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Crollo Ponte Morandi: teatrino in autostrada

Tra meno di tre mesi saranno passati due anni dal trauma del crollo del Ponte Morandi. Due anni durante i quali, oltre ad aver assistito alla ricostruzione a tempi di record del ponte, circostanza che ha indotto molti a credere di aver trovato l’ennesimo proiettile d’argento per questo disgraziato paese (investimenti infrastrutturali “commissariati” ed effettuati in condizioni di ossimorica “normalità emergenziale”), abbiamo assistito anche al balletto indecente su “revochiamo, non revochiamo” la concessione ai Benetton. Come alcuni tra voi ricorderanno, era (avevo) già tutto previsto. Incluso lo stallo.

Oggi siamo ancora lì, e l’occasione per riavviare un cicaleccio mai spento è la richiesta da parte di Autostrade per l’Italia (ASPI) di accedere alla garanzia pubblica fornita da SACE su una linea di credito negoziata con le banche, come previsto dal Decreto Liquidità.

Immediata la levata di scudi dei pentastellati, che all’antico grido “vergogna!!1!1” hanno detto che la garanzia non s’ha da dare. Anzi, piuttosto acceleriamo la revoca, che è l’altra frase magica che da quasi due anni ci perseguita senza approdare ad alcun esito.

In questi due anni, a seguito del famoso articolo 35 del Milleproroghe, che per il M5S rappresenta l’assalto finale a prendere per fame ASPI, la società ha perso il rating investment grade ed ha visto di conseguenza aumentare significativamente il costo del ricorso al credito. Ma non si dica che i pentastellati non hanno vista lunga: ricordiamo tutti l’altro estenuante “negoziato”, tra governo e Atlantia, per fare entrare quest’ultima in Alitalia.

Con l’acuto ed arguto negoziatore Luigi Di Maio a pontificare contro tale ingresso “spintaneo”, con la motivazione “tanto diverranno un’azienda decotta, dopo aver perso la concessione”.

Oggi siamo tornati ad uno degli innumerevoli punti di partenza, quello in cui si deve decidere se Atlantia deve praticare grandi sconti in tariffa per emendarsi, oppure se deve cedere la maggioranza di ASPI ad altri operatori, tra cui Cassa Depositi e Prestiti ma anche fondi infrastrutturali e magari assicurazioni, per creare il polo misto tricolore delle autostrade.

Per farvela breve, perché la realtà è che non c’è nulla di nuovo, siamo al solito stallo. Costringere Atlantia a vendere la quota di controllo di ASPI? Bene, ma a che prezzo? Tagli di tariffe e riduzioni (necessarie) del costo medio ponderato del capitale abbattono di conseguenza il valore dell’azienda. Non solo: i Benetton probabilmente vogliono anche monetizzare il premio di controllo.

E quindi, che fare? Se si abbatte il valore di ASPI, Atlantia non vende e siamo in stallo. Se si preserva il valore d’azienda per facilitare la cessione, e in un secondo tempo si fanno i tagli di tariffe e remunerazione, i nuovi azionisti, tra cui CDP, prendono una poderosa randellata sui denti. Non se ne esce. E comunque si conferma la tendenza di questo paese a generare circoli viziosi di portata biblica.

Il tutto, senza considerare le note brame della politica a mettere le mani sul “tesoretto”, anzi sul “tesorone” dei cashflow di Autostrade, per poter dissetare il popolo riarso.

Quindi non voglio ripetermi, perché sapete già tutto: l’autostrada per l’inferno è lastricata di buone intenzioni di revoca, e la Bad Merchant Bank di Palazzo Chigi continuerà a produrre bubboni. Quello autostradale vedrà la perdita di accesso al mercato del funding da parte di Autostrade e il blocco degli investimenti, sino al dissesto conclamato, ma anche la paralisi delle altre concessionarie, a causa di un contesto di incertezza regolatoria estrema.

Che magari è la strategia pentastellata per nazionalizzare per un tozzo di pane, chi può dirlo? Ma prima di quel momento, ad essere presi in ostaggio saranno i cittadini.

Foto di Clker-Free-Vector-Images da Pixabay

 

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