia, come alimenti che contengono molti zuccheri”.

Cambiare vita

Non è stato semplice per Marina cambiare vita. La sua non era una famiglia di salutisti “mangiavamo bene ma senza riflettere in modo particolare su come calibravamo la nostra giornata a livello alimentare”. Apprendo da Marina che il primo aspetto da migliorare come sistema sanitario è proprio la comunicazione con i genitori al momento dell’esordio della malattia, per far loro capire che è necessario partire dall’educazione alimentare per fare stare bene i propri figli.

Purtroppo non è quasi mai così. “L’ospedale si occupa della fase acuta del problema, quando cioè il bambino arriva in pronto soccorso d’urgenza. Una volta risolta l’emergenza però è raro che ci sia una fase di formazione del genitore e spesso anche i pediatri non sanno consigliarti oltre i suggerimenti di base. Se sei molto fortunato trovi un nutrizionista esperto di diabete, ma in molti casi i consigli sono sempre gli stessi: continuate con la vostra vita, e dosate bene l’insulina”.

Marina e suo marito sono interessati al tema della nutrizione e hanno provato anche altre strade, dialogando con diversi nutrizionisti e raccogliendo spunti per cambiare davvero la vita alimentare della famiglia. Che si tratti di una correlazione oppure no, Maia per quattro anni dall’esordio del diabete non ha bisogno di assumere la dose giornaliera di insulina “lenta” che quasi nessuno può permettersi di non prendere.

“Solitamente dopo l’esordio del diabete c’è una fase di remissione, la chiamano ‘luna di miele’, che dura circa qualche settimana, dove il paziente può evitare di assumere l’insulina lenta limitandosi alle dosi di insulina rapida, quelle che si assumono prima dei pasti” mi racconta Marina.

“Da subito abbiamo iniziato a modificare l’alimentazione di Maia, cosa non facile dato che aveva già otto anni, e vedevamo che la remissione si prolungava. I medici inizialmente ci hanno suggerito comunque di assumere l’insulina lenta, anche nonostante il nuovo regime alimentare, ma poi osservando Maia hanno desistito e abbiamo potuto provare a non farlo. Il risultato è stato che per due anni abbiamo tenuto la glicemia sotto controllo in questo modo”.

Le altre famiglie come fanno?

È evidente che la determinatezza e la competenza di Marina non sono proprie di tutte le famiglie. Mi racconta che molti bambini e ragazzi diabetici che le capita di incontrare sono di fatto sovrappeso o obesi, un fattore di rischio incredibile della malattia. Sono figli per lo più di genitori a loro volta sovrappeso o obesi, segno che nonostante questo sia – per citare Paolo Poli – “il secolo del cibo”, specie sui media, manca una vera educazione alimentare.

La forza di un genitore con figlio diabetico emerge anche nella gestione dei farmaci.

“Non ci rendiamo conto di quante famiglie non riescono a seguire tutto alla perfezione garantendo al figlio un’adeguata aderenza terapeutica, ma non perché i genitori non sono abbastanza bravi, ma perché il sistema è complicato e sono mille le scadenza da tenere a mente”.

Marina ha iniziato sin da subito a rendere sua figlia Maia autonoma il più possibile, per esempio nella misurazione della glicemia e nell’assunzione dell’insulina, ma tutti gli aspetti burocratici sono comunque a carico del genitore.

Un percorso ad ostacoli

Sono tre i passaggi che un diabetico deve gestire: i rapporti con l’ufficio protesico che fornisce gli apparecchi da applicare sul corpo per rilevare la glicemia senza dover pungersi il dito. Per poter averli bisogna prima che l’ospedale rinnovi la pratica, naturalmente la scadenza deve ricordarsela il genitore e suggerire all’ospedale di rinnovarla. Poi bisogna andare a ritirarla, a volte tutto ciò si può fare al momento della visita, altre volte le scadenze non coincidono.

Una volta che l’ospedale dà il foglio per il rinnovo della fornitura, quest’ultimo va portato all’ufficio protesico e normalmente è meglio recarsi a fare la fila prima dell’apertura dell’ufficio per non dover trascorrere tutta la mattina per consegnare la pratica.

“In aggiunta, la fornitura è per un massimo di tre mesi, quindi almeno due settimane prima della scadenza mi devo ricordare di chiamare l’ufficio protesico. Ma si può chiamare solo dalle 14 alle 15, dal lunedì al giovedì, e prendere la linea è quasi impossibile. Molti genitori fanno i salti mortali per andarci di persona. Una volta ordinati gli apparecchi nel giro di due settimane veniamo contattati dall’ufficio che ci informa che sono arrivati e che possiamo andare a prenderli, solo che se non si risponde alle prime due chiamate loro non chiamano più”. Insomma, una corsa a ostacoli.

E poi ci sono le visite, e l’insulina e gli aghetti per la penna con cui si inietta il medicinale. È necessario recarsi prima andare dal medico di base o dal pediatra per farsi fare le impegnative e poi portarle in farmacia e spesso tornare a prendere tutto in un altro giorno.

I costi, diversi di regione in regione

La questione dei costi non è secondaria. Marina in Piemonte è fortunata, mi dice, perché tutti i dispositivi e i farmaci per Maia li rimborsa il SSR, ma in altre regioni non è così, e chi segue la rubrica Vite Pazienti sa che è una cantilena che si ripete spesso per tante patologie.

“Mi sconcerta pensare che c’è una ragazzina uguale a Maia che non ha diritto alle stesse cose di Maia solo perché è nata in un’altra regione”. Marina riceve per esempio 200 striscette per il glucometro al mese, mentre in Campania i genitori ne ricevono 50. È un numero certamente insufficiente e il resto bisogna pagarselo di tasca propria. La Sardegna ne fornisce ancora meno e una confezione costa circa 25 euro.

Per le apparecchiature è anche peggio, prosegue Marina. “So di regioni dove vengono forniti glucometri obsoleti rispetto ai nostri in Piemonte, e spesso le famiglie non sanno nemmeno che ci sono apparecchi più moderni, anche se in ogni caso acquistarli autonomamente è costoso, a fronte di un’indennità di frequenza di 250 euro al mese per nove mesi l’anno.”

Un altro elemento di disomogeneità fra aree geografiche è il supporto scolastico. “Io sono stata molto fortunata perché quando Maia è tornata a scuola dopo il ricovero, due mesi dopo, dopo aver fatto i salti mortali, la mensa si è attivata e la ASL ha predisposto l’assistenza delle infermiere durante i pasti. Ma si tratta di un caso non comune. Parlavo qualche giorno fa con una mamma di una bambina di quattro anni diabetica che non sa come fare perché all’asilo le maestre si rifiutano di prendersi la responsabilità della gestione dell’insulina e la ASL non si attiva”.

Non è difficile pensare che il peso di queste dinamiche cada sul lavoro dei genitori, spesso delle mamme.

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Questo articolo è stato pubblicato qui

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