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Costituione | La lezione di diritto che viene dal referendum

Egregio Titolare,

senza entrare nel merito della complessa analisi del voto, tuttavia una lezione chiara sembra possa essere tratta da quanto avvenuto. La lezione è piuttosto semplice e nota anche agli studenti che si approcciano per la prima volta al diritto, ma sfuggita per distrazione a Parlamento e Governo: c’è un ordine gerarchico tra Costituzione (sovraordinata) e leggi (sottordinate). Pertanto, è grandemente opportuno e necessario che prima, se lo si vuole e soprattutto se vi si riesce, si modifica la Costituzione e poi, solo poi, si modificano le leggi ordinarie, per adeguarle alla Costituzione riformata.

di Luigi Oliveri

Invece, in questa legislatura in almeno tre casi eclatanti si è seguito un percorso paradossale: legiferare come se la riforma della Costituzione, che era chiaro da subito sarebbe passata per l’ordalia referendaria visto che non c’era la maggioranza necessaria a farla passare direttamente in Parlamento, fosse già stata in vigore. Ora se ne vedono le conseguenze.

La più grave è la mancanza di una legge elettorale per il Senato. Siccome si è celebrato il funerale di Palazzo Madama prima che defungesse, si è pensato bene (anzi, molto male) di riformare la legge elettorale (per la verità lasciandola quasi uguale al Porcellum incostituzionale), ma solo per la Camera. Nessuno ha minimamente pensato alla lezione di Calamandrei. Quando questo Padre della Patria affermava che i governi non debbono ingerirsi nella Costituzione, parlava a ragione veduta. Se un Governo si impegna direttamente in una riforma che, invece, spetta solo al Parlamento, laddove detta riforma sia rigettata a furor di popolo in un referendum, poi è ovvio che tale Governo si ritrovi di fatto sfiduciato e delegittimato. Nessuno ha colto il rischio del gioco d’azzardo del referendum e Governo e Parlamento hanno, di conseguenza, prodotto una legge elettorale che, adesso, al di là dei suoi evidenti problemi di costituzionalità, mette il Paese in difficoltà, perché carente delle regole per eleggere una delle due Camere. E procedere adesso, tra le macerie referendarie, certo non sarà una passeggiata di salute.

Un altro ambito nel quale Governo e Parlamento hanno dato per scontato che la riforma della Costituzione non solo passasse, ma di fatto fosse già vigente, è quello del mercato del lavoro. Uno dei capisaldi dei fantasmagorico Jobs Act, il d.lgs 150/2015, ha ridisegnato le competenze del collocamento (più raffinatamente, delle politiche attive) prevedendone il riaccentramento verso lo Stato, ritenendo acquisita la riconduzione della potestà legislativa in merito a quella esclusiva dello Stato, a discapito delle regioni. Allo scopo, è stata costituita, dopo lungo penare di quasi un anno e mezzo, la mitica Agenzia per le politiche attive del lavoro (Anpal), con compiti di definizione centrale delle politiche del lavoro che probabilmente, dato l’esito del referendum, non potranno mai essere esercitate. Infatti, le regioni mantengono la potestà legislativa concorrente sulla materia e, dunque, l’autonomia organizzativa dei servizi. L’azzardo costituzionale, dunque, non riesce minimamente a garantire il potenziamento di servizi che sarebbero fondamentali per un Paese avanzato. Ma ci ha regalato, caro Titolare, l’ennesima Agenzia. Niente abolizione del Cnel, in cambio dell’Anpal: non male.

Terzo drammatico caso: quello delle province. Sono state riformate, meglio, devastate, strozzate nei bilanci e mortificate nelle competenze, con la privazione del diritto di voto dei cittadini, con la transumanza di circa 20.000 dipendenti trasferiti senza ordine e senso in miriadi di enti (e il processo non è ancora finito), mediante la devastante legge Delrio, adottata, come in essa si trova esplicitamente scritto, in attesa della riforma del Titolo V della Costituzione. Un precedente pericolosissimo: una legge ordinaria ha stravolto l’ordinamento istituzionale nella presunzione di poter anticipare gli effetti di una riforma costituzionale non vigente e che, poi, si è scoperto non entrerà mai in vigore. Pensi, Titolare: un simile modo di agire potrebbe indurre qualche facilone frettoloso al Governo, un domani, di eliminare Senato, Magistratura, diritti, semplicemente con una legge ordinaria, giustificata dall’attesa di una riforma costituzionale non approvata. Basterebbe questa ragione perché, prima ancora di un intervento della Consulta allo scopo, il Parlamento eliminasse per sempre simile obbrobrio giuridico.

Come dice, Titolare? La voglia di rivincita che si respira nelle aree del giglio e l’assalto disorganizzato e improvvisato delle opposizioni che urlano “al voto al voto”, senza un programma chiaro, non lasciano ben sperare? Probabilmente sì. Ma, la lezione degli elementi basici del diritto è stata data. Speriamo che ad apprenderla non siano solo questi pixel.

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