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Dei rimborsi elettorali, della rete e del fenomeno Obama

Sulla scia degli scandali Lusi e Belisito si è acceso il dibattito sui rimborsi elettorali. Da una parte, molte voci che richiedono l’abolizione di quello che non è niente altro che un finanziamento pubblico ai partiti, dall’altro… quasi nessuno.

Ognuno gioca le sue carte, Di Pietro propone un referendum, i Radicali rianimano la loro storica campagna, i grandi partiti nicchiano. Quando si affronta questo tema, emergono costantemente due elementi, la stella cometa di Obama nelle elezioni 2008 e di conseguenza il finanziamento dal basso attraverso la rete. Cerchiamo però di affrontare la questione senza retorica...

Punto primo, in Italia si distribuiscono miliardi di “rimborsi elettorali” che non sono rimborsi, ovvero non corrispondono alle spese sostenute nelle campagne elettorali ed i partiti li usano per i fini che vogliono. I difetti di questo sistema sono davanti agli occhi di tutti specialmente in questi giorni e ce ne sono altri meno evidenti. La logica dietro al finanziamento pubblico è che sia una garanzia alla pluralità ed alla partecipazione ed è presente in diversi paesi. Restituire i soldi ad un movimento che riesce a raccogliere consenso sufficiente a dimostrare che rappresenta una fetta di popolazione fa sì che alle elezioni possano presentarsi tutti, non solo i vari Berlusconi, Montezemolo, Della Valle. Non lo garantisce, ma almeno non lo esclude a priori.

Punto secondo, le campagne elettorali costano tanto. Non è un segreto, solo per Milano la Moratti ha speso 15 milioni. Questi soldi teoricamente vengono spesi dai partiti e poi “rimborsati”, con i rimborsi si finanzia l’elezione successiva e così via. Eliminare i rimborsi elettorali non elimina i costi delle elezioni, ma dà la sensazione ai cittadini che almeno i partiti non maneggino i loro soldi. Resta il fatto che senza soldi le campagne elettorali non si fanno.

Punto terzo, che succede quando spariscono i finanziamenti pubblici ai partiti? Negli Stati Uniti le campagne le finanziano perlopiù i privati, volontariamente. Sparisce l’etichetta del prezzo, ma i costi continuano ad esserci, perché quei lobbysti che donano migliaia di dollari o organizzano fondi che ne raccolgono milioni (negli USA si chiamano super PAC e sono organizzazioni indipendenti che supportano un candidato) poi li rivogliono indietro in favori per le loro lobby. Gli americani lo sanno, ed hanno cominciato a capire che una delle ragioni delle loro guerre recenti era dare commesse a grandi aziende come la Halliburton, poi ci sono da sfamare le lobby del petrolio che ostacolano gli accordi sul clima, quelle del copyright che vogliono PIPA e SOPA ecc… Certo, avere più soldi non ti rende automaticamente vincitore, ma solo per pensare di entrare nella competizione devi dimostrare al tuo partito di avere dei fondi e di essere in grado di attrarne, in definitiva si crea una soglia d’ingresso alla vita politica.

Punto quarto, il sistema americano è intrinsecamente legato ad un fattore che da anni critichiamo in questo paese, la personalizzazione della politica e l’allontanamento dai cittadini. Per raccogliere soldi devi essere accattivante più che per raccogliere voti, ed in ogni caso ti merita essere accattivante con quegli strati sociali benestanti che possono aiutarti a vincere con le donazioni. Essere telegenico, essenziale, facile da capire, con il giusto pedigree familiare è un prerequisito per le elezioni americane. Per questo motivo le campagne elettorali si giocano anche sui soldi spesi per distruggere l’immagine dell’altro candidato e visto che i super PAC non possono avere legami diretti con i candidati spesso si limitano a fare pubblicità negativa agli altri. Poche differenze politiche, insulti, politici che passano la maggior parte del loro mandato a cercare soldi per la prossima campagna elettorale; se in Italia ci preoccupiamo tanto dell’anti-politica non dovremmo scordare che negli stati uniti l’astensione è sempre molto alta.

Eliminare i “rimborsi” evita che i partiti maneggino i soldi pubblici ma rafforza il potere delle lobby, esclude i non benestanti o i non populisti e crea ancora più lontananza dalla gente. In pratica, gli stessi problemi che vediamo con il finanziamento pubblico si ripetono nel sistema americano. Chi propone questa strada per risolverli cita il modello Obama e, indirettamente, la rete. Per chi non lo ricorda Obama nel 2008 ha battuto ogni record di fundraising grazie anche ad un grande numero di donazioni di privati cittadini inferiori ai 200 dollari, in più ha rinunciato ai soldi dei super PAC, ed ha vinto lo stesso. Tutto questo usando la rete come volano per organizzare e mobilitare gli attivisti e raggiungere elettori e donatori e dimostrando che il fundraising si può fare anche senza compromettersi troppo con le lobby. L’equazione sembra conclusa, togliamo il rimborso ai partiti e chiediamogli di fare come Obama.

Le cose però anche in questo caso non sono così ovvie, Obama stesso lo sa bene. Visto che una sentenza recente ha eliminato il limite imposto per legge alle donazioni dei super PAC, Obama ha fatto un grande passo indietro ed alle prossime elezioni accetterà finanziamenti anche da questi gruppi (anche se non direttamente da lobbyisti). Se non lo facesse non ci sarebbe concorrenza, i Repubblicani avrebbero troppi più soldi perché senza soldi pubblici la politica è intrinsecamente nelle mani dei grandi finanziatori e questo è vero anche per quei candidati che non vorrebbero aderire a questo modello.

Se pensiamo agli strumenti “dal basso” poi bisogna fare una riflessione meno superficiale e più approfondita. A volte si pensa che la sola parola magica “Internet” possa produrre mobilitazione, partecipazione e risultati, senza bisogno di tanti soldi e di supporto. Non è così, lo dimostra un illuminante articolo sulle elezioni francesi, in cui i maggiori candidati stanno spendendo milioni di euro per pagare professionisti e militanti che organizzino la loro presenza in rete. Sono soldi per l’organizzazione delle persone, la loro motivazione e la gestione delle iniziative. La presenza online è un investimento che presuppone competenze e non si crea magicamente dal nulla, è da diverso tempo che in rete il mercato delle competenze ha superato le iniziative dei singoli. Pensare che si possa vincere una grande elezione senza soldi sostitutendo gli apparati con la rete è ingenuo.

Anche sulle pagine di Agoravox in un acceso articolo si parla di questo tema. Pur condividendo molte delle critiche all’organizzazione dei partiti non penso che si possa risolvere il problema eliminando i rimborsi elettorali. Una cosa è la vita del partito, un’altra è vincere le elezioni ed al momento non abbiamo grandi esempi da seguire. Come già notato da altri in questo paese l’unico movimento che dimostra di sapere organizzare elezioni senza percepire alcun rimborso è il Movimento 5 Stelle. Le liste a 5 stelle si riuniscono intorno all’immagine di un comico tra i più celebri d’Italia che possiede uno dei blog più visitati al mondo gestito da un’azienda di comunicazione. Anche se le persone che ne fanno parte sono auto-organizzate ed auto-finanziate, il logo e la riconoscibilità sono fattori fondamentali per le elezioni che si guadagnano con la presenza mediatica. Sostituire i soldi necessari con la visibilità di una persona (che esercita potere sul movimento) non mi pare un grande passo avanti. Anche i Radicali rinunciano a parte dei loro rimborsi e si auto-finanziano, ma è pur vero che sono in parlamento in quanto eletti nelle liste bloccate del PD e quando Emma Bonino ha perso le regionali in Lazio si sono lamentati sempre col PD che aveva speso “un quarto di quanto speso per Marrazzo”.

C’e’ poi una cosa che chi non si occupa di rete non considera, cioè che gli strumenti che offre sono meno controllabili di quelli tradizionali ma non significa che non possano esserlo. Lo dimostrano tutti quei tentativi di creare finti movimenti dal basso che nella politica americana non mancano ma anche i maldestri tentativi della Moratti e della Polverini di crearsi un’immagine positiva in rete. Queste operazioni fanno notizia quando un tentativo malriuscito finisce sui giornali, non certo tutte le volte che ottiene un silenzioso successo “di massa”. Si potrebbe dire che anche in rete ci sono tanti piccoli donatori ma anche qualche super PAC molto potente con cui è difficile competere. Tutti speriamo che in futuro l’efficacia degli strumenti “dal basso” diventi sempre più importante e produca oltre che idee anche organizzazioni nuove ma oggi in Italia sono ancora altri i mezzi più efficaci.

Per concludere, ridurre di molto i soldi spesi per la politica è giusto (rimborsi, stipendi ecc…) e cambiare la legge sui rimborsi è sacrosanto. Proporre semplicemente di eliminarli invece mi pare retorico, chi lo sostiene sa che gli stessi problemi di corruzione che vediamo oggi diventerebbero non una possibilità ma una certezza con l’unico vantaggio di nasconderla sotto il tappeto. Non è un caso che una persona intelligente e pragmatica come Lawrence Lessig (il padre delle licenze Creative Commons) stia cercando una soluzione al problema della corruzione diffusa nella politica americana attraverso quello che, in un modo o in un altro, è il ritorno al finanziamento pubblico delle campagne elettorali americane.

Questo articolo è stato pubblicato qui

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