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Di religiosi presepi e laiche istituzioni

presepe-scuola

di Massimo Maiurana

Il Natale è pur sempre una festa cristiana, lo stesso nome è lì a testimoniarlo. Tuttavia le festività natalizie sono anche caratterizzate da aspetti più o meno laici, vuoi per la concomitanza del passaggio al nuovo anno, vuoi per quei simboli provenienti da culture nordiche che nulla hanno a che vedere con la nascita di Cristo, albero di Natale e Babbo Natale su tutti, e vuoi soprattutto per la momentanea impennata dei consumi le cui cause non hanno praticamente nulla di religioso. C’è però un simbolo in particolare su cui ricade la responsabilità di tenere alta la bandiera del cristianesimo: il presepe, rappresentazione diretta della natività che in un certo senso “grida vendetta” contro la secolarizzazione del Natale e che, giocoforza, si ritrova sempre a essere oggetto di dispute ideologiche.

Quest’anno le cronache a riguardo hanno registrato in particolare due episodi, apparentemente simili ma in realtà molto diversi tra loro. Nel salernitano, precisamente nell’Istituto Froebel di Pastenaera stato rimosso un presepe precedentemente allestito proprio nell’androne dell’edificio. Un gruppo di genitori si è quindi recato dalla dirigente scolastica per chiedere spiegazioni, minacciando altresì di trasferire i propri figli in altri istituti rispettosi delle loro tradizioni. La dirigente ha spiegato loro che la decisione di rimuovere il presepe era stata presa dopo che un genitore ateo ne aveva sottolineato l’inopportunità in quanto simbolo religioso di parte, assicurando che il presepe sarebbe tornato al suo posto. E qui siamo davanti a un paradosso. La scuola, secondo l’interpretazione di quei genitori ma anche della dirigente che è tornata sui suoi passi, diventa rispettosa nel momento in cui concede gli spazi comuni alla cultura dominante, e non invece quando accoglie l’invito di altri a essere ciò che qualunque istituzione pubblica dovrebbe essere, cioè laica e pluralista. Inutile dire che noi abbiamo un concetto del rispetto decisamente diverso, questo sembra provenire direttamente dallo Stato Pontificio di qualche secolo fa. O se preferite, dagli stati teocratici del mondo islamico.

A distanza di pochi giorni il presepe è nuovamente foriero di discordia, sempre in ambito scolastico ma stavolta nel bergamasco. A finire sulla graticola è stato il dirigente dell’Istituto De Amicis del quartiere Celadina, Luciano Mastrorocco, trovatosi suo malgrado nelle cronache locali, e in seguito nazionali, per aver semplicemente detto di no a un genitore, rappresentante di classe di una terza elementare, che chiedeva di poter allestire un presepe. Mastrorocco ha in seguito precisato di aver sempre tenuto la stessa linea a riguardo da quando, ormai otto anni fa, ha iniziato a dirigere la scuola, senza che mai nessuno abbia avuto da ridire. Per Mastrorocco ammettere il presepe significherebbe creare un’occasione di discriminazione in una scuola i cui studenti non italiani sono il 30% del totale, con picchi che in alcune classi arrivano al 50%. In realtà i simboli religiosi dovrebbero stare fuori dai portoni delle scuole a prescindere dalla composizione delle classi, nessuna giustificazione può essere addotta per far venir meno il carattere laico dell’istituzione pubblica, ma al genitore in questione non interessava affatto la motivazione del rifiuto. A lui interessava solo che gli si consentisse di piazzare la sua bandierina cristiana. È stato anche obiettato che lo scorso anno era stato allestito un presepe, ma Mastrorocco ha precisato che quello non era affatto un presepe perché privo di figure cristiane, si trattava piuttosto di un generico paesaggio agreste.

Alla fine il genitore non ha digerito il divieto e ha pensato che fosse necessario farne un caso. E il caso effettivamente c’è stato, i nuovi crociati non hanno mancato di far sentire la loro voce tuonante, a cominciare dal fronte politico che ha risposto in maniera insolitamente compatta. In prima linea gli esponenti leghisti, tutt’altro che insospettabili difensori di tradizioni in cui spesso non si identificano nemmeno loro, che giusto per cavalcare l’onda hanno pensato (male) che fosse il caso di montare un presepe proprio davanti alla scuola, condendo il tutto con dichiarazioni reazionarie e luoghi comuni triti e ritriti. Il “dagli all’untore” è stato servito, criticato perfino dal parroco del quartiere. Dietro ai leghisti tutti, ma proprio tutti, gli altri, compresi socialisti e pentastellati, sebbene con toni e argomentazioni diverse. Fino al sindaco Giorgio Gori che su Facebook ha scritto: «Laicità non è azzerare le differenze, ma dare voce a tutti. Un presepe non offende nessuno». Il problema, caro sindaco, è proprio il fatto che la voce non viene affatto data a tutti.

Un presepe in sé non offende nessuno, è vero, ma quando le uniche manifestazioni culturali e tradizionali consentite sono quelle cristiane, spesso specificamente cattoliche, allora la stessa scuola, come tempio della cultura e delle culture, come educatrice al rispetto e all’inclusività, nella sua funzione di fucina della società futura, ne esce mortificata. E la politica in questi casi dovrebbe difendere la scuola, non le tradizioni di una parte, pena l’esacerbazione degli animi che rischia di sfociare poi in episodi di pura intolleranza. Cosa puntualmente avvenuta con l’apparizione di scritte intimidatorie clericali sulla finestra dell’ufficio del preside.

Sarebbe pure estremamente semplice risolvere il problema partendo proprio dal principio di valorizzazione delle differenze. Oggi si fa il presepe cristiano, domani una rappresentazione di mitologia greco/romana, che di certo catturerebbe l’interesse dei ragazzi, poi una della rivoluzione francese, e così via. E invece no, si tende a fare esattamente il contrario, perché al presepe cristiano seguirà magari una Via Crucis. E guai a voler parlare, ad esempio, di Halloween perché si rischierebbe una levata di scudi contro quella che viene percepita, o meglio, viene stigmatizzata dai soliti noti come festa macabra, come elogio di quel “relativismo culturale” spesso connotato negativamente e che invece dovrebbe essere la normalità in una società realmente laica, che appunto non azzera le differenze ma dà voce a tutti. Del resto le proteste nacquero perfino quando la città californiana di Santa Monica decise di sorteggiare degli spazi che fino a quel momento erano stati utilizzati per i presepi cristiani, il tutto in un’ottica di inclusione, e per un caso fortunato 18 spazi su 21 finirono agli atei locali.

Ovviamente non manca nemmeno chi prova a sminuire il significato religioso del presepe, come l’antropologo Marino Niola, autore tra l’altro proprio di un libro sul presepe, che dalle colonne di Repubblica descrive i presepi privi di personaggi evangelici, come quello allestito lo scorso anno nella scuola bergamasca, per dire che i presepi non religiosi sono comuni e testimoniano la sua evoluzione come manifestazione squisitamente culturale e artistica. E chi dice il contrario? Anzi, molti di noi rimarrebbero affascinati da un bel presepe, ma ciò non vuol dire affatto che le scuole debbano allestirne uno. Quella è un’altra storia, un contesto diverso. Come non vuol dire nemmeno che negarne l’ingresso a scuola porterebbe, come dice a chiare lettere Niola, all’eliminazione delle opere d’arte con figure religiose. È la nota fallacia logica del piano inclinato, utilizzata su La Nazione anche dal prof. Roberto Pazzi in un commento, presente solo sull’edizione cartacea, a cui ha replicato in maniera efficace il gruppo Uaar giovani di La Spezia. Noi sappiamo benissimo che chi si erge a strenuo difensore delle tradizioni spesso non si basa affatto su questioni meramente religiose, anche quando l’oggetto è effettivamente religioso. A volte è perfino ignorante in materia religiosa. Basti leggere gli articoli che parlano delle scritte sulla finestra del preside dicendo che vi hanno disegnato un crocifisso; per favore, qualcuno spieghi loro che un crocifisso cattolico è tale quando c’è il Cristo attaccato sopra, altrimenti è una croce e basta.

 

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