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Correva il 10 maggio 1861 e si diffondeva alla Camera l’opuscolo per la Trieste e l’Istria d’Italia

 
Di Trieste, nel neo nato Regno d'Italia, si parlerà sin dalle sue prime sedute, specialmente per i problemi del porto. Un porto che comportava una concorrenza difficile da sostenere e sopportare da parte dell'economia italiana. Per esempio Bixio il giorno 11 dicembre del 1861 ricordava che l'Austria in pochissimo tempo era in condizioni di poter costruire le sue corazzate a Trieste mentre in Italia, nello stabilimento metallurgico di San Pier d'Arena, l'unico del Paese, non si era in grado di realizzare ciò.
 
Oppure nel 1862 ricordava che "l'Austria ha il Lloyd che fa il servizio da Alessandria a Trieste, è questo che noi dobbiamo vincere". Poi vi era chi eccepiva che il porto di Trieste sotto l'Italia avrebbe goduto di un regime di libero scambio rispetto a quello garantito dall'Austria, altri, invece, rimarcavano l'efficienza delle linee ferroviarie che da Trieste conducevano in Europa e tra invidie e diverse discussioni in materia si fomentava, lentamente ed ufficialmente, l'introduzione nelle sede istituzionali del nuovo Regno d'Italia del concetto dell'italianità di Trieste e dell'Istria, Istria che era strettamente connessa e collegata all'economia portuale di Trieste. 
 
Stratagemma nazionalistico che verrà nel corso del tempo coltivato e sostenuto, facendo diventare correnti e forze irrisorie e minoritarie, come significative nel quadro delle lotte irredentistiche nazionalistiche nel confine orientale. Stratagemmi che avevano come unico scopo quello di sottrarre il porto di Trieste all'Impero Austro Ungarico per sottrarlo all'economia dell'Impero e favorire il capitalismo italiano. Concetti che rimarranno vivi anche dopo la caduta dell'Impero ed il mito della Trieste d'Italia diventerà un dogma, ma il vero scopo era ed altro non poteva essere che impadronirsi del più importante porto dell'alto Adriatico, che poi questo porto era destinato a cadere in rovina poco importava e poco doveva importare, l'importante era sottrarlo al capitale economico e protezionistico avversario, di qualsiasi colore politico e sociale esso fosse. Ed ecco che nella tornata del 10 maggio 1861, all'assemblea del Regno d'Italia, verranno consegnate cento copie dell'opuscolo redatto dal comitato veneto centrale, dal titolo Trieste e l'Istria, e loro ragioni nella questione italiana. 
 
Questo è quanto veniva riportato nell'opuscolo: «È giusto che la voce di fratelli italiani, tuttavia soggetti a dominio straniero e reclamanti l'imprescrittibile diritto di appartenere alla propria patria, si faccia sentire e ottenga ascolto da questa rappresentanza nazionale. In nome del proclamato principio dell'unità e dell'indipendenza d'Italia gli Istriani domandano di far parte integrante della patria comune. La natura, la storia, la nazionalità, gl'interessi commerciali, le ragioni geografiche, militari e politiche, e il generale sentimento italiano del popolo, manifestato anchè testé dalle legali rappresentanze di Trieste e dell'Istria, concorrono a consacrare il diritto di questa estrema regione dell'Italia orientale di non restar esclusa dall'italiana famiglia, che sotto lo scettro costituzionale di Vittorio Emanuele II felicemente risorge ora a nazione. Il Comitato scrivente, interprete dei sentimenti e dei voti delle province italiane tuttavia soggette all'Austria, adempie con quest'atto ad un dovere fraterno e patrio. Ci segniamo con sincero ossequio. Il Comitato veneto centrale Firmati: Sebastiano Tecchio, presidente — G. B. Giustiniani — Guglielmo D'Onigo — Alberto Cavalletto.»
 
Atto di una gravità istituzionale inaudita, ma pur accettato ed accolto.
 
 
MarcoBarone 

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