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Collegati, ma a che cosa?

Ora che, ad un’età non tanto verde, ho anch’io uno smartphone, capisco cosa fanno le persone, soprattutto giovani ma anche meno giovani, assorte nei loro telefonini, concentrate seriosamente a twittare, a “stay in touch” con tutto il mondo, guardare le email, le ultime notizie e rispondere e postare foto e molte altre cose tramite il profilo Facebook.

A tutto servono questi “cellulari” energivori (di batterie e di raziocinio) fuorché a telefonare, sono fatti apposta per far concentrare le persone su questi aggeggi supertecnologici o supercolleganti. Ma dove stiamo andando? Verso cosa stiamo correndo e quanto è utile essere continuamente aggiornati, up-dated su tutto quello che succede? In qualche caso può avere la sua utilità - vien da pensare all’attentato alla stazione Atocha di Madrid, quando il governo volle far credere che fosse opera dell’Eta e per questa bugia perse le elezioni – ma nella maggioranza l’uso sembra così perfettamente inutile o futile, una modernità che non serve a nulla, asservita solo agli affari delle compagnie telefoniche o produttrici di questi smart-phone, tablet, I-phone e cento altre diavolerie.

Persone anche con buoni titoli di studio, lauree o master, che consultano sempre e dappertutto questi aggeggi, ma “stanno seriamente lavorando” (così cantava E. Bennato)? Persone di ogni livello culturale bravissime a postare e condividere loro foto – a volte più o meno vestite, a volte cose più o meno riservate o comunque da vivere privatamente, fatti loro che non interessano granché - o massime di saggezza che girano in rete, ma stanno disimparando a scrivere, meno che meno con carta e penna. Dove porta tutto questo? Clicchiamo “mi piace” su fatti che ci coinvolgono o su catastrofi altrui, partecipiamo il dolore ma ce ne stiamo al calduccio delle nostre case o del nostro mondo virtuale, adottiamo ma “a distanza”.

Ai miei tempi si andava nella piazza del paese per sentire “che si dice”, lì si apprendevano le ultime novità, anche i pettegolezzi, ora tutto si è trasferito al chiuso della nostra privacy, ma siamo più soli, in molti casi ci si disabitua a parlare guardando negli occhi o prendendo sottobraccio chi abbiamo vicino, abbiamo “amici” su Facebook: siamo curiosi di vedere quanti ci stanno notificando qualcosa, chi di amici ne ha un centinaio forse passa qualche minuto ogni giorno per vedere questi messaggi, chi ne ha 500-1000 quanto tempo passerà “collegato”? Ma collegato a cosa? A una realtà virtuale, inventata, a qualcosa che abitua a star lontano fisicamente dagli altri.

Luigi Galella sul Fatto Quotidiano di qualche giorno fa diceva che “cinguettare sul web non è indizio di popolarità ma di frastuono, come una vuota gazzarra di uccelli in un cielo primaverile”. Bill Gates disse che si era pure lui iscritto a Facebook, arrivato a 100.000 “amici” se ne andò perché la cosa gli sembrò perfettamente priva di senso.

Foto: Flickr/leniners

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