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Come l’LSD lega i recettori

Gli scienziati hanno finalmente immortalato la molecola di LSD quando arriva a legare un recettore serotoninergico su un neurone. Finalmente è più chiaro anche perché gli effetti psichedelici sono così duraturi.

di Eleonora Degano 

Prendere LSD è “come essere di nuovo bambino. È come vedere il mondo con tante paia di occhi nuovi. È come rimuovere un filtro dal tuo cervello. A volte può anche essere spaventoso e sconcertante. È come stare a guardare mentre il mondo viene dipinto di fronte a te.” Un paio di discussioni su Reddit e diventa palese come l’esperienza dell’LSD, una delle sostanze psichedeliche più famose, sia estremamente personale. Fino a “l’orrore puro del sentirsi catapultati in un’altra dimensione con Dio, il diavolo, mostri e tutto il resto” come ha detto in un’intervista a VICE Andy Roberts, autore del libro Albion Dreaming: A Popular History of LSD in Britain, parlando dei cosiddetti bad trip, le esperienze negative con questi allucinogeni.

L’LSD ha sempre attirato l’attenzione degli scienziati, da quando nel 1938 Albert Hofmann l’ha creata quasi per sbaglio fino ai giorni nostri, in cui si indagano le sue potenzialità per trattare l’ansia, i mal di testa ricorrenti e tutta una serie di possibili applicazioni in ambito terapeutico. Oggi i ricercatori sono riusciti per la prima volta a descrivere nei minimi dettagli come appare la dietilammide-25 dell’acido lisergico nel suo stato attivo, ovvero quando dopo l’assunzione si lega a un recettore per la serotonina su un neurone. L’LSD, come hanno scoperto, non lega il recettore serotoninergico come il neurotrasmettitore per cui è “progettato”, ma averne a portata di mano la struttura ha fornito un indizio importante sul perché i suoi effetti psicoattivi durino così a lungo.

Come spiega in un comunicato Bryan Roth, leader dello studio pubblicato su Cell: “Ci sono vari livelli per comprendere come funzionano le droghe come l’LSD. Quello fondamentale è scoprire come si lega a un recettore su una cellula. L’unico modo per farlo è risolverne la struttura. E per riuscirci ti serve la cristallografia a raggi X”. Ma ottenere il cristallo di un composto mentre è legato al suo recettore è estremamente complesso, a partire dal fatto che il recettore va creato in laboratorio e reso “flessibile” in modo che si comporti nel modo voluto.

Il complesso compito di cristallizzare recettore e molecola è toccato a due ricercatori post-doc del laboratorio di Roth, Daniel Wacker (il primo autore del paper) e Sheng Wang, che vi hanno dedicato oltre due anni di lavoro. “Per ottenere un’immagine abbiamo bisogno di un sacco di recettori, perché sono piccoli, molto più piccoli della lunghezza d’onda della luce visibile. Per questo usiamo i raggi X, ma perché funzioni abbiamo bisogno che tutti i recettori stiano perfettamente immobili e tutti devono essere immobili esattamente allo stesso modo, come accade nei cristalli”, spiega Wacker.

È per questo motivo che anche creando moltissimi recettori “uno potrebbe girarsi in una direzione, un altro in un’altra, un terzo potrebbe non aver legato LSD e un quarto avere un coperchio che si muove di più rispetto agli altri. Per questo dobbiamo dissolverli tutti in acqua e poi rimuovere l’acqua lentamente. La temperatura deve essere quella perfetta. A quel punto dobbiamo mettere in campo tutti i trucchi sperimentali possibili per continuare a togliere l’acqua e convincere le molecole a stare immobili così che si cristallizzino”, continua lo scienziato.

“Congelando” l’LSD attaccata a un recettore per poterne immortalare le immagini cristallografiche, Roth e colleghi hanno finalmente visto che quando la molecola si lega al recettore resta al suo posto, perché questo le si ripiega intorno come una sorta di coperchio (in arancione nella foto a inizio articolo). “Pensiamo che il coperchio sia il motivo per cui l’effetto dell’LSD può protrarsi così a lungo. Ci mette molto ad arrivare al recettore e quando si attacca, non si stacca”, dice Roth.

O meglio, non si stacca per diverse ore. Alcune molecole lasciano il recettore quando questo non le avvolge più o è il neurone stesso a “risucchiarlo” all’interno reagendo alla strana molecola che l’ha legato, per degradarlo o ri-assemblarlo. Nonostante negli Stati Uniti una persona su dieci abbia provato l’LSD almeno una volta, commenta Roth “non ne sappiamo poi così tanto”. Prima di diventare professore di farmacologia e ricercatore, lo scienziato era uno psichiatra specializzato in schizofrenia: alcuni dei pazienti gli avevano riportato di aver avuto il primo episodio dopo aver assunto l’LSD. E “non erano più stati gli stessi”.

“Non stiamo sostenendo l’uso di LSD, può essere molto pericoloso. Ma potrebbe avere potenziali applicazioni in ambito medico, alcune delle quali sono state riportate in letteratura già decenni fa. Ora che abbiamo chiarito la struttura dell’LSD quando lega il recettore, stiamo imparando cosa la rende tanto potente”, conclude Roth. “Penso sia importante che l’industria farmaceutica capisca che se modifichi anche un solo minuscolo aspetto di qualsiasi composto potresti cambiare il modo in cui si posiziona sul recettore. Il risultato potrebbe essere che cambia anche il modo in cui il composto funziona”, aggiunge Wacker.

@Eleonoraseeing

Leggi anche: È vero che fumare poco non fa male?

Pubblicato con licenza Creative Commons Attribuzione-Non opere derivate 2.5 Italia

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