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Da Nord a Sud il fallimento dello Stato imprenditore

Un dato indicativo della macchinosità dello Stato, quando si tratta di operare da imprenditore in un regime di libero mercato riguarda la Regione Calabria, dove si segnalano i destini fallimentari di tante piccole società partecipate cresciute come i funghi negli ultimi anni (erano 13 nel 2002, sono diventate 21 sei anni dopo).
Una di queste è la Comalca, sede a Catanzaro in viale Europa, con tre milioni di perdite negli ultimi anni, affiancata dalla Comac, che senza produrre utili ha totalizzato 4,5 milioni di bilancio in rosso.

Non va meglio sul fronte degli aeroporti, un business che solitamente risulta molto vantaggioso.

La società di gestione dello scalo di Reggio Calabria, la Sogas, ha perso 16 milioni di euro dal 2004 al 2008, convincendo la Regione ad una fuga, che ha comportato la diminuzione dal 50% al 6% la partecipazione al capitale della società. L’aeroporto di S.Anna a Crotone invece ha bruciato quasi 5 milioni di euro in 5 anni, costringendo i soci pubblici ad una nuova iniezione di denaro, prima di cedere in parte il posto ai privati.

Se ci spostiamo su altri settori il risultato non cambia.

La Fincalabria, la finanziaria che dovrebbe promuovere lo sviluppo economico, è stata costretta a ridurre il capitale sociale da 35 milioni a 23 milioni per far fronte alle ingenti perdite (quasi 8 milioni di euro) sempre nel periodo 2004-2008. Il Consorzio per la Promozione della Cultura e degli studi universitari di Crotone, in via di cessione, ha mandato in fumo quasi un milione di euro. Stessa sorte per Sviluppo Italia Calabria, che dopo aver perso 30 milioni di euro è oggi in liquidazione.

Il quadro generale emerso dalla Conte dei Conti sullo “Stato imprenditore” calabrese non lascia molti dubbi: quasi un totale fallimento.

Tante le piccole società cresciute negli ultimi anni e per gli scopi più disparati, mentre il buco di bilancio è salito a 50 milioni di euro.

A questo va aggiunto il dissesto sulla Sanità, con debiti netti, stando ai dati del 2007, pari a 1,6 miliardi.

Se la Calabria si profila come il luogo simbolo delle inefficienze, anche la Sicilia non se la passa tanto bene.

Nell’isola sono attivi 36 consorzi e 26 società partecipate dalla Regione, con un onere sul bilancio 2009 pari a 323 milioni.

Un esempio tra i tanti è la Multiservizi di Palermo, operante nel settore della pulizia e della logistica, che ha tra i suoi clienti le Asl e gli assessorati. Su 33 milioni fatturati nel 2008, 32 milioni e 900 mila sono serviti soltanto per pagare stipendi ed oneri del personale. Con un quadro economico del genere è inevitabile chiudere il bilancio in perdita: -1,3 milioni nel 2007, -4,1 l’anno successivo.

Se qualche esponente della Lega si sfrega le mani, non potrà che restare deluso vedendo le sorti di certe attività dello Stato imprenditore anche nel Nord Italia. Un caso tra i tanti è l’Atm, l’azienda dei trasporti posseduta dal Comune di Milano, che non si limita soltanto a garantire il servizio pubblico cittadino. Da anni si è avventurata nel mondo della finanza, assumendo il ruolo di gestore finanziario, come fosse una banca qualunque. A disposizione dell’Atm ci sono centinaia di milioni di euro di contributi statali che la società utilizza per comprare Bot, ma anche bond societari andati poi in default, erodendo il suo portafoglio da 400 milioni al valore attuale di poco più di 300.

Una domanda a questo punto sorge spontanea: è normale che un’azienda pubblica legata ai trasporti, che già deve sopperire ai pesanti costi legati ai problemi della sicurezza (prendendo in esame anche i casi di cronaca recenti) si dedichi all’attività di fondo speculativo che punta su obbligazioni a rischio?

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