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Cuba, un anno di riforma migratoria

Tradurre Yoani Sánchez non significa condividere ogni frase della nota blogger, né prendere per oro colato le sue asserzioni apodittiche. Tutt'altro. Spesso è il caso di riflettere criticamente su certe considerazioni un po’ troppo facili. L’ultimo post pubblicato su Generación Y, che trovate qui, vuol far credere che - a un anno dalla Riforma Migratoria - a Cuba niente sia cambiato.

Non è vero. A Cuba è cambiato tutto. Non si erano mai visti tanti cubani - e soprattutto tanti dissidenti - a giro per il mondo, liberi di parlare, di criticare, di esporre la loro interpretazione politica. Non si era mai vista tanta “non repressione” nei confronti di chi è uscito, ha criticato il governo in ogni possibile circostanza e ha fatto rientro in patria. Certo, se di vittoria si può parlare, è stato il governo ad avere la meglio sulla dissidenza, perché ha mostrato al mondo il volto più morbido. Lasciamo stare se in patria vengono perseguitate le Damas de Blanco e i dissidenti subiscono arresti per brevi periodi, ma chi è uscito ed è rientrato non ha subito rappresaglie.

Yoani Sánchez afferma che sono ancora molti i cubani che non possono permettersi di viaggiare all'estero, perché non hanno soldi neppure per sbrigare la pratica e ottenere il passaporto. Ma questo accade da sempre in ogni luogo del mondo! Non mi pare un motivo per meravigliarsi. I dissidenti viaggiano perché i loro giri del mondo sono pagati da chi ha interesse (culturale, politico, letterario...) a farli uscire da Cuba, altrimenti anche loro - a parte poche eccezioni di non conformi ricchi per i più svariati motivi - non viaggerebbero. Da sempre, i viaggi dei cubani sono finanziati dai parenti che vivono all'estero o da amici che risiedono in Europa e negli Stati Uniti.

Altra inesattezza: il paese in fuga. Persino El Nuevo Herald (mai tenero nei confronti del governo cubano) dice che non è vero, che si sta attraversando un periodo caratterizzato da un'inversione di tendenza. I cubani escono per brevi periodi dal Paese, ma poi fanno rientro, con il denaro guadagnato, e cercano di mettere in piedi un’attività economica privata (ora consentita) al loro paese. Inoltre, le fughe dei cubani non sono quasi mai di carattere politico, ma soltanto economico. Sono rari i casi di cubani impegnati politicamente che chiedono lo status di esiliati. Per la maggior parte di loro, il viaggio all'estero significa resolver, una maniera come tante per dare una svolta economica alla loro esistenza.

Condivido solo una cosa dell'ultimo post di Yoani: il fatto che per i vecchi esiliati, per coloro che si vedevano negare il rientro a Cuba per motivi politici non sia cambiato niente. La nuova legge, infatti, non è retroattiva. Questo sarebbe un punto su cui insistere per chiedere di modificare una situazione superata, viste le aperture economico - politiche che hanno caratterizzato l'ultimo anno di governo di Raúl Castro. In definitiva, Cuba sta cambiando, anche se molto resta da fare in tema di libertà di pensiero, diritti umani, possibilità di associarsi politicamente e sindacalmente. Ma non sarà un periodico on line a cambiare la vita dei cubani, novità inutile, visto il basso indice di connessione di un popolo refrattario a occuparsi di problemi politici.

 

Foto: Fidel Castro come è riapparso in pubblico.

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