Da Roma Vandana Shiva promuove la libertà dei semi. E’ in pericolo la nostra cultura alimentare e la nostra salute

Non è davvero una novità scoprire che il mondo gira intorno al profitto ma è sorprendente sapere che i semi per coltivare il grano o il mais o il cotone sono oggetto di brevetto e che, fatto più grave, 5 multinazionali, di cui la più nota è l’americana Monsanto, hanno agito “legalmente” per rendere illegale la riproduzione dei semi da parte degli agricoltori.
Come è stato possibile?
Lo racconta, nell’aula consiliare della Provincia di Roma, che con Navdanya ha promosso "Salviamo i nostri semi", la fisica ed economista indiana Vandana Shiva, una delle voci più prestigiose impegnate nella difesa della natura e della sua biodiversità. Autrice di vari saggi tra cui “Il bene comune della terra”, un appassionato manifesto per un pianeta concepito “come una grande comunità e come un bene comune inalienabile per tutte le forme di vita che lo popolano”. Vandana Shiva è in visita in Italia per lanciare
Pochi si interessano di agricoltura nonostante sia dalla terra che ricaviamo il cibo ma ancora meno conosciuto è il ruolo delle sementi, un aspetto della globalizzazione direttamente connesso con la nostra tavola, con la nostra salute e con la libertà individuale.
Per saperne di più, occorre tornare indietro nel tempo, esattamente al 1994, quando a Marrakesh, nell’ambito del WTO (Organizzazione mondiale del commercio) viene proposto un Accordo sull’aspetto dei diritti di proprietà intellettuale inerenti il commercio, il TRIPS (qui un commento). I diritti legati alla proprietà intellettuale che, sino ad allora avevano tutelato i brevetti industriali, vengono estesi anche al germoplasma dei semi, cioè al “corredo genetico” di cui si modifica la sequenza del DNA.
La logica conseguenza, denuncia Vandana Shiva, è che ai semi si applicano i diritti di proprietà delle opere d’ingegno che, oltre che aprire la porta agli OGM, impongono royalties agli agricoltori e una dipendenza obbligata dei contadini dalle aziende produttrici.
Ma chi è la mente di questo raggiro ben orchestrato?
Per l’ecologista indiana la responsabile è
A differenza delle sementi tradizionali, diventa impossibile per gli agricoltori riutilizzare i semi conservati dal precedente raccolto per la successiva semina, sia per il decadimento della fertilità dei semi (commercializzati da un gruppo di cinque multinazionali tra cui
Così i contadini che per migliaia di anni hanno custodito i semi e li hanno liberamente scambiati non possono più farlo, la riproduzione dei semi diventa illegale, un furto.
Ma in questa storia non tutto gira intorno all’economia, poco si sa, ad esempio, di cosa si nasconda nell’impiego di sementi ibride o OGM, da impiegare nelle grandi monocolture di cotone, mais, soia, colza, grano perché se rispondono molto bene all’uso di quantità crescenti di sostanze chimiche è anche vero che il consumatore finale assumerà rischi per la salute non preventivabili.
Potrebbe essere utile sapere che le monocolture soppiantano le colture diversificate, contaminano i campi non ogm e riducono la biodiversità, di fatto sono una minaccia alle varietà di gusti e tradizioni, alla qualità dei cibi: uno scontro frontale tra quantità e alimentazione di qualità.
E poi se è vero che le multinazionali macinano profitti, i piccoli agricoltori (da cui proviene l’80% del cibo del pianeta) pian piano scompaiono, generando insieme ulteriore povertà e dipendenza da potenti industrie globali.
Tra i pochi ad occuparsi di questi problemi c’è Vandana Shiva che da decenni con
Ma non è tipo da arrendersi facilmente la fisica indiana che ha voluto consegnare nelle mani del presidente della Provincia di Roma, Nicola Zingaretti, il report Seed Freedom A Global Citizens‘ Report (La libertà dei semi) con copertina disegnata da Sergio Staino presente all’incontro.
Vandana Shiva ha approfittato della sua presenza in Italia per lanciare un monito alla vecchia Europa, dove si decantano almeno nelle feste di paese le tradizioni gastronomiche e dei prodotti tipici, ma che ha varato norme in contraddizione con la salvaguardia dei consumatori. Una recente sentenza della Corte di Giustizia europea ha confermato, giustificandola con la tutela della maggiore produttività, il divieto di commercializzare le sementi delle varietà tradizionali che non sono iscritte nel catalogo comune europeo, richiamandosi alla direttiva che “riserva la commercializzazione e lo scambio di sementi alle aziende produttrici di sementi, e vietandolo agli agricoltori Solo che non appare logico il motivo per cui sia necessario, pagando, brevettare qualcosa che è utilizzato da tutti da sempre, rispettando l’obbligo che ogni varietà risponda ai criteri provati di “Distinzione, Omogeneità e Stabilità (DHS)”.
Quali benefici ricava la collettività dal rispetto dei requisiti imposti dalle norme comunitarie, considerato che non c’è alcun pericolo per la salute umana e che solo poche varietà tradizionali sono in grado di rispettare tutti i parametri, nonostante esse siano il prodotto di secoli di selezione e adattamento naturale?
Non si sa ma di sicuro un danno c’è. Secondo l’associazione francese Semailles a causa di questi discutibili principi «più dell’80% della biodiversità è scomparsa» dai campi europei”.
E se nessuno ha interesse a registrare varietà di sementi usate da secoli su terreni diversi ma purtroppo non rispondenti ai criteri DHS (distinzione, omogeneità e stabilità) chi trae vantaggi? Semplice, le multinazionali che per vent’anni (durata del brevetto) ricavano una rendita economica sicura ma di cui nessuno conosce le conseguenze connesse al loro utilizzo a lungo termine sugli organismi umani.
O meglio, se qualche dubbio c’era, ora ne sappiamo di più grazie a una ricerca francese diretta da Gilles Éric Séralini, autore di numerosi saggi tra cui OGM, Le Vrai Débat e Génétiquement incorrect, pubblicata su "Food and Chemical Toxicology" (vedi L
Per Vandana Shiva l’atteggiamento dell’Europa è ingiusto, è non solo penalizzante per l’agricoltura e per le tradizioni dei piccoli agricoltori ma anche una minaccia per la salute dei consumatori e un pericolo per la libertà dei cittadini. Citando Gandhi ha ricordato che non si deve ubbidire a leggi che creano insostenibilità e ingiustizia. Ma non possiamo essere solo consumatori, dobbiamo diventare produttori e rivendicare i beni comuni.
Ma cosa si muove in Italia intorno alla tutela dei semi e della biodiversità?
Poco. Nei partiti non c’è una grande sensibilità intorno al problema, ma la presentazione del rapporto La libertà dei semi ha ottenuto il sostegno del Presidente della Provincia di Roma Nicola Zingaretti, della presidente del Consiglio provinciale Pina Maturani e del vice presidente della commissione ambiente Gianluca Peciola, tutti presenti all’incontro.
In Parlamento ormai da tre anni è ferma una proposta di legge a tutela della agrobiodiversità presentata da Susanna Cenni che pur avendo ottenuto in commissione il voto unanime di tutti i componenti, difficilmente potrà essere approvata in questa legislatura.
Eppure l’Italia dal 1970 e sino a pochi anni fa aveva addirittura un istituto nazionale del CNR che si occupava di ricerca e conservazione del germoplasma. Lo ricorda Pietro Perrino, ex direttore della Banca del Germoplasma la quale conservava i semi di 84.000 campioni di piante agrarie suddivise tra varietà di cereali, leguminose, ortive, foraggiere e piante medicinali. La mancanza di risorse adeguate ha comportato l’accorpamento della Banca con altri istituti che si occupavano di genetica (ingegneria genetica e produzione di piante transgeniche) a cui si sono aggiunte carenze di manutenzione delle apparecchiature che garantivano la temperatura controllata di semi. Neanche l’intervento della magistratura ha evitato danni gravissimi alla sopravvivenza di molti semi mentre non si è concretizzato un Progetto Germoplasma di cui
E’ utile ricordare un pensiero di Gandhi in apertura del saggio Il bene comune della terra:
“La terra possiede risorse sufficienti per provvedere ai bisogni di tutti, ma non all’avidità di alcuni”
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