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Siamo senza soldi per colpa dell’euro?

Idee e accuse a confronto sull'euro, anche in vista del referendum proposto dal M5S.

E' uscita in questi giorni sul Corriere della Sera un'intervista con lo stimato e stimabile premio Nobel per l'economia Amartya Sen che, in questa occasione, cerca di rendere noto e chiaro perché la nascita dell'euro sia stata un errore e sia concausa della situazione di recessione e disoccupazione in cui naviga l'Europa.

Per fortuna nostra e sua evita di esporre la solita storia sciocca che l'euro non funziona (?) perché la BCE non fa da prestatore di ultima istanza come invece fa la FED americana seguitando a sottoscrivere titoli del debito pubblico Usa che poi paga stampando dollari.

E' da quando sento ripetere questa sciocchezza che mi chiedo perché mai la FED sottoscriva titoli quando lo stesso effetto potrebbe ottenerlo stampando e inviando ogni anno un paio di "camionate" di dollari freschi di stampa: il risultato sarebbe identico.
A mio avviso quei titoli servono solo a fingere che ci sia una contropartita per quei pezzi di carta che continuano ad invadere il mondo e a deprezzare quel dollaro che, inspiegabilmente, continua ad essere ovunque la moneta di riferimento e di uso internazionale.

Tanto questo è vero che, per comprare un euro, moneta di cui si preannuncia da due anni la fine e l’implosione, ci vogliono un dollaro e trenta centesimi.
Questo per molti economisti veri e finti dovrebbe fare anche la BCE con l'euro.
Personalmente la trovo una sciocchezza, anzi una fesseria, senza confronti.

Amartya Sen porta, invece, altri "argomenti": dice, giustamente, che quello che crea problemi è che tra le varie economie d'Europa ci sono delle discrasie e divergenze di ritmo e di andamento che inevitabilmente si riverberano sulla vita della moneta, mentre, in una situazione normale di economie separate, queste si aggiustano tra loro mediante mutamenti dei rispettivi cambi.

Ora in Europa, invece, la moneta unica impedisce questo sistema di aggiustamento. Non ci sono cambi e quindi, ovviamente, la loro mancanza impedisce che si possa ricorrere a loro mutazioni.
E qui Amartya Sen mi meraviglia profondamente e lo fa perché chiama aggiustamenti dei cambi quelli che, nella migliore delle ipotesi, sarebbero svalutazioni competitive e, nella peggiore, una guerra dei cambi.
Ma lo fa anche perché sembra aver dimenticato che l'inflazione è da sempre definita "la più ingiusta delle imposte" dato che colpisce i redditi fissi e quelli che non hanno beni immobili, oro, valute e titoli quotati in borsa tutti beni che adeguano automaticamente il loro valore numerario ad ogni sospiro di inflazione o di svalutazione.

E' assurdo che proprio lui, che ha rilanciato il valore originario dell'economia, l'etica, contro le follie friedmaniache e l'esaltazione del così detto homo oeconomicus che si basa solo sul tornaconto personale. Tornaconto a breve. Senza visione e senza occhio per il domani.

Vero è che nella sua intervista la critica del Nobel cita proprio motivi etici come il prezzo in disoccupazione e simili che l'aggiustamento tra le varie economie sta comportando, ma è anche vero che sembra dimenticare che una guerra di cambi comporta dolori e danni ancora maggiori, che spesso essa sfocia in una guerra economica quando non in una guerra militare. La storia è piena di questi esempi.

Inoltre, Amartya Sen sembra ignorare che, con voce unanime, tutti i paesi europei continuano a gridare che, per uscire dalla crisi, serve più, e non meno, Europa, sembra non calcolare che l'esistenza della moneta unica costringe questi paesi ad amalgamare economie che altrimenti continuerebbero ad andare ognuna per conto proprio e, probabilmente, a divaricarsi sempre più.
Con i danni che abbiamo già vissuto due volte nel secolo scorso.
In altre parole a mio avviso occorre vedere i dolori di aggiustamento delle varie economie tra di loro come i dolori del parto, qualcosa che, ad alto prezzo, ci ripagherà delle fatiche sopportate per quella meta che, solo 50 anni fa, appariva impossibile. E che oggi è inevitabile.

L'euro? Inevitabile. L'euro è inevitabile perché una moneta unica costringe ad una politica monetaria unica, che comporta una politica finanziaria unica, da cui deriva per forza una politica fiscale unica e quindi una politica economica unica. Ovvero una politica totalmente unica. Non solo.

L'unione dell'Europa, l'unione vera, quella politica, quella che, sin dalla creazione dell'euro, doveva apparire come risultato finale inevitabile a chiunque, darà anche un altro e maggior risultato di importanza mondiale. Salverà lo stato sociale, il welfare, quel welfare che, se ne dica ciò che si vuole, è bene esclusivo della vecchia Europa, la vecchia Europa che lo ha inventato in secoli di lotte di errori e di avanzamenti.
Perché negli Usa, che oggi ci vengono sempre indicati ad esempio e che cercano di trasformarci a loro immagine e somiglianza, il welfare non esiste, come non esiste in quasi tutto il mondo dove per la sanità, l’istruzione, la sicurezza, la previdenza ci si affida prevalentemente, quando qualcosa si fa, alle assicurazioni private. O addirittura alla speculazione.

E in questi Usa che ci vengono presentati ad esempio e come in ripresa il 16,5% della popolazione è povero, il 20% dei bambini vive in povertà (a Detroit il 60%) e la disuguaglianza di ricchezza tra la popolazione è simile a quella del Messico e delle Filippine.

Questo ha prodotto 230 anni di liberismo nel paese definito come il più ricco e potente del mondo. E intanto c'è che ce li addita ancora ad esempio con il loro 12% di deficit sul PIL più grande del mondo, con risorse minerarie e petrolifere enormi, con soli 27 abitanti per kmq.

Ho letto infatti su Il fatto quotidiano un articolo di Pier Giorgio Gawronski che per convincerci della saggezza della politica economica Usa confronta i risultati della politica "espansiva" Usa con quella di austerità spagnola, ma senza tener conto delle differenze esistenti tra le possibilità Usa e quelle spagnole.
Omette di dire che in Usa c'è il 50% della ricchezza mondiale e in Spagna circa il 4% scarso (in parte distrutta dall'esplosione della bolla immobiliare), in Usa sono all'avanguardia in quasi tutti i campi scientifici e in Spagna solo nel "matrimonio" omosessuale, in Usa hanno grandi risorse di quasi tutto e in Spagna solo un po' di rame, che in Usa non hanno il welfare e in Spagna sì (grazie a Dio). E che in Spagna praticamente non si produce più niente.

È vero che gli Usa hanno una disoccupazione "molto" inferiore a quella dell'Europa, ma prima o poi dovranno pagare per le loro follie di politica economica. O peggio, le faranno pagare a noi. Come ci hanno fatto e ci stanno facendo pagare le follie del loro liberismo finanziario.
L'idea, poi, che una politica economica da alcuni ritenuta vincente si possa trapiantare con eguali risultati in un altro paese è folle o basata sull'ignoranza di ogni sia pur piccolo elemento di economia.
Magari l'economia fosse semplice e lineare come appare a Gawronski, se così fosse risolvere la crisi sarebbe semplicissimo: tutti dicono che la crisi dipende dal crollo dei consumi e che per rilanciare l'economia occorre aumentare i consumi.

Premesso che, in realtà, i consumi sono calati a causa della crisi e che la crisi si è solo aggravata a causa del crollo dei consumi, ragionando con l'assurdo semplicismo di Gawronski, basterebbe raddoppiare gli stipendi ai lavoratori dipendenti.

Un lavoratore che oggi per comprare un auto da 10.000 € ha bisogno di lavorare otto mesi, per un vestito da 300 € una settimana e per una cena da 70 € con la fidanzata nove ore ovviamente oggi non compra auto, né vestiti. E nemmeno va a cena fuori.

Ma dopo comprerebbe l'auto (4 mesi di lavoro), il vestito (2,5 giorni) e andrebbe a cena fuori (4,5 ore).
Tutti lavorerebbero per produrre quei beni, tutti spenderebbero dando altro lavoro pagando imposte su nuovi redditi e il debito pubblico diminuirebbe rispetto ad un PIL in aumento. L'aumento dei costi di produzione sarebbe Irrilevante.

Ci dice Sergio Marchionne che il costo della manodopera è pari all'8% dei costi aziendali di produzione. Potrebbe quindi portare ad un aumento dei prezzi del 10 o 15 %: il gioco ideato funzionerebbe lo stesso.
Magari non con un raddoppio dei consumi, ma ci sarebbe lo stesso un'esplosione dei consumi e della produzione.

Peccato che invece non funzioni, peccato che l'economia sia così maledettamente complicata, peccato che entrino in gioco mille altri fattori come la concorrenza estera a prezzi più bassi, come i bilanci delle aziende in attesa di quegli utili e, persino, come le reazioni psicologiche a quell'iniziativa.

Perché, in fondo, sembra il caso di rilevarlo, l'economia è solo psicologia di massa di fronte al bisogno

Commenti all'articolo

  • Di Francesco Finucci (---.---.---.236) 31 maggio 2013 01:02
    Francesco Finucci

    Verrebbe da dire che siamo senza soldi perché siamo senza soldi. Ma siamo senza soldi perché li abbiamo buttati al macero, gettando con essi i risultati del vero scopo della finanza, quello di aumentare il grado di detenzione di liquidità da parte degli agenti economici a fronte di un quantitativo di risorse limitato. Mandando certo a puttane il fair value, ma cercando anche una forma di benessere generale senza togliere -con più o meno violenza- denaro a chi ce l’ha per darlo a chi non ce l’ha. Ovvio che la bolla scoppiasse, prima o poi, dematerializzando le attività di tutti i paesi terziarizzandole fino a scombinare i rapporti tra i settori. Se il terziario si mangia i primi due settori poi quando la bolla scoppia è ovvio che il danno percentuale è maggiore, perché hai un maggiore numero di salariati che è esposto a farsi salutare dai propri clienti perché "sacrificabile in tempo di crisi".
    Era tutto sbagliato? Credo di no. Perché rivelava anche un volto umano, l’unica strada per dare a tutti senza togliere a nessuno. Il problema è che questi tutti o si sono presi più di quanto davvero abbiamo meritato, oppure hanno preso quello che non potevano permettersi, e alla fine non gli è rimasto niente. Andrebbe capito se alla fine qualcosa se ne è ricavato, e per fare questo probabilmente bisognerebbe scavare nei pochi tesoretti accumulati. In Italia potrebbe essere la cassa depositi e prestiti, ma di gente scappata con la cassa qui ce n’è tanta, quindi mi affiderei maggiormente ai fondi UE e alla BEI, o magari ad un tentativo di contrattare -se l’Europa riesce a farlo in maniera unitaria- con la Banca Mondiale per dare il via ad un piano unitario. Sperando che nel frattempo l’ESM non ci abbia portati alla guerra.

  • Di (---.---.---.229) 3 giugno 2013 18:38

    Il confronto fra US UK e Spagna è più che legittimo visto che tutti e tre i paesi avevano all’inizio della crisi stesso debito pubblico, stesso deficit pubblico, deficit estero, bolla immobiliare. La differenza l’hanno fatta le politiche economiche. La forza (l dimensione) dell’economia in questo caso non c’entra nulla: altrimenti i paesi piccoli o poveri (come la Svizzera o il Botswana o il Cile) dovrebbero sempre andare male!? Ma non è così. Quanto alle tue profezie di sventura negli Usa, non hai letto o non hai capito l’articolo di Gawronski: il futuro è già scritto perché il debito USa è in discesa e quello spagnolo continuerà a salire. Eppoi parli di un futuro ignoto, troppo comodo: ma il futuro di ieri è il presente di oggi. E sono 5 anni 5 che scrivi le stesse cose: che gli USA dovranno pagare le loro follie... Lo dicevi anche ieri... Continua, continua... Ma perché se uno non conosce una materia deve inquinare a blogosfera con le sue c... arroganti? Qualcuno me lo sa dire?

  • Di (---.---.---.229) 1 ottobre 2014 04:09

    "la solita storia sciocca che l’euro non funziona (?) perché la BCE non fa da prestatore di ultima istanza come invece fa la FED"

    Hahaha! Draghi 22-8-2014: “Since 2010 the euro area has suffered from fiscal policy being less available and effective, especially compared with other large advanced economies. This is not so much a consequence of high initial debt ratios – public debt is in aggregate not higher in the euro area than in the US or Japan. It reflects the fact that the central bank in those countries could act and has acted as a backstop for government funding. This is an important reason why markets spared their fiscal authorities the loss of confidence that constrained many euro area governments’ market access. This has in turn allowed fiscal consolidation in the US and Japan to be more backloaded…

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