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Cuore di donna

Simone De Beauvoir, nel 1949, raggiunse notorietà pubblicando "Il secondo sesso", un testo voluminoso in cui spiccava una corposa analisi del modo in cui la donna è relegata e definita nella cultura sociale. 

Alla luce di un approfondito excursus culturale, financo nei passaggi storici e mitologici, l'autrice criticava l'effettiva inferiorità imputata a colei che appunto è latrice del sesso "secondo", ossia di seconda importanza.

 

Se gli uomini avessero concesso maggior spazio ed opportunità alle donne di operare nella realtà sociale - dichiarava l'autrice - queste si sarebbero occupate meno di loro e più di sé stesse, con grande vantaggio per tutti. Probabilmente, mi permetto di aggiungere, sarebbero state meno asfissianti e davvero più ricche di fascino. 

Una persona (sia pure di sesso femminile) che vede l'attuazione sociale di chi le sta intorno mentre a lei è proibito ...Che umore potrà mai vivere? E cosa potrà trasmettere a chi le è vicino? Felicità e soddisfazione? Gratitudine? Secondo me nemmeno un pò di allegria...Piuttosto un certo rancore e una sorta di invidia.

"Donne non si nasce, lo si diventa", scriveva Simone: la donna è un essere diverso dall'uomo ma essa stessa, giocando il mito dello "eterno femminino", prostituisce il suo potenziale e rinuncia ad una esistenza dignitosa.

"L'eterno femminino", le caratteristiche propriamente indicate come femminili, diventa spesso l'unica dote trasmessa dalla madre alla figlia. Lì dove il mondo sociale è divenuto terreno maschile, in che modo affermarsi? Moine, vezzi e capricci, occhiate maliarde e mossette studiate... Blandire per poi dominare chi domina il mondo. 

Il vero guadagno? Scusate se sembro noiosa... Ma "la persona" dov'é? E darsi da fare, invece, per conquistarlo, quel mondo? E viverlo al meglio con chi ci è arrivato? E provarne magari finalmente piacere? Simone De Beauvoir fu molto apprezzata e molto discussa. Tacciata, tra l'altro, di anti-femminismo per un motivo preciso: la sua condanna primaria era rivolta alle donne, le prime, vere e imbarazzanti responsabili della propria umiliazione.

Tempo fa mi trovavo in Egitto, camminavo per le strade di El Quesir, un ex villaggio di beduini, popolato da imbonitori locali, turisti, e gruppetti di uomini seduti ai caffè, a fumare sinuose pipe ad acqua. 

Ricordo le donne, riunite tra loro con tanti bambini. Ricordo gli occhi curiosi su di me, sbucare dai veli scuri che coprivano il corpo. La mia figura, coperta da indumenti diversi (pantaloncini e canottiera dai colori sgargianti), attirava la loro attenzione. Rispondevo all'esame con ampi sorrisi, così che anche loro, alla fine, sorridevano... Fin quando, timidamente, una ragazza si è accostata per toccarmi. 

Ero il diverso, una donna anch'io, ma libera di conversare e scherzare con le amicizie maschili con cui mi accompagnavo. Libera di indossare i colori e di poter vedere e mostrare il mio corpo. E sorridevo, non sembravo certo dannata! Erano lì, coperte da scuro tessuto, a guardare i bambini davanti alla porta di casa. Il sole estivo bruciava e i nostri occhi si conoscevano, rispettosi.

La guida locale spiegò che le donne, in onore alla loro cultura, non guidano e non lavorano. Rimangono in casa: "devono pensare a farsi belle, in modo tale che la sera, quando il marito rientra, son pronte per fare l'amore". L'amore?

Ma se poi non lavorano, nemmeno producono, e mantenerle è un costo per la società intera...!?

È giusto così. Sicuro?

Allora il mio amico, umanista di nascita e provocatore di professione, gli chiese se il cuore di un essere umano, poggiato sul piatto di una bilancia, potesse pesare meno di quello di un altro essere umano, ma di quella cultura.

Non poté dire di no, ma in pochi minuti si svincolò dalla nostra presenza.

Questo articolo è stato pubblicato qui

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