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Dentro la protesta, il racconto di Occupy Wall Street fra speranze e illusioni

 

Il movimento Occupy Wall Street, nato a Zuccotti Park di New York poco più di sei mesi fa, ha portato alla ribalta l'indignazione e la contestazione dei giovani di tutto il pianeta contro le macroscopiche degenerazioni dell'economia, molto spesso causa di ingiustizie sociali in particolare a danno proprio delle nuove generazioni. Un'onda inarrestabile di proteste, per la verità non sempre chiare in quanto ad obiettivi e a visione, che si afferma nel 2011 a partire dal cuore pulsante della speculazione finanziaria globale per poi espandersi a macchia d'olio anche oltre i confini occidentali. Nell'intento di definirne meglio gli aspetti che lo caratterizzano sul piano ideale e culturale, Chiarelettere pubblica l'interessante reportage "Occupy Wall Street" del giornalista di Repubblica Riccardo Staglianò, che ha vissuto per una settimana dentro il movimento osservandone da vicino le azioni e analizzandone i valori di riferimento.

Innanzitutto, emerge pure dalla sua indagine che a differenza di molti altri movimenti che si autodefiniscono "non violenti" Occupy Wall Street si è sempre effettivamente caratterizzato per forme di dissenso anche aspre ma assolutamente pacifiche. Rivolte al capitalismo vorace e distorto delle cui malefatte saranno costretti a pagare il costo, come ricorda il premio Nobel per l'economia Joseph Stiglitz, voce molto ascoltata dal movimento stesso, i ventenni e i trentenni di oggi e di domani.

Occupy non ha leader né una organizzazione stabile e può contare sull'apporto convinto di schiere di cosiddetti "convertiti" fra ex trader e squali della finanza che hanno gettato via la cravatta per indossare i panni degli indignados. Spiccano le presenze dell'antropologo David Graeber e dell'avvocatessa Marina Sitrin, fra i massimi ideologi della cosiddetta democrazia diretta che hanno ispirato il criterio delle decisioni assembleari all'unanimità. Il movimento può poi contare su strumenti potentissimi di propaganda come il Web e la Global Revolution Tv. E su iniziative di sensibilizzazione davvero originali, come ad esempio gli happening davanti alle grandi banche d'affari, che colpiscono per la straordinaria efficacia comunicativa.

Molti dei suoi seguaci provengono dal ceto medio ormai impoverito e sono soprattutto studenti costretti a indebitarsi per poter sostenere i costi universitari. Non mancano, inoltre, vari intellettuali liberal ma pure pastori protestanti a sottolineare l'assoluta eterogeneità del movimento. Apparentemente una ricchezza ma che all'atto pratico finisce non di rado per mettere in contrasto le posizioni più pragmatiche con quelle più radicali, a tutto vantaggio di quanti puntano a indebolirne l'immagine. In sostanza, si tratta di un'associazione di individui animati da una sorta di ideologia "open source", dove i contributi più intelligenti dei singoli possono diventare occasione di azione collettiva.

Il principio base di Occupy è dunque l'uguaglianza, che spinge il movimento ad anteporre il sentimento di unità e di reciprocità interno perfino all'esigenza di combattere il proprio "nemico" esterno. Di nuovo, è una ragione oggettivamente valida e superiore ma intrinsecamente nociva, poiché talvolta mette paradossalmente a rischio il supremo e originario obiettivo di denuncia in nome di logiche autoreferenziali seppure ispirate a un sincero umanesimo.

Il merito dell'opuscolo di Staglianò è di stimolare una riflessione a tutto tondo sul movimento, non precludendo al lettore le possibilità di giusta critica. La mia opinione è che la democrazia, per quanto "diretta" la si voglia e si debba auspicare, non possa ridursi a un circolo ricreativo per imberbi fricchettoni radical-chic e men che meno a una sterile assemblea permanente dove trovino cittadinanza i nostalgismi ideologici di attempati reduci del '68. Senza lo strumento della delega di rappresentanza non sarebbe vera democrazia e prima o poi le contraddizioni di tante teste e voci prive di organizzazione gerarchica esploderebbero.

Vanno bene il mutuo rispetto, l'umanità e l'uguaglianza. E va ancor meglio la ricerca dell'onestà. Tuttavia, realismo impone di affrontare le storture del quotidiano, che non possono essere rimosse semplicemente ricorrendo al predicozzo benpensante, sporcandosene quanto basta le mani. In questo caso, a differenza dell'autore del libello, personalmente trovo infatti che il movimento Occupy Wall Street pecchi molto di utopia.

Anche se proprio dagli States, che è la patria del pragmatismo civile, paiono arrivare segnali in senso opposto con Obama pronto a resettare la propria agenda elettorale e a lanciare aperti messaggi di attenzione verso il movimento giovanile e anticapitalista in genere. Ma le campagne elettorali passano assieme alle illusioni mentre i problemi restano, e rispetto a certe regole nemmeno l'America fa eccezione.

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