• AgoraVox su Twitter
  • RSS
  • Agoravox Mobile

 Home page > Attualità > Politica > Della bugia attorno all’Italia

Della bugia attorno all’Italia

Leviamoci gli occhiali da sole e guardiamoci negli occhi. Cosa va dicendo il Lynch (geniale trovata di Scanzi) di Recoaro? Cosa va sputacchiando Bossi? Duplice prospettiva.

A. Dovremmo smetterla di sub-usare, storpiare, abusare della parola boutade, già poco gradevole. Ok, il senso è quello: ma mi domando cos’altro debba dire, il fondatore della Repubblica Padana (ancora non sciolta, ricordo, e con tanto di parlamento e braccio armato più volte paventato al primo no inflittogli), per essere preso sul serio (in fondo non lo ha mai fatto nessuno, lo so: ma è o no ministro? Sono o non sono ministri i suoi?).

Il fine fatale della verde congrega di gesta e membra pseudoceltiche non è forse sempre stato la secessiùn? E quale verginità vanno costruendosi coloro che a questo aborto ideologico potevano porre argine o, peggio, l’hanno invitato a mensa? Nessuna, la meno credibile. Ok: siamo di fronte a un uomo che con sprezzo della logica ha addobbato di vetuste ideologie e fandonie storicistiche la propria fame di palazzo romano e denaro: chè forse voi non credete che Umberto Bossi non sappia che i Celti non sono mai stati federalisti (quanto ridere..) né mai CELTI (trattasi di definizione appioppata dagli storici a queste popolazioni – spesso mai conscie della loro e della altrui esistenza nel globo – alla loro scomparsa)? Lo sa, lo sa. E quando arriva il mal di pancia (Tangentopoli? La cosiddetta Antipolitica? Semplicemente Roma Ladrona?) il rimedio della nonnetta ignorante è da sempre il favorito tra i marmocchi.

B. Via gli occhiali, dicevo. A chi interessa di Mameli? A che pro dissertare su bandiere e confaloni? Chi si prende carico della questione linguistica? Uno, un inno incomprensibile all’orecchio odierno, redatto ante-unità, con quello “Schiava di Roma”, quella tensione alla fatalità deistica, eccessivamente compromesso col religioso, spolvero di partite di calcio nelle quali si fa emanare per via altoparlante, che le corde vocali degli atleti – sempre più spesso neppure italiani né loci sanguinis, ma non è questo – neanche si sognano, peraltro, di capire, che si lascia – in quegli stessi contesti – soppiantare di buon grado da storpiature faunesche di canzoni rock (popo-rules), a chi interessa?

Ai fascisti. Ai post-fascisti. Alla destra di certo tipo. E’ e sarà sempre questione identitaria, tricolore e fierezza. E farne vessillo dell’antileghismo, da alcune poltroncine parlamentari di certi schiaramenti, puzza di “Mamma, hai visto cosa ha combinato mio fratello?”, di patto col diavolo contro il diavolo. Di – insomma – Repubblica che si fa moralista, Pd che elargisce smancerie finiane. Di centrosinistra dall’asse mobile: di questo, sa. Mobile verso destra, sia chiaro, come se a farsi la verginità di cui sopra si senta il bisogno di turare il naso, sempre. E fare centro.

Ma l’Italia ha forse mai oltrepassato, agevole, le sue questioni storiche, l’insoluto dilemma dell’unità fattiva? Un anschluss passivo, un malgoverno giunto esanime alla consegna a un regime incapace neppure di bandire dialetti e caratterizzazioni campanilistiche, vinto malgrado la lotta dichiarata (lo strapaese ne faccia esempio), ancora malgoverno repubblicano e l’oggi televisivo (ancora non informatico, dalle nostre parti) avrebbero mai potuto far dell’Italia paese come si conviene?

No. Semplice. E Bossi va a tastare, forte, con le dita, la gamba fratturata della nostra ridicola storia.

Che, ancora, forse non c’è tricolore che non sventoli di fianco alla bandiera regionale? E queste, cosa sono? La bandiera del Lazio, un unione di simboli provinciali. Quella calabrese, 2 croci di diverso tipo e 2 simboli turistici. Tutti evidenti richiami all’unità, no? E l’Abruzzo? Tre bande di colori. Lo stesso Veneto, soggiogato al leone veneziano in vezzo geo-storicamente inesatto. L’unica, caro Umberto, è la tribù. Non credi?

E la lingua? E’ il caso di riaprire la questione, a 30 e più anni dall’ultimo che lo fece e la chiuse tombalmente, Pasolini? Il grigiore del vernacolo tecnologico dell’asse Torino-Milano (non più Roma-Firenze) da lui vaticinato? E il Moravia atterrito del neo-italiano da referto di questura (introdottosi, la di lei figlia)? Apriamola. Ma non è ora. Il nostro non è che un codice, la lingua non è che un dialetto dominante, il futuro della nostra privo di qualsiasi prospettiva, quello dei dialetti che la minano ineluttabilmente destinati a defungere. L’Italia, dalla sua, non è mai voluta nascere, e il cruccio di morire può evitarselo (non quello di agonizzare). Manzoni, all’epoca, aveva il suo Broglio (ministro dell’istruzione) a confare al fiorentino l’intero paese. Bossi basta a sé e a una schiera di babbei bipartisan che lo prendono sul serio.
U’

Commenti all'articolo

Lasciare un commento

Per commentare registrati al sito in alto a destra di questa pagina

Se non sei registrato puoi farlo qui


Sostieni la Fondazione AgoraVox







Palmares