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 Home page > Tribuna Libera > Da Sapri con amore | La bandiera vilipesa

Da Sapri con amore | La bandiera vilipesa

Eccola la bandiera là in alto sul pennone, già vessillo nazionale e simbolo patri insieme a quegli altri suoi compari, che si agita al vento in ardor di esuberanza, nell’anima i segni di un’antica fiamma, il volto rigato dal pianto d’infinite sorti. Issata a vigor di popolo è a fregiare il bavaglio, a bardare un potere, ad agghindare le facciate di palazzi di città e pure di campagna, ostentata glorificata e deposta, è qui ignara del suo triste destino.

Impavido e ribelle, il Tricolore per antonomasia nella matrice a modellare, vide la luce un lontano dì in quell’impeto di una fede rivoluzionaria oltralpe arrangiata. In terra italica abbracciato nella variante di colori verde bianco e rosso si elevò, or deposto il segno dinastico e militare, a simbolo del popolo, delle libertà conquistate e della nazione stessa. Nonostante il tentativo di soffocarlo ad opera della Restaurazione, esso mai cessò di essere innalzato quale emblema di libertà, nei moti, nelle rivolte, nelle sollevazioni a seguire. È qui, in terra nostra, che gli stessi colori narrano una comune speranza, quella stessa che accende entusiasmi e ispira poeti, come è a testimoniare innegabilmente Goffredo Mameli nel suo Canto degli Italiani: “Raccolgaci un’unica bandiera, una speme.”

Quale nobile ispirazione, quale storica emanazione sono unione e comunione in bocca ai sognatori, lì condannate a dirsi attesa, vuoi fiduciosa, più o meno giustificata, di un corpo a godere. Ma la vita non si prostra ai piedi di una chimera, non teme la sua ferocia, è indifferente alle sue razzie. Il corpo è la sua essenza, le ferite la realtà, fosse anche celata a quell’occhio tanto nudo. È bastato un parassita, uno a caso, a mostrarci la miseria di un inno ormai sbiadito, di un umano già tradito, mai risorto. Il campo di battaglia, ora un cencio a mascherare il volto, si tinge dello stesso sangue di chi ancora è chiamato a servire il grande inganno di una mente sadica e perversa, sempre volta avidamente a separare ciò che la vita ha già unito. Una stessa mente che

nell’incapacità di relazionarsi agli eventi naturali della vita in maniera sobria, matura e aperta,

nell’immaturità di gestione di quell’altra dimensione, pure reale e naturale, di un invisibile,

nella sua posizione a rappresentarsi “al di là del bene e del male” in quell’accesso di un “delirio di onnipotenza”,

statuisce la minaccia pensata esterna e procede con violenza e nella assoluta mancanza di rispetto della vita di un altro già eguale, nella sola arroganza di una posizione,

a legare mani e piedi

a serrare bocche e menti

a soffocare ogni respiro fuori

ad affamare anima e corpo

a intombare senza lutto.

Eccola, ora, la bandiera là in alto sul pennone alle porte della cittadina, a memoria di un baldo giovane, patriota e rivoluzionario, Pisacane qui tradito. Stinta, lacerata, stretta a quel palo, unica sorte nella diserzione, è trascurata abbandonata e dimenticata, lì, nella morte a lei dovuta, indegna di una resurrezione. Chi si fregia non ne ha cura, perché mai dar loro torto, cosa è qui, null’altro vezzo, se non un cencio che ha ceduto al vento…

“Eran trecento, eran giovani e forti, e sono morti.”

[La spigolatrice di Sapri | Luigi Mercantini]

Foto di Sara Price da Pixabay

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