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Cina, più debito per curare il debito?

Le grandi banche pubbliche cinesi puntellano il debito occulto degli enti locali, in forte crescita. E c'è chi teorizza di fare altro debito per evitare che il sistema si avviti in recessione. Ricorda qualcosa?

 

Come saprete se leggete con sufficiente regolarità questi pixel, la Cina ha una discreta serie di problemi economici da gestire. Una crescita scomparsa, uno sboom immobiliare che rischia di fare molto male a tutta l’economia, una finanza pubblica locale basata sulla vendita di terreni, fin quando è durato. Quando il sistema è stato mandato in stallo dall’inizio dello sgonfiamento della bolla immobiliare, gli enti locali hanno riconvertito, molto all’occidentale, dei veicoli finanziari fuori bilancio (LGFV: Local Government Funding Vehicle), la cui missione originaria era quella di realizzare infrastrutture, che hanno cominciato a indebitarsi con le banche statali a tassi convenienti, per poter comprare terreni e mantenere in essere il flusso di denaro verso le municipalità.

BANCHE PUBBLICHE IN SOCCORSO

I terreni vengono posti a garanzia dei prestiti, spesso a valutazioni gonfiate, ma non vengono sviluppati perché i fondi fuori bilancio non hanno competenze né ulteriori capitali per farlo. Ora, i nodi giungono al pettine. E infatti apprendiamo che le maggiori banche pubbliche cinesi stanno procedendo a ristrutturare in maniera più o meno formale il debito dei veicoli finanziari considerati (sic) a “maggior merito di credito”.

Ad esempio, concedendo prestiti a 25 anni in luogo dei canonici dieci, e senza pagamento degli interessi per i primi quattro anni di vita del finanziamento. Ci sono anche ristrutturazioni formali, come quella che ha visto coinvolta la provincia povera del Guizhou, che alla fine dello scorso anno ha annunciato la proroga di 20 anni del debito verso le banche del proprio fondo fuori bilancio e la sospensione dei rimborsi in linea capitale per i prossimi dieci anni.

Lo scorso febbraio, il Fondo monetario internazionale ha stimato che il debito occulto dei veicoli di finanziamento fosse a fine 2022 di 66 mila miliardi di yuan (circa 9.100 miliardi di dollari), contro i 40 mila miliardi di yuan del 2019 a conferma indiretta degli esborsi sostenuti in pandemia, oltre che della gelata del mercato immobiliare.

E quindi, Pechino si trova costretta a ricorrere alla propria longa manus finanziaria, quella delle banche pubbliche, per evitare catene di fallimenti che minerebbero il consenso al regime. Nel frattempo, ferve il dibattito interno su come rilanciare l’economia, dopo che la famosa “vendetta della spesa” dei consumatori usciti dalla pandemia ha fallito di materializzarsi. C’è il diffuso timore di mettere mano a nuovi stimoli fiscali, cioè a nuovo debito, dato lo stock di quello esistente e dato che appare che l’indebitamento è entrato in una fase di rendimenti decrescenti, nel senso che la crescita aggiuntiva è progressivamente minore a parità di nuovo indebitamento.

PIÙ DEBITO PER MENO DEBITO

Ma questa posizione è sfidata dalle voci di chi ritiene che serva più debito per curare l’eccesso di debito. Un ricercatore di un think tank statale specializzato in credito e raccomandazioni di policy a entità pubbliche, sostiene che i margini per altro debito esistano e siano ampi, grazie agli enormi attivi, anche di risorse naturali, a disposizione dello stato cinese. Più debito induce più crescita, che a sua volta stabilizza il debito, è la tesi.

Se ciò vi ricorda sinistramente cose lette e sentite in Eurozona e soprattutto in Italia durante la Grande Crisi Finanziaria di una quindicina di anni addietro, è perché di quello si tratta, mutatis mutandis. Il suggello è dato dalla citazione del concetto di “recessione di bilancio”, espressione coniata negli anni Novanta da Richard Koo, capo economista di Nomura, per descrivere la crisi giapponese e in seguito, appunto, adattata all’Eurozona.

È lo stesso Koo che ritiene che la Cina sia entrata in una recessione di bilancio, perché il settore privato (famiglie e imprese) non si indebita più e cerca invece di ridurre la propria esposizione, aumentando il risparmio e di conseguenza deprimendo la crescita. Ecco, quindi, che tocca allo stato sostituirsi al settore privato e indebitarsi, per reggere l’economia. La condizione ancora mediamente sana del sistema bancario pubblico cinese e l’elevata disponibilità di risparmio privato dovrebbero agevolare l’operazione, è la tesi.

Come si nota, non si inventa davvero nulla e la Cina appare percorrere la strada percorsa dai paesi occidentali nell’ultimo ventennio. Tra le prescrizioni di policy per combattere la recessione c’è quindi la rimozione dell’attuale tetto di deficit-Pil al 3%. Anche il ruolo della banca centrale viene rivisto: poiché la recessione di bilancio rende inutile lo stimolo monetario e conduce alla cosiddetta trappola della liquidità, compito dell’istituto di emissione dovrebbe essere non tanto quello di allentare la politica monetaria quanto di comprare debito sovrano cinese, in caso l’abbondante risparmio privato non fosse abbastanza motivato a farlo.

Per l’ambito di destinazione della maggiore spesa pubblica, c’è di tutto: dalla old economy delle costruzioni e delle infrastrutture tradizionali alla frontiera tecnologica di semiconduttori e intelligenza artificiale. Tutto molto suggestivo e in apparenza lineare.

TROPPO POCHE ENTRATE TRIBUTARIE

Ma il problema cinese è un altro: la bassa incidenza di spesa pubblica e tasse. Nel paese che rappresenta il maggior esperimento anarco-capitalista dei tempi moderni, e che è pressoché privo di una rete di welfare (alla faccia del comunismo), e la cui popolazione sta invecchiando e riducendosi, le entrate sono per lo più extra tributarie, come dimostra il caso delle vendite di terreni, o derivanti da imposte indirette. Le imposte sul reddito raccolgono solo l’1% del prodotto interno lordo, mentre i cinesi facoltosi hanno sin qui avuto successo nella loro strenua opposizione ad aumentare la pressione delle imposte personali sul reddito.

Certo, parlare di maggiori tasse mentre si paventa una deflazione di debito può sembrare privo di logica ma uno squilibrio ne traina un altro, e nel lungo periodo si fondono. Ci sarà modo di affrontare anche il tema della insufficiente spesa pubblica e pressione fiscale cinese. Per il momento, con le ombre della “recessione patrimoniale” che si allungano, è verosimile attendersi nel breve termine un travaso di debito, dall’ambito locale a quello centrale.

Del resto, a fine 2022, secondo stime di Goldman Sachs, il debito centrale era pari solo al 47% del Pil, mentre quello locale arrivava al 78%. C’è margine per evitare dolorosi e politicamente rischiosi default locali e calciare la lattina più in là. Per tutto il resto, c’è l’esempio occidentale degli ultimi vent’anni da seguire. Ma è ironico che il paese che ha riempito di debito il mondo emergente si trovi ora a dover gestire il rischio sempre più concreto di un’alta marea di debito domestico.

Foto di BC Y da Pixabay

 

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