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Coronavirus in Lombardia: non errori, crimini

Lo scontro politico e istituzionale sulle responsabilità penali per la vera e propria strage che ha colpito vaste zone della provincia di Bergamo (e continua ad assegnare vari tristi primati alla regione Lombardia) è stato sistematicamente falsato, nascondendo molti dati importanti. 

Mentre si discuteva se la responsabilità principale del mancato isolamento della zona in cui il virus stava dilagando andava attribuita al governo, alla regione o ai sindaci di due piccoli comuni, da ogni parte si evitava di domandarsi perché istituzioni guidate da forze politiche ostili tra loro erano altrettanto sensibili alle pressioni di Confindustria per mantenere aperte a ogni costo aziende la cui produzione era di dubbia utilità sociale, e perché tutti dimenticassero le tante denunce di medici, infermieri e anche di alcuni sindaci sul numero di morti di gran lunga superiore a quello dichiarato.

A tutt’oggi d’altra parte i numeri delle “vittime” sono comunicati in modo da impedire un’interpretazione delle circostanze in cui si è verificato il contagio, fornendo dati complessivi solo a livello regionale e non articolati per comune o almeno per provincia; tanto meno sono stati forniti dati sulla professione dei contagiati, con l’unica eccezione di quelli dei medici e degli infermieri, per evitare considerazioni sul motivo che ha esposto tanti lavoratori al rischio di contagio, e scongiurare quella che viene definita dagli industriali la “ricerca di capri espiatori”, cioè la denuncia delle pressioni che hanno portato a tenere aperte o riaprire prematuramente senza adeguati controlli molte aziende approfittando della clausola del “silenzio-assenso” delle prefetture. Senza alcun pudore alcuni dei protagonisti hanno sostenuto di non aver notato un intervento lobbistico dell’associazione industriali per la riapertura...

Lo stesso sindaco di Bergamo, Giorgio Mori, che pure inizialmente si era distinto nella campagna per tenere aperte la maggior parte delle fabbriche, oggi ha dovuto cambiare tono e ammettere che sono state fornite statistiche mistificanti, pur senza spiegarne la ragione e indicare i mandanti.

Qualche dato parzialissimo si è potuto avere dall’INAIL, preoccupata per le tante richieste di indennizzo per infortunio professionale legato al contagio, che erano arrivate a metà maggio già a quota 43.399 (compresi 171 casi mortali); la cifra complessiva può essere molto al di sotto della realtà per le esitazioni di molti a sporgere denuncia, sapendo di rischiare un conflitto dall’esito incerto con un padronato avidissimo e ben collegato ai centri del potere politico, compresa la magistratura. D’altra parte ci si è guardati bene a tutti i livelli istituzionali di accertare cause dell’anomalia lombarda un po’ più significative della misurazione delle colpe individuali di Conte o Fontana.

Su questo, ancora una volta, il dibattito politico è nullo, dato che anche la pattuglia di LEU evita accuratamente di mettere in discussione la palese subordinazione del governo al padronato. Così anche tra i comitati spontanei di familiari delle vittime della pandemia possono facilmente trovare spazio interpretazioni della catastrofe spudoratamente elusive come quella che la attribuisce a una mancata “coesione istituzionale”, cioè al conflitto tra governo centrale e regione. Conflitto che c’è stato ma solo di facciata, per nascondere la comune subalternità dei due schieramenti a un padronato cinico e insaziabile nel pretendere non solo la fetta maggiore della torta degli aiuti destinati a “imprese e famiglie” ma anche l’immunità da qualsiasi rivendicazione di indennizzo.

È impressionante la reticenza nel ricercare le cause di una vicenda così visibile come lo sfacelo rapido e clamoroso del sistema sanitario lombardo vantato per anni come esemplare, e la subalternità al potere economico e politico di illustri medici spacciati per oracoli e mobilitati giorno e notte per fornire, a secondo delle necessità del momento, interpretazioni dei dati a volte rassicuranti, a volte drammatizzanti a seconda delle necessità dei committenti. A volte si sono azzuffati tra loro, ma sempre hanno evitato di dire una semplice verità sul ruolo determinante della ripresa prematura delle attività industriali nell’esplosione del contagio. Che non è frutto di un “errore” ma di un crimine: la scelta di Confindustria di riaprire ad ogni costo, spalleggiata dai presidenti leghisti che tentavano di mobilitare le piazze perfino contro le “decisioni autoritarie” che chiudevano bar e ristoranti. Esattamente come negli Stati Uniti, in cui Trump capeggiava la fronda alla mascherina, mentre autorizzava la riapertura degli immensi macelli che alcuni governatori avevano chiuso dopo decine di migliaia di contagi e decine di morti, e in cui è difficile e costoso applicare serie misure di distanziamento tra i lavoratori. Il meccanismo è lo stesso. Ma è più facile conoscere le vittime statunitensi delle riaperture premature, che quelle italiane... [i]

(a.m.)

 

[i] I dati sui contagiati nei giganteschi stabilimenti per la macellazione delle carni vengono da un interessante articolo di Michael Poltan apparso su The New York Rewiew of Books, ripreso da “Internazionale”, n° 1360.

Foto di Ryan McGuire da Pixabay 

Questo articolo è stato pubblicato qui

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