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Cinque anni di follie finanziarie

La follia finanziaria è quella iniziata di Reagan e dalla Thatcher: un selvaggio far west finanziario che dura ancora oggi, e che trova ancora sostenitori...

Sul Corriere della Sera c’è un articolo a firma di due economisti, Alberto Alesina e Francesco Giavazzi, sulla situazione economica, articolo di cui ho ripreso il titolo: Cinque anni di follie finanziarie”.

Molto di quanto dicono, a mio avviso, è da considerare puro sciocchezzaio.
Condannano molto di quanto fatto dal 2007 quando ci si è accorti che gran parte dei mutui, ormai privi di vera garanzia, non sarebbero stati pagati.
 
Ma non si chiedono perché, se questa è la causa della crisi, perché la cura dovrebbe essere tagli alle pensioni e facilità di licenziamenti?
 
Perché dovrebbe facilitare la crescita? Ma perché minori pensioni, più disoccupati e riduzione dei consumi, dovrebbero risolvere il problema?

Dicono poi che “occorre abbandonare l’illusione che per riprendere a crescere basti un po’ di spesa pubblica” e portano l’esempio del Giappone che, con il debito pubblico oltre il 220% del pil, non è riuscito a generare una vera e consistente ripresa. Ma non prendono in considerazione gli altri fattori dello sviluppo.

E poi per giudicare dalla sua inutilità serve sapere come sarebbe oggi il pil del Giappone senza quella spesa. Ripartita in 23 anni e quindi, forse, troppo dilazionata.
 
Infine il Giappone, comunque, quest’anno dovrebbe crescere del 4,1%.
Non una parola invece sul deficit giapponese sopra il 9% del pil, sugli interessi, sostenibili solo perché il debito è, al 95%, in mano giapponesi sempre fiduciosi nei loro titoli.

O su cosa accadrà il giorno in cui in cui i giapponesi avranno bisogno dei loro risparmi.
Il debito pubblico gestito così somiglia tanto ad un’operazione Maddoff.
 
Giustissimo e pienamente condivisibile invece quanto viene detto sulle Casse spagnole e sulla necessità di ridurre, meglio annullare, il potere dei politici sulla banche e delle banche sui politici. Peccato che non dicano come fare e non parlino di separare le banche commerciali da quelle d’investimento e dalle attività speculative. Né di regolamentare l’attività finanziaria ormai molto simile alle scommesse sulle corse dei cavalli.
 
Ricordo che, parlando con un amico scommettitore, chiesi perché lo facesse visto che si dicevano tutte truccate. Rispose che il gioco era proprio capire come era truccata la corsa. E questo mi convince ancor più della somiglianza: basti pensare al tasso libor cui, pure, i due professori accennano. Senza emozione.

Chiedono un’autorità che eserciti la moral suasion sulla finanza, ma serve un controllo ferreo, che i due professori non amano essendo votati al liberismo di Friedman: dimenticando che la moral suasion è comunque un intervento statale ed una distorsione della amata libertà di mercato necessaria alle celesti armonie economiche.

E’ invece quasi completamente condivisibile quanto detto sugli “stati cicala”, termine ingiurioso per chi ha seguito una politica simile a quella della lodata Fed americana.

Ma la follia finanziaria non è quella dei cinque anni trascorsi dal 2007 ad oggi, è quella dei decenni passati dal tempo di Reagan/Thatcher ad oggi, nei decenni di compressione della middle class, di selvaggio far west finanziario che ancora dura.

Scandalo libor docet.

E’ certo giusto definire folle il traccheggiare sui nuovi interventi e gli attacchi alla Merkel e alla Germania che pongono condizioni per gli eurobond.

Anzi trovo che le condizioni poste sono insufficienti, che il potenziamento dell’Esm, il commissariamento di chi sfora i conti, il controllo bancario della BCE sono cose sagge, ma che il provvedimento necessario per gli eurobond può essere solo una imposta UE sostitutiva, in parte, di quelle nazionali.
 
Comunque tutto l’articolo è solo un’occasione per i soliti consigli sul liberismo: cambiare lo Stato sociale e lo Stato, ridurre i servizi, trasformare la funzione stessa dello Stato, ridurre le imposte (che, chi sa perché, chiamano tasse) su chi produce (leggasi imprese).

“Serve una “rivoluzione” del nostro Stato sociale, non solo ritocchi” (!) e così si giudica scarsa la legge del pensionamento a 67 anni con aggancio alla speranza di vita sempre in aumento. A quando il pensionamento i ventenni d’oggi?

E chiedono riduzione di interventi, di regole, di non demonizzare la ricchezza, di ridurre la giustizia sociale al dare a tutti le stesse possibilità trascurando che ogni uomo ha le sue capacità e che le pari opportunità sono solo una favola più irreale di Biancaneve. E che non si possono realizzare.
Come farà il figlio di un operaio a frequentare l’Università, a studiare all’estero, a imparare le lingue senza l’aiuto dello Stato, senza scuole e Università quasi gratuite e case per gli studenti? Come farà un impiegatuccio a dare al figlio la cultura sedimentata nelle famiglie di laureati senza l’aiuto formativo dello Stato?
 
Certo, occorrono stimoli, ma se nella cultura di famiglia non c’è la competizione difficilmente l’avrà la nuova generazione.

E poi è utile anche chi desidera solo un lavoro tranquillo. E ha diritto di vivere con dignità e a questo, in parte, deve provvedere lo Stato.
 
Non credo sia possibile essere neoliberisti e umani, non si può studiare economia o sociologia senza, in buona fede, accorgersi che, per la diversità che i liberisti invocano, è necessario che lo Stato intervenga, attenui, modifichi le situazioni per impedire che chi ha maggiori capacità o durezza o avidità o disinvoltura finisca per avere troppo e chi ne ha meno per non avere nulla. 
 
Quella che invocano i sostenitori del liberismo sfrenato alla Friedman è una sorta di legge della jungla, una vita da savana in cui il grande divora il piccolo e la storia di fare giustizia sociale dando a tutti le stesse occasioni è un tenue velo posto per confondere le idee.
 
Dare a me le occasioni di Einstein e, per stimolarmi, scolarizzarmi con quattro futuri premi Nobel non farà di me un fisico di storica importanza mondiale, mandarmi a scuola da Cimabue non farà di me un pittore immenso: sarò sempre e soltanto io. Con i miei limiti.

E la differenza tra me e Bill Gates non giustifica la mia condanna alla miseria, sarà giusto e necessario che lo Stato limiti la ricchezza di Gates per dare a me, piccolo e incapace e vile e lento, un’esistenza libera e dignitosa (come dice la nostra inapplicata Costituzione).
 
E questo lo pensa lo stesso Bill Gates che con altri miliardari, scrisse all’allora presidente Bush di reinserire l’imposta sulle successioni.

E Buffet, 47 miliardi di dollari, che chiede di pagare più imposte.

E’ proprio vero che spesso è più feroce il cane del padrone.

Commenti all'articolo

  • Di (---.---.---.119) 7 agosto 2012 22:34

    L’articolo mi sembra parecchio confuso. A tratti non riesco neanche a distinguere tra la posizione del redattore e quella dei giornalisti che intende criticare. Ma l’ha riletto prima di postarlo?


    Anteporre alle frasi dei bei "io ritengo che...." piuttosto che "é opinione di Alesina e Giavazzi...." gioverebbe parecchio alla possibilità di comprensione.

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